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La Stampa Rassegna Stampa
12.07.2016 Louis Mayer, l'ideatore della MGM, fabbrica di sogni
Commento di Stefano Della Casa

Testata: La Stampa
Data: 12 luglio 2016
Pagina: 26
Autore: Stefano Della Casa
Titolo: «Il collerico signor Mayer inventa i film del leone»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/07/2016, a pag. 26, con il titolo "Il collerico signor Mayer inventa i film del leone", il commento di Stefano Della Casa.

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Louis Mayer

Nel 1916 i dirigenti della Biograph, che fino a pochi anni prima era la più importante casa di produzione americana ma che da tempo naviga in cattivissime acque, decidono di non girare nuovi film: continueranno a distribuire quelli già girati e ad affittare i loro studi ad altri produttori. Sui giornali americani che parlano di spettacolo c’è un po’ di agitazione, ma anche la certezza che il cinema non finirà con la Biograph. Il Los Angeles Times, ad esempio, non ha dubbi: «Per una produzione che chiude, se ne aprono molte altre. A gestirle sono tedeschi e russi. Non avranno il talento dei primi, ma la voglia sicuramente sì». È un articolo che fotografa una situazione di fatto: sono gli immigrati dal vecchio continente a gestire quasi integralmente l’industria nascente del cinema. Hanno ben chiare le possibilità fornite da questo nuovo modo di proporre spettacolo. Una su tutte: le immagini in movimento, a parte poche didascalie, sono fruibili da un pubblico che per lo più è analfabeta o comunque non conosce ancora bene l’inglese che è già la lingua ufficiale della giovane nuova nazione.

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L’oro del cinema
Come dirà qualche anno più tardi il signor Warner, fondatore di un impero che esiste ancora oggi, «faceva impressione vedere migliaia di persone accalcarsi per vedere un film senza che tra loro riuscissero a comunicare. Quando ho visto questa scena, ho capito che la miniera d’oro vera era quella. I cercatori d’oro avrebbero fallito, chi si occupava di cinema avrebbe fatto i soldi». E così è stato. Le prime sale si chiamavano Nickelodeon, teatri da un nickel che era il modo con il quale si chiamava la frazione più piccola del dollaro. Un nickel in tasca ce l’avevano tutti per passare un paio d’ore: e, messi uno sopra l’altro, quei nickel costruivano vere e proprie fortune.

Tra questi stranieri così attivi nel mondo del cinema c’è sicuramente il signor Louis Mayer, già molto noto per due caratteristiche personali delle quali non faceva mistero: era molto intraprendente e aveva un pessimo carattere. A 22 anni il giovane Mayer, nativo della Bielorussia e poi trasferitosi in Canada dove il padre trafficava in rottami di ferro, si era trasferito a Boston. Era il 1904, e Mayer fu il primo ad aprire una sala cinematografica da quelle parti. Nel giro di pochi anni ha già costruito un impero, sulla costa Atlantica non ha rivali. Come molti proprietari di sale, nel 1916 decide di aprire una sua casa di produzione, la Metro. La società nasce a New York, ma ben presto si sposta a Los Angeles e più precisamente a Hollywood, la collina scelta dagli uomini del cinema per una grossa speculazione immobiliare, una delle meglio riuscite della storia visto il valore che hanno raggiunto gli edifici lì sorti in un secolo.

Il ruggito di Leo
Dopo pochi anni, decide di fondersi con il signor Goldwyn (che si chiamava in realtà Samuel Gelbfisz ed era un ebreo polacco che a sua volta aveva costruito un piccolo impero nella produzione cinematografica). Nel 1924 nasce, dopo qualche assestamento societario, la Metro-Goldwyn-Mayer. Il suo logo è il leone più famoso del mondo: si chiamava (con poca originalità) Leo, era nato in cattività nello zoo di Dublino, poi trasferito in America e reso famoso prima dalla criniera fluente e poi dal 1928 (quando il cinema diventa sonoro) anche dal ruggito registrato con un magnetofono all’avanguardia per i suoi tempi.
Da allora la Mgm (come tutti la chiamano grazie ad un acronimo che si impone subito) diventa una presenza fissa nel mondo dello spettacolo. Non sono sempre rose e fiori, anzi il caratteraccio di Mayer è noto a tutti fin dall’inizio. Nelle stanze della direzione sono leggenda le furibonde liti tra il «russo» Mayer e il «tedesco» von Stroheim (in realtà il primo è bielorusso e il secondo austriaco, ma come è noto gli americani non sono mai stati molto sensibili alle sfumature territoriali del vecchio continente): il film in questione si chiama Greed, cioè Rapacità, racconta una lunga metafora di quanto il denaro possa fare incarognire le persone, era stato pensato da Stroheim come un film di sette ore e uscirà con una durata definitiva di circa cento minuti.

Ben Hur
Nella lite svolgerà un ruolo decisivo Irving Thalberg, che diventerà poi il direttore della Mgm. Ma le urla di Mayer, come si è detto, diventano leggenda. Quando pochi anni dopo Louis Mayer contribuisce in modo decisivo a fondare il premio più importante del mondo, e cioè gli Oscar, il regista Fred Niblo (che aveva girato con lui nel 1926 il kolossal Ben Hur) si raccomanda: «Louis, facciamo quello che vuoi, basta che non urli».

Thalberg muore nel 1936, Mayer continua a dettare legge prima e dopo la sua morte. Azzecca molte scelte (prima tra tutte Via col vento, 1939, uno dei film più famosi della storia del cinema, ma anche la serie di Tarzan), qualcosa invece non va per il verso giusto ma la società macina profitti e il leone continua a ruggire.

Gene Kelly
Poi scoppia la guerra mondiale e anche in quel caso Mayer ha le idee molto chiare: da un lato ordina che vengano prodotti molti film di propaganda antinazista, dall’altro mette sotto contratto uno dei più grandi musicisti del periodo, Arthur Freed. A guerra finita, la Mgm diventa la regina dei musical: il più famoso è Cantando sotto la pioggia, con un Gene Kelly in stato di grazia e, nella versione italiana, una canzone sapientemente cantata dal grande Elio Pandolfi.
Negli Anni Sessanta, come cantava Bob Dylan, i tempi cambiano, e cambiano rapidamente. Mayer non c’è più (muore nel 1957) e quindi non può assistere alla riproposizione del kolossal Ben Hur (questa volta girato in Italia e con Sergio Leone tra gli aiuto registi) e neanche alla scelta vincente di portare sullo schermo le avventure di James Bond, l’agente segreto creato da Ian Fleming. Di sicuro avrebbe fatto sentire il suo vocione quando nel 1968 Stanley Kubrick impone che ad aprire il suo 2001 odissea nello spazio sia un leone non più in carne ed ossa ma stilizzato (sebbene ruggente). Non durerà a lungo, il leone tornerà a essere in carne ed ossa pochi anni dopo e a furor di popolo. E, per sua fortuna, sfugge anche all’opaca acquisizione del finanziere Parretti appoggiato dalla banca Credit Lyonnaise. Fallimento, polemiche, accuse incrociate ma per fortuna il leone ruggisce ancora oggi, tra un remake di Ben Hur, la serie Hobbit e il vecchio, rassicurante scontro tra Tom e Jerry.

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