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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
10.07.2016 Lo splendore dello Zohar
Recensione di Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 10 luglio 2016
Pagina: 35
Autore: Giulio Busi
Titolo: «Splendori enciclopedici dello Zohar»

Riprendiamo dal SOLE 24 ORE - DOMENICA di oggi, 10/07/2016, a pag. 35, con il titolo "Splendori enciclopedici dello Zohar", la recensione di Giulio Busi.

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Giulio Busi

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Provate a immaginare uno specchio, a cui vi affacciate in cerca del vostro vero sembiante. Quello che vi appare, così voi siete. Se siete stanchi, anche l'immagine sembrerà provata. Sevi sentite felici, lo specchio vi restituirà un sorriso. Al posto di un vetro, pensate ora di cercare il vostro volto in un libro. Il volume sarà triste nei giorni bui, e avrà pagine luminose quando vi torna forza e fiducia. Il Sefer ha-zohar, «Il libro dello splendore» è stato per secoli, per alcuni è ancora, uno specchio fatto di parole. È il più famoso e influente capolavoro del misticismo ebraico, ma è anche una superficie misteriosa, capace di riflettere il volto gioioso e quello tragico della diaspora.

Protagonisti del racconto, che si estende per centinaia e centinaia di pagine, aspree profonde, sono rabbi dai gusti difficili. Passano giorni a discutere su di una manciata di frasi bibliche, si accalorano, piangono quando non capiscono, si esaltano se trovano un'interpretazione nuova. mai tentata Drima. Per quanto ne sappiamo, questa enigmatica enciclopedia dello scibile celeste viene dalla Penisola iberica.

È stata assemblata nel tardo Duecento, frutto di veglie febbrili e della solitudine di un piccolissimo gruppo di studiosi. Di grande cultura e di mezzi modesti, discriminati come ebrei nella società cristiana, e probabilmente isolati, a causa delle loro idee mistiche, anche all'interno della comunità ebraica, questi visionari medievali si sono immaginati un mondo in cui è fondamentale capire, discutere, scoprire. «La Torah è come un sogno che debba essere interpretato».

Lo Zohar cerca di realizzare una simile interpretazione, e del sogno riproduce le forme labirintiche e il senso di spaesamento. Tradurre dall'aramaico e dal l'ebraico una foresta così folta di simboli è compito improbo, che richiede quasi altrettanta passione di quella spesa, secoli fa, da chi queste pagine le inventò per la prima volta. La monumentale traduzione inglese dello Zohar, la prima completa e affidabile mai tentata in una lingua moderna, è ora quasi completata.

Il decimo volume, uscito in questi giorni, affronta il Midrash ha-nelam, «il commento nascosto», il nucleo inizialeda cui è germinato il resto del libro. Nato come prodotto quasi clandestino, destinato a una cerchia ristretta, lo Zohar si diffuse poi, nei secoli seguenti, sino a assumere il ruolo di guida della spiritualità giudaica tra Cinque e Seicento. Era l'età del ghetto e della segregazione fisica, e gli spazi liberi del mondo divino servirono a molti come consolazione alle angustie quotidiane. Se cercate uno specchio dell'anima, questo libro saturo di speranze e disillusioni potrebbe fare al caso vostro.

The Zohar, Pritzker Edition, vol. 10, Traduzione e commento di Nathan Wolski, Stanford UP, Stanford, pagg. 656

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