domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
22.07.2016 Donald Trump scommette sull'isolazionismo, con lui Geert Wilders
Editoriale di Maurizio Molinari, Francesco Semprini intervista Geert Wilders

Testata: La Stampa
Data: 22 luglio 2016
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari - Francesco Semprini
Titolo: «La scommessa del dorato isolamento - Wilders: 'Con Donald fronte comune contro l'immigrazione dei musulmani'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/07/2016, a pag. 1-25, con il titolo "La scommessa del dorato isolamento", l'editoriale di Maurizio Molinari; a pag. 3, con il titolo "Wilders: 'Con Donald fronte comune contro l'immigrazione dei musulmani' ", l'intervista di Francesco Semprini a Geert Wilders.

Informazione Corretta seguirà le Conventions repubblicana e democratica, pubblicando gli articoli più interessanti. Cominciamo oggi con una analisi di quella repubblicana a Cleveland.

Ecco gli articoli:

Maurizio Molinari: "La scommessa del dorato isolamento"

Immagine correlata
Maurizio Molinari

«Borders», «laws» e «land»: i termini che più ricorrono nel linguaggio del popolo di Donald J. Trump sono «confini», «leggi» e «terra» perché descrivono le priorità di un’America che tende a chiudersi rispetto al mondo in ebollizione al fine di dare sicurezza ad un ceto medio indebolito.

Nel discorso pronunciato nella notte dal palco della Quickens Loans Arena di Cleveland, in Ohio, Trump ha lanciato la corsa alla Casa Bianca proponendo la visione «America First» - Anzitutto l’America - poche ore dopo aver consegnato al «New York Times» una revisione della dottrina della Nato che non prevede più l’intervento automatico a difesa di qualsiasi partner aggredito. Sono due tasselli di una visione dell’interesse nazionale basata sul rafforzamento dei propri confini e non più sulla convinzione di essere la «nazione indispensabile» nella comunità internazionale.

Immagine correlata
Donald Trump

Rafforzare i «confini» per difendere la «terra» concentrando sforzi e risorse per imporre il rispetto delle «leggi» - come afferma Mike Pence, candidato alla vicepresidenza - significa riposizionarsi rispetto al ruolo avuto dagli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La priorità è allontanare la nazione da conflitti, terrorismo, migrazioni e instabilità finanziarie. E non contribuire a risolverli.

È una ridefinizione del ruolo dell’America esaltata dall’uso degli stessi tre termini per attaccare i rivali democratici: i delegati dell’Arizona nel parterre della Convention rimproverano a Hillary Clinton di volere confini aperti» così come quelli della Florida imputano a Barack Obama la «carenza di ordine e leggi» all’origine degli attacchi contro la polizia, mentre nel settore di New York - lo Stato di Trump - «terra» significa anzitutto «non ridiamola ai Clinton, corrotti e bugiardi». Ted Cruz, il senatore del Texas che ha sfidato la Convention dal podio, descrive in maniera limpida l’identità del popolo di Trump: «Qualcosa di imponente sta avvenendo, lo abbiamo visto con la Brexit in Gran Bretagna ed ora si ripete dentro i partiti repubblicano e democratico in America, gli elettori rigettano lo strapotere del governo, i politici corrotti, vogliono sicurezza e muri per difendersi da migranti e terroristi». La «libertà» e la «prosperità» che Trump persegue per la nazione sono delimitate dalle proprie frontiere così come il ritorno delle frontiere ha accompagnato il voto britannico per uscire dall’Unione Europea.


La scommessa di Trump è sulla creazione di barriere capaci di assicurare all’America una sorta di dorato isolamento, consentendo al ceto medio bianco flagellato dall’impoverimento di risollevare consumi e tenore di vita. È una scommessa politica che tende a far coincidere isolazionismo e promesse di benessere per i più poveri con il risultato di «strappare il tema della giustizia sociale ai democratici», come ammonisce l’opinionista Maria Bustillos sul liberal «Los Angeles Times». A pensarla allo stesso modo è Tim Hagan, capo del partito democratico nella contea di Cuyahoga in Ohio, secondo il quale «la classe operaia corre verso Trump perché da decenni non sopporta gli immigrati, si impoverisce e Hillary non si preoccupa di cercare risposte». Ironia della sorte vuole che proprio i democratici quattro anni fa riconfermarono alla Casa Bianca Barack Obama con una campagna contro le diseguaglianze che mobilitò a loro favore il ceto medio, ma ora è Trump ad essersi impossessato di questo tema facendo leva sul triplice argomento di «confini», «terra» e «leggi».

