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Da chi dobbiamo difenderci Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici, sono stato qualche giorno in viaggio e tornando mi ritrovo nel solito nostro mondo in cui il tema principale è il terrorismo e la violenza. Ormai gli attentati clamorosi si succedono con ritmo accelerato in tutto il mondo: Nizza, Orlando, Istanbul, Bruxelles, Baghdad... tutta una geografia. E naturalmente Gerusalemme, dove proprio ieri un arabo è stato arrestato mentre cercava di salire con una valigia di esplosivo innestato sulla metropolitana leggera (di fatto un grande tram) che attraversa la città; una strage evitata grazie alla professionalità e al coraggio delle guardie che tutelano il tram (vedete qui la descrizione di quel che è accaduto, nelle parole di una guardia: http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/train-guard-describes-how-he-captured-the-terrorist-video/2016/07/17/). La domanda ovvia è: cosa fare? La mia prima risposta, non certo originale ma credo ancora di buon senso è: innanzitutto capire quel che succede e riconoscerlo correttamente. Quando qualcuno ti attacca devi capire chi è e perché lo fa, che cosa vuole. C’è una linea di pensiero dominate nei politici (Obama, l’Unione Europea) fra i religiosi (prima di tutto il papa) e nei media che dice in sostanza: ci attaccano dei “folli” dei “depressi”, degli “insensati”, dei “lupi solitari”. Dunque non c’è nessuna ragione, nessun nemico, niente da fare. Salvo magari affidarsi all’”accoglienza”, alla gentilezza, magari alla “divina provvidenza”. Una seconda spiegazione, non troppo diversa è che ci attacca il “terrorismo”, l’estremismo. Ma che cos’è il terrorismo? Cosa vuole? Perché fa quel che fa? Chi è “il terrorismo”? Chi lo comanda? Per che scopi? Mistero. Che fare con questa entità mitica? Non si sa: stare all’erta, ma non permetterci mai di “etichettare questo o quel gruppo, questa o quella religione” con questo termine, come ha detto Obama. Il terrorismo deve restare astratto e impersonale. La terza soluzione, molto simile è che la colpa è delle armi. Di chi le fabbrica, di chi le vende, di chi ne permette la diffusione. Non di chi le usa. In questa teoria eccellono al solito Obama e Bergoglio. Peccato che quasi qualunque cosa possa essere un’arma. Prendete un grosso sasso, tiratelo sul finestrino di una macchina in corsa, magari in curva, e quasi sicuramente ammazzerete qualcuno. Proibiamo i sassi? Oppure prendete una bottiglia di vetro, riempitela di benzina, infilatevi uno straccio, date fuoco, ed ecco una molotov. Proibiamo le bottiglie? La benzina? Gli stracci? Ci sono sostituti per tutti e tre. Impadronitevi di un mezzo di trasporto. Se è un aereo, potete fare la strage delle Twin Towers; se è un camion, avete Nizza. Con un mezzo da scavo, un bulldozer, potete fare di peggio. Con una semplice automobile potete uccidere tutti quelli che aspettano l’autobus a una fermata, è un brevetto palestinista, riconosciuto anche dall’Isis. Un coltello da cucina, un paio di forbici da sarto, i taglierini degli architetti (con cui erano “armati” gli attentatori dell’11 settembre): qualunque arnese da taglio va bene, dalle accette ai temperini. Volete fare più in fretta? Una pistola alla borsa nera non è difficile da trovare. Insomma, la teoria delle armi è così sciocca da confinare con la complicità. Quel che conta sono gli uomini che le manovrano. Anche con un manico da scopa si può ammazzare qualcuno, se se ne ha la volontà. Torniamo al discorso generale. Il terrorismo non è un movimento, è un mezzo, o se volete una tattica. Un mezzo di guerra. Come l’assedio o la carica o l’agguato. Se vogliamo, è più moralmente ripugnante di altri sistemi, perché se la prende con la popolazione civile, invece che coi militari. Ma non è una novità. Terroristi erano gli anarchici, da Bresci a Bakunin; terroristi sono stati alcuni patrioti italiani (se pensi a Oberdan). Non parliamo delle guerre coloniali e anticoloniali. Ci sono stati momenti di terrorismo anche nella lotta di liberazione nazionale ebraica contro gli inglesi (che favorivano gli arabi per motivi colonialisti e fecero l’orrore di riportare i sopravissuti dai lager nazisti negli stessi campi da cui erano fuggiti, pur di ingraziarsi i loro - infedeli - clienti arabi). Dunque il terrorismo è una tattica di guerra e la guerra consiste, secondo Clausewitz, nel tentativo di costringere i nemici a subire la volontà di chi fa la guerra: cedere del territorio o dei beni, convertirsi, accettare un dominio straniero, perfino sparire dal mondo. I tedeschi hanno fatto la guerra agli ebrei per distruggerli e così i turchi con gli armeni: una forma di guerra così atroce e totale da meritarsi un nome a parte, quello di genocidio. La guerra è comunque espressione di una volontà, mira a certi fini. Non è necessario che questa volontà sia interpretata da un capo, da uno stato maggiore, da un partito, da un soggetto esplicito. Spesso capita così, soprattutto in forme moderne di organizzazione, ma spesso nella storia vi sono volontà collettive e scopi più informi, spinte che si generano seguendo una cupidigia, un sogno, una religione, un odio. Così è accaduto spesso nell’antichità, con le varie invasioni “barbariche” accadute non solo all’inizio del Medioevo; ma anche la colonizzazione dell’Africa e delle Americhe è stata in buona parte impresa collettiva culminata sì nell’azione organizzata degli eserciti, ma preparata e suscitata da mille imprese individuali, sordide o “nobili”. Così è oggi. Viviamo nel periodo storico in cui il mondo islamico, cioè quel quarto o quinto dell’umanità che vive o ha origini in stati conquistati con la guerra o (raramente) col proselitismo, per lo più fra l’Oceano Atlantico e l’India, ma anche più in là in Malesia e Indonesia, crede di aver capito di poter riprendere la guerra per la conquista del mondo intero, sospesa da tre secoli, e in particolare di potersi vendicare dei nemici che l’hanno “oppresso” anche per essersi semplicemente sviluppati per conto loro su valori loro: gli ebrei prima di tutto, schiavi che si sono ribellati e hanno avuto la faccia tosta di rivendicare il governo di uno stato sul loro paese ancestrale, sì, ma conquistato dall’Islam e dunque snazionalizzato. Ma anche l’Occidente laico e “senzadio” materialista e pluralista, rimasto senza difese contro il nemico storico perché stordito dal benessere e da confusi discorsi universalisti. Il camionista di Nizza come i macellai dell’Isis, l’assassino dei bambini di Tolosa e gli attentatori del Bataclan, l’omofobo di Orlando e gli accoltellatori di donne incinte di Israele non sono necessariamente legati sul piano organizzativo. Ma seguono la stessa guerra, sono mossi dallo stesso istinto, sono ammirati dallo stesso pubblico. Ho letto che i servizi segreti francesi (che meriterebbero anche loro il Nobel della Pace, come Obama, tanto ne condividono l’inefficienza o peggio) consigliano oggi per far cessare gli attentati in Francia di conquistare la “capitale” dell’Isis, Raqqa. C’è di peggio di loro, sono quegli strateghi americani che dicono che non bisogna fare niente, basta lasciar sfogare i bollenti spiriti; o i grillini per cui “il terrorismo islamico non esiste”, è tutta colpa nostra, stanno solo rivendicando i loro diritti. Ma anche gli 007 francesi, con quell’idea di Raqqa, mostrano solo quanto profondamente gli è penetrata in testa l’ottusità burocratica. Finita Al Qaeda (o solo sospesa) nasce l’Isis. Decapitato l’Isis tornerà fuori Al Qaeda o nascerà una o dieci o cento organizzazioni. Non conta l’organizzazione, conta la spinta popolare alimentata dall’odio sparso a piene mani dai media vecchi e nuovi dei loro paesi, ma anche da una tradizione bellica millenaria. L’Islam è nato e si è diffuso come esercito coloniale di oppressione, da subito ha gestito schiavi, organizzato genocidi, conquistato e sfruttato popolazioni di “infedeli”. E’ la loro storia fondamentale. Per loro un martire non è qualcuno disarmato che muore per la sua fede, ma un guerriero che cade durante la conquista. Il problema è questo. Non lo scontro di civiltà (e neppure naturalmente il soccorso ai bisognosi o la rivolta degli oppressi, come insegnano gli imbecilli o i complici). Il problema è la ripresa di una guerra millenaria, che ha conosciuto tante tregue vere e false, tanti scambi, tanti giochi delle parti. Ma che ridotto all’osso è il tentativo di un gruppo di tribù beduine di conquistare il mondo. Bisogna fermarli, se vogliamo quel mondo che a noi appare civile. Ma per fermarli bisogna capire che si tratta di un nemico altrettanto terribile di Hitler e di Stalin e molto più difficile da vincere.
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