Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/07/2016, a pag. 21, con il titolo "Golpe fallito, Turchia ancora più islamica", l'analisi di Stefano Stefanini.
Stefano Stefanini
Il sultano Erdogan
Venerdì notte, nelle piazze di Ankara e di Istanbul, sui ponti che uniscono Europa e Asia, si è combattuta l’ultima battaglia fra Turchia kemalista e Turchia anatolica. La prima è stata sconfitta. Definitivamente. I militari ne erano i garanti storici. Il loro fallito colpo di Stato consolida la svolta confessionale e il regime populista-autoritario del Presidente Erdogan. Questa realtà riguarda una cruciale pedina Nato e un partner scomodo ma indispensabile dell’Unione Europea (oltre che Paese eterno candidato). Europa e Occidente vi si devono confrontare.
Un amico turco, secolare al midollo, mi ha subito scritto: «Siamo contenti che il colpo si fallito». Non ho dubbi sulla sua sincerità. Inutile strapparsi le vesti dietro la perdita della Turchia secolare e occidentalizzata. Esiste ancora negli strati professionali e cittadini della società turca, ma è minoritaria. Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) di Erdogan è ininterrottamente e legittimamente al potere dal 2002. Dopo essersi rafforzato, più di una volta, alle urne, ha vinto adesso la prova di forza del colpo di Stato.
Non parliamo però neanche di trionfo della democrazia. In un Paese spaccato in due, Ergogan ha vinto con la forza dell’ascendente e della demagogia. È il consenso costruito dall’alto e controllato dall’esecutivo, come quello di Putin in Russia o di Kaczynski in Polonia. È la democrazia plebiscitaria dei referendum, come quella del 52% dei britannici che il 23 giugno ha determinato il futuro del Regno Unito e ricadute a catena su Europa e Occidente. Sarà democrazia per suffragio universale, ma ha poco a che vedere con la divisione dei poteri di Montesquieu o con i «checks and balances» della Costituzione americana.
Il segreto dei colpi di Stato, insegnava Curzio Malaparte, è il controllo rapido dell’ordine pubblico e dell’informazione. Forse non è più possibile; ecco perché falliscono tanti colpi di Stato, ecco perché la piazza ha spesso il sopravvento sul potere costituito, dalle rivoluzioni colorate temute dal Cremlino alle primavere arabe che hanno deposto autocrati inossidabili.
Ai militari turchi è venuto meno prima il controllo dell’informazione, poi quello della strada. L’immagine chiave della nottata non sono i carri armati; è quella di Erdogan che parla alla nazione in FaceTime, dallo schermo di un iPhone 6 fra le dita di una giornalista televisiva turca. Al Presidente turco non sono stati necessari gli strumenti sofisticati dell’Nsa: è bastata una tecnologia che ciascuno di noi ha in tasca. Poco dopo, il suo popolo è sceso nelle piazze e nelle strade, incurante del coprifuoco proclamato dai militari. Il mondo assisteva in diretta televisiva. La partita del colpo di Stato era persa.
Recep Tayyip Erdogan vede adesso rafforzato il suo potere personale. La svolta autoritaria si accentua per inerzia. La modifica della Costituzione per accrescere i poteri presidenziali è a portata di mano. Il bilancio provvisorio degli scontri, quasi 300 morti, è pesantissimo; oltre 150 arresti di militari fanno presagire misure durissime. Il primo ministro, Binali Yildirim, fedelissimo del Presidente, le aveva minacciate subito. In guerra con i curdi e bersagliata da Isis, la Turchia di Erdogan non va tanto per il sottile.
Washington e le capitali europee hanno saggiamente taciuto mentre la partita fra militari e Erdogan era in corso. Ora, dopo le dichiarazioni di circostanza, Europa e Stati Uniti sanno per certo che la Turchia del prevedibile futuro è quella di Erdogan e dell’Akp. Non c’è ritorno al passato. Nella Nato la Turchia ha il secondo apparato militare dopo quello americano. Ne esce indebolito non fosse altro che per le inevitabili purghe. Né Isis né la Russia verseranno molte lacrime. Nell’ottica italiana s’indebolisce il fronte mediterraneo all’interno dell’Alleanza Atlantica.
Vent’anni fa si faceva un gran parlare di «deriva islamica» di Ankara. Adesso è avvenuta. Il fallito colpo di Stato la consolida. Come l’uscita di Londra dall’Ue è un’altra incrinatura nella compattezza e nell’identità dell’Occidente. Oggi non possiamo che prenderne atto. Domani dobbiamo pensare a come rispondere.
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