Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/07/2016, a pag. 6, l'approfondimento redazionale "Nemici e amici di Ankara"; a pag. 6, con il titolo "Erdogan: America dietro la rivolta. E trova una sponda con Putin", la cronaca di Giordano Stabile; dal CORRIERE della SERA, a pag. 6, con il titolo "Non è stata una farsa ma aiuterà il potere nella caccia alle streghe", l'intervista di Sara Gandolfi al giornalista turco Can Dündar.
Ecco gli articoli:
La libertà di stampa repressa in Turchia
LA STAMPA: "Nemici e amici di Ankara"
Amici ritrovati
Israele
Il ristabilimento delle relazioni con lo Stato ebraico è il miglior risultato di Erdogan
Russia
Putin ha colto l’occasione del golpe per ristabilire i rapporti
Nuovi nemici
Egitto
Dopo il golpe contro Morsi è diventato un rivale strategico
Iraq
I rapporti sono pessimi da quando Ankara si è alleata col Kurdistan iracheno contro il Pkk
Alleati persi
Stati Uniti
I legami restano forti per il vincolo della Nato ma la fiducia reciproca è ai minimi storici
Ue
La crisi dei rifugiati, e i ricatti di Erdogan, hanno lacerato le relazioni
Arcinemici
Siria
Assad è il nemico numero uno
Armenia
Erevan vuole il riconoscimento del genocidio del 1915
Veri amici
Arabia Saudita
Vuole formare con Ankara un asse sunnita in funzione anti-Iran
Qatar
Il Paese più vicino ai Fratelli musulmani è l’alleato naturale di Erdogan
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Erdogan: America dietro la rivolta. E trova una sponda con Putin"
Giordano Stabile
Erdogan affetta la democrazia in Turchia, l'Europa osserva
Resta a Istanbul, Recep Tayyp Erdogan. Si mescola alla folla, partecipa ai funerali dei «martiri» del fallito golpe, ricorda un amico caduto, piange davanti alle bare. Promette al suo popolo che lo acclama al grido «Allah è grande» che ripristinerà la pena di morte, chiesta a gran voce, e «al più presto». Detta l’agenda. Mobilitazione 24 ore al giorno, perché la rivoluzione «non è un affare da mezza giornata». Azione implacabile per estirpare il «cancro» Fethullah Gulen. E poi un ribaltamento delle alleanze. Putin, sentito al telefono dopo quasi un anno, torna amico. L’America è un ex alleato con cui si litiga sempre più spesso. I moniti dell’Europa sul rispetto delle regole democratiche non vengono neppure ascoltati.
Quartiere conservatore
La «democrazia» qui è il leader che abbraccia il suo popolo. Lo scenario scelto da Erdogan è quello del quartiere di Fatih, al centro della Istanbul dentro le mura, la sua roccaforte da quando era sindaco. Da fatiscente è stato trasformato in un gioiellino di strade pedonali lastricate, negozi, viali di platani e aranci. Un quartiere «parigino» se non fosse per la percentuale di donne velate, molte con il niqab nero. Al centro c’è la moschea Fatih Sultan Mehmet, il conquistatore di Costantinopoli. È la prima moschea fondata in città, nel 1453, una meraviglia di marmi policromi e cupole che sembrano galleggiare nell’aria. Erdogan arriva verso le due, ai funerali di quattro «martiri» della battaglia sul Bosforo.
Uno era Erol Olcak, un amico di lunga data, ucciso assieme al figlio sedicenne Abdullah. Le bare sono avvolte in bandiere verdi islamiche e rosse con la mezzaluna nazionale. Erdogan, in giacca grigia e camicia a quadri, prende il microfono. Comincia a parlare ma si ferma subito. Si commuove. Poi si riprende, confortato dalla folla che preme. È un appello alla mobilitazione permanente. Non si sente ancora al sicuro e per questo non torna ad Ankara. Arrivano voci di scontri all’aeroporto Sabiha Gokcen, poi domati in serata. Erdogan chiede alla gente di restare nella strade «24 ore al giorno». Rassicura che i golpisti «non hanno nessun posto dove andare», ma ora bisogna smantellare «la struttura parallela» che Gulen ha costruito in segreto «nei tribunali, polizia, forze armate e media» per rovesciare lo Stato.
Duello con Kerry
La folla, che comincia a radunarsi nel grande cortile in tarda mattinata, sembra già istruita. Behlul Giftzi, in polo arancione, arriva con la figlioletta. «No, dell’America non ci si può più fidare. Dietro Gulen c’è la Cia. E lui ha costruito uno Stato nello Stato». Rabia è nata a Londra e si è trasferita a Istanbul dopo essersi sposata. Indossa un elegante foulard grigio a pois viola, è venuta per un altro martire, Mehmet Kuder, cuoco nel ristorante dello zio. «Quando ha sentito del golpe è uscito dal lavoro per andare in piazza. S’è preso una pallottola. Non aveva ancora 40 anni». Anche per Rabia la fiducia nell’America «non può più essere quella di prima: lasciano che Gulen continui a tramare, ma noi lotteremo fino alla fine». Il golpe è fallito «perché questa volta non abbiamo avuto paura, non s’era mai visto». Non ci si può più neanche fidare dell’esercito, servirebbe «una guardia presidenziale», selezionata. Che sa tanto di Pasdaran.