Il risultato è che Nate Silver, il blogger-statistico che prevede i risultati delle presidenziali come quelli del baseball, avverte Hillary: se sulla carta resta la favorita perché Trump non ha più del 35 per cento di possibilità di farcela, in realtà «può perdere come avvenne a John Kerry nel 2004» quando il candidato democratico si sentiva favorito, uscì dalle Convention con 3-4 punti di vantaggio sul repubblicano George W. Bush e poi perse al termine di una notte al cardiopalmo. È lo stesso scenario che disegna Alfonso Aguilar, ex consigliere di Bush sugli ispanici, quando dice: «Finirà per una manciata di voti, perché la coalizione di Trump non è politica, parla al popolo di spettatori delle tv, ed anche la gaffe di Melania potrebbe averla creata ad arte per accattivarsi le simpatie di chi è ai margini di tutto». Puntando a far votare chi in genere diserta le urne perché disprezza o ignora la vita politica.

Francesco Semprini: "Wilders: 'Con Donald fronte comune contro l'immigrazione dei musulmani' "

Immagine correlata
Francesco Semprini

Immagine correlata
Geert Wilders

Geert Wilders, fondatore e leader del Partito della libertà, formazione nazionalista dei Paesi Bassi, perché è importante che Trump diventi presidente degli Stati Uniti?
«È importante per il popolo americano e per quello europeo. I cittadini, sia lì che qui, non si sentono rappresentati, sono disconnessi da una certa classe politica, abbandonati. Basta guardare immigrazione, terrorismo, criminalità, lavoro».

La soluzione è il populismo?
«Io parlerei di processo irreversibile, il genio non può tornare nella lampada. Penso che sia qui negli Usa che nella Ue ci sarà un profondo cambiamento della politica».

Adottando il divieto di ingresso ai musulmani?
«Io non penso che i musulmani siano cattive persone ed è ridicolo pensare che tutti i musulmani sono terroristi. Quasi tutti i terroristi però oggi sono musulmani. L’abbattimento dei confini in Ue, unito alla dottrina del politically correct a ogni costo, hanno permesso l’ingresso a milioni di persone provenienti da una cultura, quella islamica, che non ha nulla a che fare con i principi di libertà e tolleranza dei nostri Paesi».

In Usa però i vari lupi solitari erano cittadini americani...
«Voglio dire agli amici americani che, se decideranno di accogliere altri musulmani, non dovranno rimanere sorpresi di vedere la sharia a casa loro. E i lupi solitari diventeranno branchi».

Ritiene che Paesi bassi siano i prossimi a uscire dall’Ue?
«Lo spero. Se il prossimo anno sarò primo ministro, e i sondaggi fanno ben sperare, la prima cosa che farò sarà lottare per la “Nexit”. È l’unico modo per avere una politica sull’immigrazione forte, cosa impossibile all’interno dell’Ue, perché Bruxelles non lo permette. Dobbiamo riprendere la sovranità nazionale».

Trump è contrario a diversi accordi di libero scambio, lei anche?
«Non sono contrario al libero scambio, ma deve essere negoziato bilateralmente. La Svizzera è nel cuore dell’Europa ma fuori dall’Ue. Ha maggiore flessibilità per avere accordi con Paesi terzi, ad esempio Cina e e Giappone. Mentre l’Ue sta ancora negoziando, perché servono anni per mettere d’accordo 28 membri».

Qual è la prima cosa che deve fare Trump alla Casa Bianca?
«Procedere assieme ad alcuni leader europei sullo stesso binario su terrorismo, giustizia, immigrazione e politiche senza confini. Trump ha in mente l’interesse della sua gente. Chi ci guida in Europa e in Olanda non ha questa priorità. Io cambierò le cose come farà Trump in Usa, e formeremo un grande fronte di lotta comune con tutti i Paesi che vogliono il cambiamento».

Anche con l’Italia?
«Per forza. Se non si può lavorare con l’Italia non si può lavorare con nessun altro. Ora tocca a voi».

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT