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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
23.07.2016 Terrorismo islamico: è ora di dire basta (e di agire di conseguenza)
Le parole di Bruce Bawer, editoriale di Elena Loewenthal

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Basta, per favore. Decalogo post attentato - Ostaggi in un mondo che si chiude»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/07/2016, a pag. 3, l'editoriale "Basta, per favore. Decalogo post attentato"; dalla STAMPA, a pag. 1, con il titolo "Ostaggi in un mondo che si chiude", l'editoriale di Elena Loewenthal.

Ecco gli articoli:

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L'islamismo e i suoi figli

IL FOGLIO: "Basta, per favore. Decalogo post attentato"

Il Foglio riprende l'analisi di Bruce Bawer, già pubblicata da Informazione Corretta alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=63101

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Bruce Bawer

Basta bandiere di paesi stranieri postate su Facebook in segno di solidarietà. Basta hashtag enfatici su Twitter. Basta dichiarazioni vuote di capi di governo secondo cui ‘i terroristi hanno fallito nel loro tentativo di metterci l’uno contro l’altro’. Basta anche vuote dichiarazioni di altri capi di governo che esprimono il sostegno del loro paese ‘per il nostro alleato in questo momento di dolore’”. Inizia così l’intervento di Bruce Bawer pubblicato sulla rivista newyorchese City Journal, intitolato “No More”. Lo scrittore gay americano, trasferitosi anni fa ad Amsterdam per sposarsi, si è scoperto nemico della superficialità secolarista e islamicamente corretta da intellettuale progressista, e così continua: “Basta tentativi di analizzare psicologicamente ogni nuovo jihadista, per dimostrare la sua infanzia travagliata o la sua vita professionale difficile, nel tentativo di capire ‘cosa lo ha portato alla violenza e all’estremismo’.

Basta rassicurazioni pensose sul fatto che ‘questo non ha nulla a che fare con l’islam’, che un gruppetto di signori malvagi ha ‘sequestrato’ una ‘religione pacifica’, e che ‘la grande maggioranza degli 1,5 miliardi di fedeli islamici nel mondo sono ovviamente persone che amano la pace e che rigettano tale tipo di azioni. Basta discorsi che vanno per la tangente, sia esso il gun control, l’omofobia americana o qualsiasi altro diversivo che sembri utile nelle specifiche circostanze. Basta addossare le colpe al presunto fallimento europeo nell’accettare o nell’integrare o nel dare lavoro ai musulmani, o alla presunta povertà degli stessi musulmani o alla loro alienazione”.

Il j’accuse di Bawer si conclude così: “Il momento dello choc è finito. Il momento per accumulare fiori, peluche e candele nei luoghi delle atrocità terroristiche è finito. Le bugie, l’ignoranza e la codardia devono avere un termine, e i fatti nudi e crudi devono essere affrontati. L’occidente libero e civilizzato, ormai da anni, è l’obiettivo di una guerra di conquista, una guerra dispiegata con varie modalità (il terrorismo è soltanto una tra le tante) dagli aderenti a una religione che predica la sottomissione, l’intolleranza, la brutalità. E i nostri leader e i nostri media, con rare eccezioni, continuano a partecipare a un gioco la cui fatuità, irresponsabilità e pusillanimità diventano sempre più evidenti. Dopo Nizza, basta”.

LA STAMPA - Elena Loewenthal: "Ostaggi in un mondo che si chiude"

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Elena Loewenthal

Dopo Parigi, Bruxelles, Istanbul, Dacca e Nizza ora è la volta di Monaco di Baviera. Terrore, morti, sangue e orrore aggrediscono la nostra vita quotidiana trasformando questa estate in una sorta di roulette russa per chiunque voglia uscire di casa, andare ad un caffè o in vacanza. O abbia dei figli in viaggio. È soprattutto il timore per i nostri cari, lontani anche solo per pochi giorni, che si avventa su di noi.
Avevamo il cuore pesante, la prima volta che li abbiamo lasciati andare, tanto tempo fa. Così pesante che ci sembrava di precipitare giù per terra e restarci nel tempo della loro lontananza dal nido. Ma bisognava proprio mandarli lontano, a studiare l’inglese d’estate, anche se erano poco più che pulcini, appena affacciati all’adolescenza.
Col tempo quanto abbiamo sorriso a quelle prime, smisurate nostalgie: altro che pulcini. I nostri figli hanno preso il volo così presto. Viaggi, soggiorni studio, Erasmus, master, corsi, amici, il mondo era tutto loro.

E noi abbiamo imparato a tenerci in piedi lo stesso, a misurarci con una genitorialità tutta diversa da quella stanziale vissuta dai nostri, di genitori (fortunati loro!). Abbiamo imparato a muoverci sulle loro orme, a seguirli con lo sguardo e il biglietto aereo, a distillare il tempo insieme a loro perché più diventano grandi più è questione di qualità e non di quantità - di tempo. A sperare che forse, chissà, un giorno torneranno a casa. Ma dov’è più la casa?

Abbiamo insegnato ai nostri figli che il mondo è aperto, libero, che è più piccolo di una volta perché le distanze si accorciano. Abbiamo abbattuto i confini del nostro mondo, abbiamo visto il loro sorriso quasi incredulo quando indicavamo col dito i posti di confine alle frontiere, raccontando che un tempo ci voleva il documento per passare. E l’abbiamo fatto per loro, in fondo: reso il mondo più piccolo perché i nostri figli avessero una vita più piena, più libera, più carica di speranze e opportunità.

E adesso? Adesso come facciamo a pensarli in giro per il mondo? Loro lo sono già, ai quattro angoli del mondo, vuoi per studio vuoi per lavoro vuoi per le vacanze che li stanno disseminando ancor di più in questo periodo. In un mondo che di giorno in giorno è più chiuso, meno libero, minaccioso in un modo che non ci saremmo mai aspettati. E così, oltre lo sgomento e la paura, oltre una rabbia che monta e schiuma e ci lascia senza parole, dobbiamo anche trovare il modo di spiegare ai nostri figli che forse ci eravamo sbagliati. Che il mondo non è più aperto e libero di prima, anzi. Che in Europa non ci sono più quelle innocue frontiere con i casotti della polizia e la scritta «ALT», ma ce ne sono delle altre ben più consistenti e pericolose. Che dobbiamo imparare insieme ad affrontarle, quelle frontiere, a imbracciare insieme delle armi che non pensavamo di dover fornire loro e che non abbiamo ancora ben capito di cosa siano fatte ma di cui non possiamo più fare a meno. A meno di non costringere i nostri figli a tornare a casa e restarci, dopo che abbiamo insegnato loro a spiccare il volo. E invece no, ci piace vederli così, cittadini di un mondo libero. Per questo abbiamo dovuto imparare a convivere con la nostalgia di loro, ad accontentarci di un messaggino, due parole al telefono un giorno sì e due no.

No, non possiamo costringerli a tornare a casa. Certo che però in questo mondo dove l’ordine del giorno sono stragi insensate, con i nostri figli più o meno adulti - ma anche ancora piccini - disseminati per le città d’Europa e non solo, essere e fare i genitori è una gioia immensa ma anche uno sfiancante stillicidio di strazio: sempre all’erta con un occhio sulla carta geografica, qua e là dove sono loro, e l’altro sulle notizie, a prendere le misure del terrore.

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