I tre ‘se’
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
Bin Laden: perché il mondo approva i tuoi atti terroristici?
Arafat: perché per ora sono solo contro gli ebrei
Morale: Arafat o non Arafat, è sempre la stessa storia
Per capire il motivo per cui non si è ancora trovata una soluzione del conflitto israelo-palestinese, si deve partire dal rifiuto arabo della partizione della Palestina mandataria decisa dall’Onu nel novembre 1947. Se gli stati arabi l’avessero accettata – come fecero gli ebrei – sin da allora ci sarebbero due stati, Israele e Palestina, dei quali uno arabo non importa quale nome avesse assunto. È questo il primo ‘se’, a cui altri ne seguiranno, indispensabili per capire come la responsabilità del conflitto non deve essere attribuita a Israele, nemmeno parzialmente.
Gli ebrei ebbero uno Stato, la popolazione araba nessuno, ma per sua scelta. La divisione del Mandato britannico, fatta a tavolino, era la peggiore che si potesse immaginare, non risolveva nessun problema, semmai ne preannunciava di nuovi. Israele dovette infatti difendersi dalle guerre (cito per brevità soltanto due date: 1948 e 1967) che vinse, ma che dettero origine alla questione dei rifugiati arabi, che non avevano accettato di rimanere nei territori conquistati e annessi a Israele.
Ecco il secondo ‘se’, se i governi arabi avessero scelto di vivere in pace con i vicini israeliani, invece di cercarne lo sterminio, il Medio Oriente sarebbe diverso da quello che invece è diventato. Né va dimenticata la politica Onu/Ue, che invece di contribuire alla soluzione dei rifugiati, ha creato istituzioni (UNRWA), il cui fine era il mantenimento del conflitto e non la sua soluzione. Quindi niente pace, niente confini (tranne quelli con Egitto e Giordania, due paesi con i quali Israele ha un trattato di pace, a dimostrazione che la pace con lo Stato ebraico è possibile, basta essere in due a volerla), ma solo linee di cessate il fuoco.
Ecco l’origine dei cosiddetti ‘settlements’, non si capisce perché a Israele, in mancanza di un confine condiviso, dovesse essere vietato costruire su territori conquistati in due guerre non di conquista ma di difesa. Un diritto che però veniva giudicato legale all’altra parte, anche se non aveva mai ottemperato – tra l’altro - ai doveri che gli Accordi di Oslo le aveva imposto. Due istituzioni democratiche internazionali, Onu e Ue, che non hanno mai condannato i governi che avevano dichiarato guerra a Israele, a quasi 50 anni dall’ultima, non hanno fatto altro che mettere sotto accusa Israele, con provvedimenti mai applicati a nessun altro stato.
Il quotidiano Haaretz titolava ieri a piena pagina “L’impresa dei coloni è fallita”, ignorando le cause che l'hanno generata, continuando a ribadire la solfa della pace che è meglio della guerra, proponendo però nello stesso tempo quale soluzione il ritorno per Israele ai confini pre-1967/1948, che giustamente vengono ricordati come i “confini di Auschwitz”. Che dopo 50 anni di fallimentari colloqui tra Anp e governi vari israeliani, la soluzione dei due stati appaia sempre più improponibile, è un dato di fatto, ma anche qui entra in gioco un altro ‘se’: Israele, con governi di destra e di sinistra aveva offerto all’Olp il 95% della Cisgiordania e Gerusalemme est capitale di uno stato palestinese, offerta sdegnosamente sempre rifiutata. Se fosse stata accettata, oggi, ci sarebbe un ennesimo stato arabo in Medio Oriente.
Dopo quasi 70 anni di guerre e ostilità, pur senza considerare la lezione che è obbligatorio trarre da Gaza, ceduta al 100% con quel che ne è seguito, l’Occidente continua a premere su Israele, ignorando le responsabilità dell’Anp. Allora non si capisce perché si debba accusare di alcunché, né fallimento né altro, i coloni per aver deciso di vivere costruendo nuovi villaggi in territori che vanno dichiarati contesi e non occupati. Se questo criterio fosse valido, perché non viene adottato anche per gli arabi invece che solo per gli ebrei? Le democrazie occidentali, con rare eccezioni, hanno scelto di stare dalla parte dei nemici di Israele, ignorandone l’ideologia politica/religiosa che oggi si sta rivelando una minaccia per le stesse società cristiane, che non si rendono conto del significato della parola ‘infedele’ per l’islam. Se ne accorgeranno presto, auguriamoci non troppo tardi per reagire.
Angelo Pezzana