L’altra faccia della non-violenza
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
Tair Kaminer
Tair Kaminer è una 19nne israeliana che si è rifiutata di fare il servizio militare, dicendosi disponibile a sostituirlo con il servizio civile. Ha trascorso 159 giorni in un carcere militare, del suo caso si sono occupati tutti i media, anche perché in Israele il servizio civile è una cosa seria, non viene osteggiato se esiste una motivazione, anzi, viene consigliato, per esempio, ai giovani musulmani quale soluzione accettabile per stabilire un rapporto positivo tra una appartenenza nazionale problematica e l’inserimento in una struttura sociale senza distinzioni.
La motivazione di Tair Kaminer non era però di quelle tradizionali, non era una particolare seguace di delle teorie della non-violenza, non condannava in toto l’uso delle armi, la sua spiegazione, rimasta fra le righe, era un’altra, a cui si è dato poco rilievo, che cambia la prospettiva del giudizio da dare al suo rifiuto. Tair Kaminer aveva dichiarato la sua indisponibilità a indossare la divisa perché “non voleva essere complice dei crimini dell’occupazione”, riferendosi ovviamente alla presenza israeliana nei territori contesi di Giudea e Samaria. Un ragionamento politico, più adatto a una militante ideologicamente motivata che non a una giovane che indossa la divisa per difendere il proprio paese. Adesso diventerà probabilmente una star di quei gruppi ‘pacifisti’, per i quali la pace è un valore assoluto, il cui prezzo da pagare può giustificare anche la scomparsa di Israele.
Angelo Pezzana