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Israele resiste
Dopo l’ennesimo fallimento di riprendere le fila dei colloqui israelo-palestinesi per via indiretta, sarà utile un esame per capire la posizione di Israele. 1. L’Anp di Abu Mazen continua a rifiutare il riconoscimento di Israele quale Stato degli ebrei, già questo basterebbe per delegittimarlo come interlocutore. La leadership palestinista è però quella, il che spiega perché i colloqui si sono sempre bloccati a ogni ripresa. Vi sono poi altri motivi. 2. Gli accordi di Oslo (agosto 1993), firmati da Israele e Olp, prevedevano la fine delle violenze, che però sono continuate senza interruzione sino ad oggi: kamikaze suicidi, missili da Gaza, accoltellamenti e uccisioni con ogni tipo di arma, che hanno rilanciato un terrorismo diffuso su ogni livello sociale. Da Arafat a Abu Mazen, nulla è cambiato, fino alla recente dichiarazione che l’Anp non avrebbe più ripreso qualsiasi tipo di colloqui se non cambiava la leadership israeliana. Il che ha reso inutile l’ultimo tentativo di François Hollande, una conferenza internazionale di pace a Parigi, che ha chiuso i battenti lo stesso giorno che è iniziata. 3. Malgrado le evidenti responsabilità della parte palestinista, i governi occidentali e le organizzazioni internazionali (ONU, UE ecc.) hanno insistito ad attribuire allo sviluppo delle ‘colonie’ da parte israeliana la ragione dello stallo del processo di pace, richiamandosi ancora una volta agli accordi Oslo. 4. Che però non prevedevano alcun congelamento di nuove costruzioni, per questo e per motivi squisitamente legati al fabbisogno di nuove case per una popolazione sempre in crescita, si sono ingranditi i villaggi già esistenti, anche nella ‘Zona C’, che Oslo attribuiva comunque alla esclusiva responsabilità israeliana.
5. La foto storica della firma del trattato ci mostra il presidente Clinton mentre sorride guardando Rabin e Arafat che si stringono la mano. Il seguito è stato meno allegro, le offerte di due premier israeliani – Barak e Olmert - vennero respinte, e la porta girevole dei successivi colloqui non si è più fermata. Fino ad oggi, su decisione dell’Anp, con l’abbandono annunciato da Abu Mazen. La soluzione dei due stati si trova ad essere proposta oggi solo dagli organismi internazionali, il governo d’Israele è pronto a tornare al tavolo per discuterla, ma il partner non c’è più. Che i palestinisti vogliano tutto è la spiegazione più ovvia, come è sempre stato nelle intenzioni dell’Olp sin da quando si è costituito a metà degli anni ’60. Questa, dunque, la situazione fino a oggi, anche se qualcosa di positivo potrà accadere dopo la visita dell’altro giorno del ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, la prima dopo nove anni di assenza. L’Egitto si propone, da quanto è emerso dal colloquio con Bibi Netanyahu, quale partner super partes disponibile a facilitare la ripresa dei colloqui di pace. Il suo arrivo a Gerusalemme segue quello di due settimane fa a Ramallah, un segnale più che chiaro della volontà di Abdel Fattah al-Sisi di sostituire l’Egitto ai tentativi compiuti senza risultati dai vari governi occidentali. Il passo è positivo, anche se devono essere esaminate le posizioni dell’Anp. Nei prossimi giorni è probabile un incontro al Cairo tra Sisi e Netanyahu.
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