Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/07/2016, a pag. 1-3, con il titolo "Così è nata la rivolta del 15 luglio", il commento di Giordano Stabile; a pag. 3, con il titolo "I soldati stanchi della crisi siriana, si va verso la guerra civile", l'intervista di Marta Ottaviani all'analista turco Yavuz Baydar.
Con la ripresa del potere da parte di Erdogan, tutte le cronache pubblicate oggi sui quotidiani risultano non aggiornate. Mentre scriviamo può cambiare ancora molto in Turchia, anche se sembra che il regime di Erdogan abbia ripreso il controllo del potere. Il sito del Jerusalem Post e altri analoghi dei più importanti giornali scrivono di una completa ripresa del potere da parte di Erdogan (ore 10:30).
Ecco gli articoli:
Giordano Stabile: "Così è nata la rivolta del 15 luglio"
Stupisce il modo in cui Stabile descrive il regime di Erdogan ("Il presidente turco si è ispirato ai Fratelli musulmani, ma è restato per un decennio nel solco della democrazia"), anche se il prosieguo dell'articolo smentisce questa impostazione, descrivendo la deriva islamista della dittatura del Sultano.
Ecco il pezzo:
Giordano Stabile
Tentativo di colpo di stato notturno in Turchia
Dopo Mohammed Morsi, Recep Tayyip Erdogan? Il colpo di Stato in Egitto ha chiuso la breve parentesi della Primavera araba. Quello in Turchia metterebbe fine al più importante esperimento di Islam politico. Il presidente turco si è ispirato ai Fratelli musulmani, ma è restato per un decennio nel solco della democrazia.
Il suo mentore politico e ideologico era un militante islamico sui generis. Il filantropo, filosofo e magnate dei media, Fetullah Gulen. Un uomo dal potere occulto ma immenso.
Articolato su migliaia di scuole gratuite in tutto il mondo, non solo in Turchia. Ispirato più a una visione sua che dura e pura salafita, come Morsi e il suo maestro Mohammed Badie.
Islamizzazione soft
Con questa articolazione e una impostazione economica ha raccolto i frutti positivi delle globalizzazione, soprattutto con l’Unione doganale con la Ue, così Erdogan ha condotto una islamizzazione soft della Turchia laica fondata da Ataturk. Ma per quanto strisciante l’islamizzazione non poteva non scontrarsi con l’esercito, che della laicità era e resta il baluardo. Anche se non democratico.
Lo scontro frontale è arrivato cinque anni fa. Erdogan, con l’aiuto dei media e della rete di potere di Gulen, denuncia il complotto di Ergenekon, una organizzazione accusata di aver tentato di togliere il potere all’allora ancora premier. Centinaia di ufficiali, molti generali, intellettuali laici, giornalisti finiscono a processo. Compreso Ilker Babug, ex capo di Stato maggiore. Il più kemalista di tutti.
Il processo va avanti per cinque anni. Al tribunale di massima sicurezza di Silivri, alle porte di Istanbul, arrivano anche le condanne in primo grado, in realtà miti per un tentato colpo di Stato. Piano piano il caso si sgonfia. Erdogan ha rotto con Gulen. Ha cercato di mettere in galera anche il suo mentore fuggito negli Stati Uniti.
Siamo nel dopo Morsi, è primavera araba. Il progetto di Erdogan di una repubblica presidenziale islamica si scontra anche con i suoi ex alleati. L’appoggio ai Fratelli musulmani diventa anche appoggio ai movimenti salafiti più estremisti. La tolleranza nei confronti dell’autostrada della jihad dove passano i terroristi dell’Isis lo rende sospetto all’alleato internazionale più importante, gli Stati Uniti.
«Tutti nemici»
La politica del «nessun problema alle frontiere» è diventata quella dei «tutti nemici alle frontiere». Nel 2010 ha rotto con Israele, nel 2013 con l’Egitto, nel 2015 con la Russia. La guerra ai media con irruzioni nelle redazioni, arresti di massa dei reporter fa precipitare la qualità della democrazia turca ai minimi termini. Senza i turisti russi l’economia crolla. Il braccio di ferro, i ricatti alla Merkel sulla crisi dei rifugiati sono solo l’ultimo colpo.
Erdogan ha tutti nemici anche all’interno. L’uomo più fedele, il premier Davutoglu, quello che era Medvedev per Putin, lo abbandona e viene sostituito da un esecutore senza visione politica. Erdogan tenta una inversione a U impossibile. Fa pace con Israele. Con la Russia. Apre persino alla Siria dell’odiato Assad. Troppo tardi.
Il processo ai generali intanto, ad aprile, si è concluso con una assoluzione collettiva. Tutto un complotto, ma alla rovescia. Dei giornali e degli uomini di Gulen. L’esercito ha riacquistato l’onore. E il potere. La guerra ai curdi, voluta da Erdogan per rovesciare l’esito non favorevole alle ultime elezioni, ha ridato ai militari anche popolarità nei settori nazionalisti della società, ancora molto forti.
Il Presidente, chiuso nel suo palazzo da duecento milioni di dollari, con i giannizzeri in stile ottomano, finti, a fare da guardia, poteva solo aspettare l’esito scontato dello scontro finale. Il progetto neo ottomano è stato sepolto. La Turchia non rischia più di diventare una repubblica islamica. Ma neppure una democrazia compiuta.
Lo Stato Maggiore ha perso la pazienza a causa della situazione nel Sud-Est del Paese e della crisi siriana. Yavuz Baydar, analista turco, prova a riannodare i fili di una serata che ha sconvolto gli equilibri in Turchia.
Marta Ottaviani: "I soldati stanchi della crisi siriana, si va verso la guerra civile"
Marta Ottaviani
Yavuz Baydar
Yavuz Baydar, quarto colpo di Stato per la Turchia. Da dove trae origini? E perché?
«Il presidente Erdogan ha esagerato e i militari hanno detto “basta”. Il Sud-Est del Paese è a fuoco e fiamme da mesi. I rapporti con gli alleati della Nato sempre più critici a causa della politica estera seguita per anni dal leader dell’Akp. I soldati morti sono a centinaia. Non potevano più stare a guardare».
Crede che Erdogan se lo aspettasse?
«Se non aveva contemplato l’ipotesi di una ribellione, è stato veramente un ingenuo. Da mesi arrivavano segnali che i militari erano stanchi di sopperire alla drammatica situazione sul confine siriano. La sentenza della Corte di Cassazione di qualche mese fa che riabilitava le persone finite sotto processo per Ergenekon (la presunta organizzazione clandestina turca kemalista e ultra nazionalista, ndr) era un segnale».
Cosa succederà ora?
«Difficile da dire. La società è molto polarizzata. Andiamo verso la guerra civile. Per ricomporre questa frattura ci vorranno anni».
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