Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/07/2016, a pag. 6, con il titolo "Un piano per garantire la sicurezza e gli interessi italiani anche all'estero", la cronaca di Guido Ruotolo.
Il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni finora si è rivelato ottuso e incapace sia per quanto riguarda la pretesa della Turchia di entrare in Europa, che Gentiloni appoggia, sia perché non è riuscito a garantire la sicurezza agli italiani. Compito del suo Ministero è segnalare i luoghi pericolosi e sconsigliarne la frequentazione.
C'era anche il Bangladesh tra questi?
Ecco l'articolo:
Guido Ruotolo
Paolo Gentiloni
«La strage all’aeroporto di Istanbul è stato l’innesco per imitazione che ha portato il gruppo islamista radicale bengalese a entrare in azione». Sono le prime ipotesi, non ancora vere e proprie conclusioni, a cui sono giunti gli analisti dell’intelligence. La squadra dei nostri 007 fatta partire sabato mattina per Dacca, mentre si stava consumando l’epilogo dell’attacco jihadista al ristorante degli stranieri, ha avuto un mandato preciso dal governo, da Marco Minniti, Autorità delegata per la sicurezza della repubblica: «Capire l’entità della minaccia e garantire il rientro in patria delle salme dei nostri connazionali». L’incendio jihadista, infatti, si sta estendendo in troppi quadranti: il Medio Oriente, l’Iraq e la Siria, l’Africa, l’Europa, e adesso anche il Bangladesh.
Le prime valutazioni di Palazzo Chigi, nel cuore della drammatica notte tra venerdì e sabato sono state univoche: «Siamo di fronte a una offensiva generale contro gli infedeli. La sicurezza interna dell’Italia, come degli altri Paesi occidentali, si gioca ormai oltre i confini nazionali. E più passa il tempo più aumenta il “range”, il raggio d’azione». Insomma, i rischi per la sicurezza interna arrivano anche da paesi sempre più lontani. Questo impone più che un mutamento di strategia - l’attività di controllo, di prevenzione e repressione del radicalismo jihadista in Italia, nei rispettivi paesi - un’estensione dell’intervento anche all’estero, che dovrà essere necessariamente di natura diversa. Consapevoli che l’offensiva jihadista in corso non è contro l’Italia ma contro gli occidentali. E colpisce anche in Europa, in questo momento in Francia e in Belgio. Domani potrebbe entrare in azione in altri paesi. A Dacca si è voluto colpire un ristorante frequentato da stranieri occidentali. La sera dell’attacco c’erano italiani ma anche giapponesi e cingalesi. Ed è stato casuale che l’attacco sia avvenuto a pochi metri dall’ambasciata italiana.
Palazzo Chigi, spiegano fonti governative, «sta studiando una possibile strategia internazionale d’intelligence per alzare i livelli di sicurezza dei nostri interessi all’estero, in particolare in quei paesi dove è significativa la presenza di italiani e gli interessi nazionali. Ora che sempre più è evidente che il terrorismo globale può colpire indirettamente anche l’Italia».
Sono tanti, troppi gli «inneschi» che dobbiamo tentare di neutralizzare, consapevoli che spesso moventi e obiettivi delle azioni terroristiche sono diversi tra loro: «Dacca – fanno notare fonti di intelligence – non rientra nella strategia che sta dietro l’attacco a Istanbul. Anche se gli attacchi a Dacca e Istanbul sono stati rivendicati dallo Stato Islamico».
Il governo sta valutando quali strumenti utilizzare per rendere efficace questa strategia internazionale. