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La Stampa Rassegna Stampa
07.07.2016 Abu Mazen come Saddam Hussein - Le responsabilità di Obama nel caos-Iraq
Analisi di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 07 luglio 2016
Pagina: 10
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «'Ma è anche per colpa di Obama se il Paese è in mano ai terroristi'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/07/2016, a pag. 10, con il titolo "Ma è anche per colpa di Obama se il Paese è in mano ai terroristi", l'analisi di Paolo Mastrolilli.

Jake Sullivan è consigliere di politica estera di Hillary Clinton. Le sue parole sono da incorniciare: «Il regime di Saddam era uno sponsor del terrorismo, pagava le famiglie dei kamikaze che colpivano Israele. I complimenti di Trump per i dittatori dimostrano quanto sarebbe pericoloso come comandante in capo». 

Saddam non faceva altro che comportarsi come ancora oggi si comporta l'Anp di Abu Mazen, che con i soldi delle democrazie occidentali paga i criminali condannati dai tribunali israeliani, finanzia le loro famiglie e esalta i "martiri", intitolando loro strade, scuole, piazze. Il parallelo Saddam-Abu Mazen è quanto mai attuale.

Ecco l'articolo:

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Paolo Mastrolilli

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Jake Sullivan

«Saddam era un cattivo soggetto. Molto cattivo. Ma sapete cosa faceva bene? Ammazzava i terroristi. Era bravissimo a farlo. Oggi l’Iraq è diventato l’Harvard dei terroristi». Queste frasi di Donald Trump hanno provocato subito una polemica, invitando la risposta immediata del consigliere di politica estera di Hillary Clinton, Jake Sullivan: «Il regime di Saddam era uno sponsor del terrorismo, pagava le famiglie dei kamikaze che colpivano Israele. I complimenti di Trump per i dittatori dimostrano quanto sarebbe pericoloso come comandante in capo».

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Saddam Hussein, Donald Trump

Questo in America è un anno elettorale e tutto, incluso il rapporto britannico sull’Iraq, verrà usato per influenzare le presidenziali. Ma le dichiarazioni di Trump, che gli hanno guadagnato l’odio dei neocon repubblicani, dimostrano come in 13 anni le posizioni su quella guerra si sono capovolte, evidenziando gli errori di entrambe le amministrazioni Bush e Obama. E Hillary, criticata da senatrice per aver votato a favore dell’intervento, ora difende la caduta di Saddam dal suo rivale repubblicano.

Il «peccato originale» era stato quello di Bush e i neocon, che avevano usato il falso pretesto delle armi di distruzione di massa per «esportare» la democrazia a Baghdad, e così cambiare il corso della storia in Medio Oriente: «Visto com’è andata - ci ha detto il generale Jay Garner, primo “governatore” dell’Iraq dopo Saddam - non avremmo dovuto invadere, perché l’Iraq che abbiamo costruito è alleato dell’Iran, non degli Usa. Poi sbagliammo a smantellare l’esercito: una sera andammo a letto, e la mattina ci svegliammo con 400.000 nemici in più, armati. Quelle però furono decisioni che non presi io». Le prese Paul Bremer, che ci ha dato questa spiegazione: «Tutta la società voleva la debaathificazione, il mio errore fu affidarla ai leader locali. Il decreto che firmai, scritto dal Pentagono, riguardava solo l’1% delle cariche più importanti. I politici iracheni lo allargarono, costringendomi ad annullarlo». Secondo Bremer, però, la responsabilità dell’Isis ricade su Obama: «L’errore è stato il ritiro completo delle truppe Usa, che ha lasciato il premier Al Maliki solo. A quel punto le sue politiche sono diventate molto più settarie, aprendo la porta al risentimento dei sunniti. Il Pentagono voleva lasciare fra 20 e 30.000 soldati dopo il 2011, ma la Casa Bianca ne accettava solo 3.000. Ciò ha messo Maliki in una posizione insostenibile: avrebbe corso i rischi interni legati alla permanenza dei militari Usa, senza i benefici di sicurezza, perché 3.000 soldati bastavano appena a difendere se stessi. Maliki si era offerto di firmare l’accordo personalmente, ma Obama ha preteso che lo approvasse il Parlamento. Così lo ha fatto saltare, dando l’impressione che cercasse solo una scusa per far rientrare tutti i soldati».

I critici del Presidente dicono che ha voluto il ritiro perché era un suo impegno elettorale, anche se la realtà sul terreno non lo consentiva. L’amministrazione risponde che Bush aveva già firmato uno «Status of forces agreement» che prevedeva il disimpegno entro il 31 dicembre, e Obama lo ha solo confermato quando Maliki si è rifiutato di garantire l’immunità legale ai soldati Usa. Lo stesso Obama, però, è stato poi costretto dall’Isis a fare marcia indietro. Ha ordinato il ritorno in Iraq di 4.087 soldati, più circa 900 delle forze speciali non conteggiati ufficialmente, per aiutare Baghdad a scacciare Isis. E ora, entro l’autunno, potrebbe inviare altri militari per aiutare la ripresa di Mosul.

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