Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/07/2016, a pag. 1-25, con il titolo "Il nuovo obiettivo jihadista", l'editoriale di Lorenzo Vidino.
Lorenzo Vidino
Quanto avvenuto a Ansbach dimostra che la Germania è il nuovo obiettivo del terrorismo jihadista. L’attacco compiuto in precedenza da un giovane rifugiato afghano simpatizzante dello Stato Islamico su un treno vicino a Würzburg aveva già fatto temere alle autorità di Berlino che fosse l’inizio di una escalation potenzialmente simile a quella vista in Francia.
Gli elementi per questa analisi ci sono tutti. D’altronde, la scena jihadista militante tedesca è solo di poco inferiore per dimensioni e profondità nei legami con lo Stato Islamico a quella francese. Berlino stima infatti che circa ottocento combattenti siano partiti dalla Germania per la Siria e l’Iraq - meno dei circa 1200 foreign fighters francesi, ma ben di più dei circa 110 italiani. Negli ultimi mesi la propaganda jihadista in lingua tedesca è aumentata sensibilmente per quantità e qualità, esortando simpatizzanti ad unirsi allo Stato Islamico e a compiere attentati in Germania.
Alcuni foreign fighters tedeschi hanno assunto un ruolo da vere e proprie star mediatiche della scena jihadista teutonica e non solo: primo tra loro, Deso Dogg, ex rapper diventato jihadista dato ripetutamente per morto in Siria, ma i cui messaggi infiammano gli smartphone di aspiranti militanti e simpatizzanti.
Le autorità tedesche hanno compiuto varie operazioni negli ultimi mesi, arrestando foreign fighters di ritorno dalla Siria e potenziali nuove reclute, predicatori e reclutatori. Le leggi tedesche non aiutano in questo lavoro, non garantendo né all’intelligence né alle autorità inquirenti alcuni degli strumenti più aggressivi di cui invece il nostro antiterrorismo si può giovare. Ad aggravare il quadro è anche il problema, monumentale nei numeri e spinoso politicamente, dei rifugiati. Controllare l’identità e le potenziali tendenze estremiste del milione di soggetti giunti in Germania nell’ultimo anno è un compito pressoché impossibile, particolarmente quando si va ad aggiungere a quello di monitorare una crescente scena militante autoctona.
Era perciò chiaro a tutti - e le autorità tedesche lo avevano detto senza veli - che un attacco in Germania era una questione di quando e non di se. Un primo amatoriale attacco era avvenuto in primavera ad Essen, quando quattro teenager di origine turca (ma nati e cresciuti in Germania) avevano gettato ordigni contro un tempio sikh. I giovani, come spesso avviene in quegli ambienti, avevano creato un gruppo Whatsapp di simpatizzanti del Califfato ed erano sotto osservazione da parte dei servizi tedeschi. Erano comunque riusciti ad evadere la sorveglianza delle autorità tedesche, le cui risorse sono ridotte allo stremo dal numero enorme di casi che devono seguire, e ferire tre persone.
L’atto sembrava sintomatico di un problema crescente, ma non denotava necessariamente che lo Stato Islamico avesse direttamente inviato militanti per colpire la Germania. E anche l’attentato di Würzburg poteva essere visto come un gesto isolato. L’interrogativo è se l’attacco di domenica sia l’operato di un network locale o se invece trovi le radici in una strategia partorita dalla leadership dello Stato Islamico. In ogni caso la minaccia del terrorismo jihadista, sia essa diretta dallo Stato Islamico o lasciata a cani sciolti che trovano nel messaggio jihadista una valvola di sfogo per le proprie frustrazioni personali, non tocca solo Francia, Belgio e adesso Germania ma ogni Paese occidentale, Italia inclusa.
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