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3/4/02 A Michele Serra
Riflessione di Mara Marantonio Bernardini
Caro Michele Serra,

chi Le scrive è da tempo una Sua affezionata lettrice: non perdo né i suoi articoli su la Repubblica, né le Sue riflessioni per la rubrica l'Amaca sullo stesso quotidiano.

Per questo, Le confesso, sono dolorosamente allibita quando ho letto il Suo brano su L'Amaca di domenica scorsa, 31 marzo, quello che inizia con Arafat c'era già quando ero bambino....

Non La intratterrò a lungo sul complesso e difficile dramma mediorientale, affrontato, per lo più, da parte di stampa e televisione, in un'ottica aprioristicamente antiisraeliana, senza conoscere i fatti, intricatissimi certo, in modo adeguato o lasciandosi magari suggestionare dal mito -falso- dell'equidistanza o da certe espressioni magiche, ma vuote di significato, come "Spirale della Violenza".

In Europa questo orientamento prevale almeno da quando Lei era bambino e la sottoscritta un'adolescente; ma, da ultimo, il dramma si è colorato delle fosche tinte del fondamentalismo islamico, ricco di petrolio e in grado di mobilitare le masse contro un nemico sbagliato, l'Ebreo nasuto con le avide dita adunche, e il mostro, che credevamo relegato nelle pagine dei libri di storia, ha rialzato con prepotenza la testa.

Vorrei solo spendere poche parole sulla terza categoria di "fanatici" che il mediocre Bush dovrebbe domare, cioè gli orridi coloni (parole Sue), lasciando da parte l'orrido Sharon, trascinato in una guerra che gli è stata imposta, e gli orridi uomini-bomba, mandati/mandate a morire dal meraviglioso (!) Raiss, che pretende un'età sempre più giovane dai suoi Shaid. Al Presidente Arafat non interessa nulla dello Stato palestinese che non siano le sue dimensioni territoriali (sul sito web dell'ANP guardi, per favore, la carta geografica della Palestina); nulla per quanto attiene il diritto, l'economia, l'istruzione.

Tra gli abitanti della Giudea, della Samaria e della striscia di Gaza, impropriamente chiamati "coloni", vi è una presenza di minoranze oltranziste, ma sono frange insignificanti; si tratta, in larghissima maggioranza, di persone per nulla diverse dagli altri cittadini di Israele. Vi sono lavoratori, madri di famiglia, professionisti (tra questi, un esempio per tutti, un oncoematologo, il Dr. Gills, che curava indifferentemente arabi ed ebrei, ucciso in un'imboscata l'inverno scorso). Essi, tuttavia, si sentono, da tempo, soli e per di più colpevolizzati. Sono i primi ad essere sottoposti agli attentati terroristici palestinesi, anche se questa diciamo scomoda primogenitura è venuta meno col passare dei mesi della seconda Intifada -altra espressione "malata"- e, per di più, accusati, anzitutto dall'intelligentia del loro Paese (ma né Grossman né Yehoshua li hanno mai definiti "orridi", limitandosi ad esprimere pareri in merito alle modalità di una separazione unilaterale tra i due popoli), di essere la causa, se non altro prossima, delle tragedie che hanno investito Israele negli ultimi anni. Se ragioniamo in modo sereno, invece, possiamo dedurre che gli attentati non verranno meno, per magia, qualora i c.d. "insediamenti" venissero sgomberati; gli eccidi avvenivano nei decenni precedenti, anche prima che il relativo problema -esistente d'accordo, ma per la verità gonfiato ad arte- fosse posto; avvenivano anche prima che lo Stato di Israele nascesse; un esempio per tutti: Hevron, la città di Re Davide, nel 1929 fu teatro di uno spaventoso progrom antisemita. Non solo; la presenza degli "insediamenti" (tra l'altro, comunità ebraiche in quelle zone sono sempre esistite, da tempo immemmorabile, tranne che nel periodo 1948/1967) non è di ostacolo alla pace, se entrambe le parti vogliono la pace, se entrambe le parti sono disposte a sacrifici per un bene più grande che sia di vantaggio ad entrambe; vedi il trattato di pace con l'Egitto; Israele restituì il Sinai (vi erano stati costruiti "insediamenti", sgomberati proprio dall'attuale Premier), conquistato in guerra, territorio nel quale vi erano pozzi di petrolio, pensi Lei.

E ancora non dimentichiamo che Israele, assicurandosi nel 1967 il controllo di quelle zone -definite "Territori occupati" impropriamente, poiché né Giordania né Egitto hanno mai esercitato la loro sovranità su di esse- ha provveduto ad applicarvi quelle norme di carattere umanitario che il diritto internazionale prevede in materia di occupazione.

Non intendo dilungarmi oltre, anche se l'argomento si presterebbe.

Concludo con una citazione: l'autore si chiama Seth Mandell e vive a Teqoa (ricorda il profeta Amos?). Un figlio tredicenne di Seth, Yakoov, una mattina del maggio scorso marinò la scuola con il suo amico e coetaneo Yossef per andare ad esplorare una bellissima grotta a circa ottocento metri da casa; un po' come se i nostri figli facessero di nascosto una gita al Farneto, insomma.

Nella grotta li aspettava l'Orco.

Non aggiungo altro, perché questa tragedia mi ha colpito più di altre, forse perché vedo in essa la prova di un odio talmente radicale da sovvertire ogni umana, e animale, pietà.

"Costruire la casa in una terra contesa non è equivalente da un punto di vista morale al lapidare a morte dei ragazzi. Nello sforzo di mantenere un certo equilibrio i gionalisti, a volte, mettono sullo stesso piano questi due fatti, evitando così il disagio che deriva dall'assegnare in modo chiaro colpe e responsabilità.Ma è proprio questo il compito dei Paesi -e dei Popoli- civili: giudicare senza infingimenti e in modo critico gli assassini e i terroristi che sconvolgono le nostre esistenze e la nostra società".

Con i miei migliori saluti.



Mara Marantonio Bernardini

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