Anche Adem Sakarya, un ragazzo sui 25, ha partecipato alla battaglia, all’aeroporto Atatürk. «Ero appena atterrato da Vienna - racconta -. Ho visto l’appello su FaceTime». Chi c’è dietro i militari? «Bisogna andare a cercare in Pennsylvania», dove da 17 anni vive l’imam e magnate dei media arcinemico del Sultano. Erdogan non attacca personalmente gli Stati Uniti. Bastano le parole del fidato ministro del lavoro Suleyman Soylu, che nella notte ha accusato Washington di «essere dietro al golpe» e di proteggere Gulen. Barack Obama da parte sua dice di essere fortemente «deluso» dal leader turco e il segretario di Stato John Kerry replica ad Ankara che è «irresponsabile accusarci». «Gli Usa - spiega - non stanno proteggendo nessuno. E non abbiamo mai ricevuto una richiesta di estradizione».
Putin al telefono
Ma la rottura, anche se la base di Incirlik è stata riaperta, è difficile da sanare. Erdogan cerca altre sponde. Finito il bagno di folla, sente il presidente russo Vladimir Putin al telefono. Lo Zar fa le condoglianze per le vittime, esprime solidarietà, conferma il sostegno al «governo democraticamente eletto» e promette «presto» un incontro. Già la prima settimana di agosto. È un giro di valzer impressionante, dopo otto mesi di accuse feroci in seguito all’abbattimento di un bombardiere Su-24 al confine con la Siria alla fine di novembre. La Siria, e soprattutto il presidente Bashar al-Assad, resta il grande ostacolo per una vera alleanza Russia-Turchia. Ma Erdogan, ora ancor più con l’esercito ridotto a brandelli, ha il problema dei curdi. Al di là di Gulen, Ankara chiede a Washington garanzie chiare affinché non nasca un Kurdistan siriano. Se Mosca gliele darà, potrebbe anche digerire Assad.
CORRIERE della SERA - Sara Gandolfi: "Non è stata una farsa ma aiuterà il potere nella caccia alle streghe"
Sara Gandolfi
Can Dündar
Istanbul « No, non è stato un golpe “finto”, ma Erdogan sicuramente lo userà per consolidare il suo potere e liberarsi degli oppositori». Can Dündar, il giornalista e direttore del quotidiano turco Cuhmuriyet , condannato in primo grado, nel maggio scorso, a cinque anni e dieci mesi per «rivelazione di segreto di Stato», resta una delle poche voci del dissenso che non esita ad esporsi, nonostante tutto. Assieme al collega Erdem Gül, è salito alla ribalta internazionale dopo aver pubblicato un articolo in cui rivelavano il traffico di armi gestito dai servizi segreti di Ankara fra la Turchia e la Siria: sono stati perseguitati penalmente e incarcerati, anche a seguito di un esposto alla magistratura dello stesso Erdogan. Can, ora in attesa del processo d’appello, risponde a tutte le domande tranne una.
Pensa che l’attuale crisi fra Turchia e Stati Uniti comprometterà la lotta all’Isis in Siria e al terrorismo in Europa? «Non sono sicuro, preferisco non rispondere».
Qual è la sua opinione sui fatti di venerdì? «Non bisogna dubitare di un tentativo in cui hanno osato bombardare il Parlamento e il Palazzo presidenziale. È stato un reale tentativo di colpo di Stato, condotto con poco cervello».
In un tweet lei ha scritto che l’Akp (il partito del presidente, ndr ) ha tratto molti vantaggi dai due precedenti colpi di Stato. Succederà anche con questo? «Perlopiù sì... Subito dopo il golpe, Erdogan ha detto: “Questa sollevazione per noi è un regalo di Dio perché ci darà il motivo per ripulire il nostro esercito”. Ha già ripulito le forze armate, arrestando 3 mila soldati, e poi tremila giudici e pubblici ministeri. Molti altri seguiranno».
Le piazze sono piene di sostenitori di Erdogan. Quale sarà la sua prossima meta? «Voleva essere il Sultano della Turchia... Presidente di un sistema politico non-secolare, autocratico, repressivo».
Oggi (ieri, ndr ) il suo quotidiano ha titolato «La soluzione non sono né i cannoni dei militari né la negazione della Costituzione». Ma che spazio resta per l’opposizione e la società civile in Turchia? «Dipende da noi, le forze democratiche di questo Paese. Se falliremo nell’unire le nostre forze per difendere i valori democratici, i nostri stili di vita, le libertà, le nostre radici secolari, la libertà di stampa, lo Stato di diritto, l’eguaglianza fra uomo e donna, la Turchia perderà il suo futuro assieme al suo volto moderno».
La libertà di stampa è sempre stata minacciata. La situazione rischia di peggiorare? «Una delle prime decisioni prese dal governo dopo il tentativo di golpe è stata di bloccare l’accesso a diversi siti di informazione oltre che a Twitter, Facebook e YouTube... I mezzi di informazione filo-governativi hanno già iniziato la caccia alle streghe contro i giornalisti d’opposizione. La situazione peggiorerà sicuramente per i media in generale, con un potere ancora più forte nelle mani di Erdogan».
Lei ha criticato aspramente l’accordo fra Unione Europea ed Ankara, accusando la Ue di aver «tradito i valori democratici». Ma venerdì notte i leader europei non hanno preso subito una posizione netta in favore del governo Erdogan. L’alleanza è fragile? «Hanno aspettato finché è stato chiaro che il colpo di Stato era fallito; l’ennesimo comportamento vergognoso. L’Europa da tempo sta reagendo in base all’interesse del momento, non ai suoi principi fondamentali. Lo sanno che una Turchia più autocratica potrebbe minacciare l’accordo fra Ue e Turchia sui migranti. Devono capire che non è in pericolo soltanto quell’intesa, ma anche il nostro futuro comune».
Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare:
La Stampa 011/65681
Corriere della Sera 02/62821
Oppure cliccare sulle e-mail sottostanti