Il ritorno di Gideon Sa’ar alla poltica attiva?
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
A destra: Gideon Sa'ar (https://en.wikipedia.org/wiki/Gideon_Sa%27ar)
Gideon Sa’ar, likud, già ministro dell’interno e dell’educazione, portavoce della Knesset dal 2013 al 2014, al secondo posto dopo Netanyahu nelle elezioni del 2008 e primo nelle primarie likud del 2012, si dimise da ogni incarico nel settembre 2014, prima delle elezioni politiche, a causa di uno scandalo sessuale: una supposta relazione con una DJ di una discoteca di Tel Aviv, se fosse maggiorenne non è mai stato accertato, ma l’accusa era sufficiente per distruggerne l’immagine politica, anche perché Sa’ar era sempre stato in prima fila nel difendere i diritti delle donne, quando diresse il Comitato della Knesset sullo status della donna – il primo uomo a dirigerlo- come quando propose una legge che condannasse chiunque licenziasse una lavoratrice incinta. Lo scandalo si risolse nel nulla, forse montato ad arte e sfruttato da concorrenti invidiosi di un collega la cui carriera l’aveva portato a essere un credibile candidato alla successione di Bibi.
Dopo le dimissioni, è oggi ‘senior fellow’ all’ Insitute for National Security Studies (INSS) Questo breve curriculum, per saperne di più su di lui, in quanto le sue posizioni di fronte ai prossimi 50 anni della liberazione/unificazione di Gerusalemme sono estremamente interessanti e soprattutto chiare. Le ha espresse in una analisi sul Jerusalem Post dell’8 luglio, dal titolo “Costruire a Gerusalemme: Adesso!”.
Dopo le lodi a Netanyahu per avere riaffermato il diritto a una capitale indivisa, diversamente da quanto proponevano Barak e Olmert, e che il destino di Gerusalemme non sarà mai oggetto delle trattative con i palestinesi, Sa’ar esamina i punti salienti per capire la realtà della capitale d’Israele.
1. Ogni anno la maggioranza ebraica si restringe – 8.000 in meno ogni anno - mentre continuano le costruzioni di abitazioni di arabi, gran parte delle quali illegali. Il costo delle abitazioni è sempre più alto, dovuto agli ostacoli che impediscono di costruire nei quartieri intorno alla capitale. Sono oltre la linea verde, anche se di fatto sono dei veri e propri agglomerati abitativi contraddistinti alcuni da una loro municipalità (Maallè Adumim, Gilo, Har Homa, Ramot e molti altri)
2. L’obiettivo dei palestinisti è chiaro: creare una continuità tra Gerusalemme e Betlemme da un lato e tra Gerusalemme e Ramallah dall’altro. Non si capisce perché il governo d’Israele debba favorire una scelta che – qualunque sia il risultato dei colloqui, sempre che riprendano – alzerà il livello delle richieste della parte avversa.
3. Nel 1967, dopo la Guerra dei 6 giorni, la popolazione ebraica a Gerusalemme era il 74%, quella araba il 26%. Oggi le cifre sono queste: 62% ebrei, 38% arabi. Se non si cambia politica, fra 15 anni i numeri saranno identici, 50 a 50.
Sa’ar sottolinea come queste previsioni, certe al 100%, non coinvolgano la pubblica opinione, i media se ne disinteressano. E lancia un grido: costruire! Malgrado le pressioni internazionali. E rivolge un appello a Trump e Clinton, non importa chi dei due entrerà alla Casa Bianca: sostenete il diritto di Israele a costruire nella propria capitale, Gerusalemme, e che non eserciterete più pressioni contrarie. Un appello che preannuncia il ritorno di Gideon Sa’ar alla politica attiva? Un likud progressista, la cui linea politica non è lontana da quella di Netanyahu, che come Bibi quando parla tutti lo capiscono, sarebbe una buona notizia per il futuro dello Stato ebraico. In Israele sono in tanti ad augurarselo.
Angelo Pezzana