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Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana A destra: la Corte Suprema, una garanzia per la democrazia in Israele La risposta ai sostenitori del BDS – il movimento che delegittima la stessa esistenza di Israele - non è difficile da trovare, è contenuta nel rovescio delle loro tesi e ha un nome: democrazia. Ecco due esempi su come funziona in Israele. 1) Il 24 marzo scorso, a Hebron, dei soldati israeliani vengono assaliti da un gruppo di palestinisti. Un militare viene raggiunto da una coltellata; per difendersi, un altro militare, Elor Azaria spara e ferisce uno degli assalitori, che cade a terra. Elor gli si avvicina e nota che, malgrado la temperatura decisamente alta, indossa un giaccone pesante, abbigliamento abituale dei terroristi suicidi per nascondere la cintura esplosiva. È il primo pensiero di Elor, per difendere non solo se stesso ma anche i suoi compagni, spara e lo uccide per impedirgli di farsi eplodere. Ma il terrorista non aveva nessuna cintura esplosiva, la sua arma era il coltello. Elor non poteva saperlo, il suo dovere era mettere in salvo la sua vita e quella degli altri, e se invece l’avesse avuta la cintura esplosiva? È successo quasi sempre così, basta un secondo e l’esplosione genera una strage. Elor Azaria, in attesa di una indagine, è stato messo agli arresti, per aver ucciso un nemico già ‘neutralizzato’. Ma questo lo si è saputo dopo, e se fosse andata diversamente, tutti i segnali erano quelli che Elor aveva imparato nei corsi di preparazione.
Invece no, i diritti di Abdel Fatah al-Sharif, l’accoltellatore, vengono prima di tutti gli altri. In questi giorni si sta svolgendo il processo, speriamo che la corte tenga conto della situazione, dell’estremo pericolo di fronte al quale si trovavano i soldati, sul posto per difendere i cittadini, esattamente l’opposto di quanto si proponevano gli assalitori. Mi chiedo in quale altro paese funzioni una giustizia di questo genere, dove persino la vita di uno che sta per ucciderti – con un coltello o un’altra arma – viene considerata sacra. 2) Mentre Bibi Netanyahu è in missione in Africa, in patria la polizia e l’Avvocatura di Stato hanno alzato il tono delle indagini iniziate già fin dal 2009 su alcuni episodi di corruzione che coinvolgerebbero il Premier. Chi dirige di fatto l’orchestra è il quotidiano Haaretz, il cui scopo è la caduta di Netanyahu a qualunque costo. In Israele, come in tutte le democrazie, il potere della stampa può decidere la sorte del governo. Sempre che le accuse vengano dimostrate. Quelle contro Bibi, dato che le indagini durano dal 2009 non devono essere delle più dimostrabili, altrimenti la giustizia avrebbe già fatto il suo corso, soprattutto in Israele, dove anche il capo dello stato, se colpevole, deve scontare la sentenza, anche in carcere.
Di Bibi si parla di alcuni viaggi privati pagati da amici non bene identificati, di denaro ricevuto per campagne elettorali , accuse che sono tuttora da dimostrare. Senza entrare in merito, in un paese dove un quotidiano – Haaretz – non ha ancora la carica di ministro della giustizia, ci si comporta come si deve in una democrazia garantista. Le indagini si concludano il più presto possibile, a elezioni concluse è inaccettabile la continuazione della campagna elettorale. Dal canto suo Bibi è stato ricevuto ieri dal Presidente del Kenia che ha detto “abbiamo bisogno dell’aiuto di Israele per combattere il terrorismo”. È stato accolto ovunque come leader di un paese amico e gli incontri con i capi di stato di sette paesi nel palazzo presidenziale dell’Uganda – Kenia, Rwanda, Ethiopia, Tanzania, Zaire, Sudan del Sud - potranno modificare il rapporto finora negativo da quando Israele venne estromessa dal suo status di osservatore dalla Organizzazione dell’Unità Africana su richiesta della Libia e altri paesi arabi del nord Africa. Unità che dovrà ripensare alla propria funzione, visti i risultati ottenuti finora da Netanyahu.
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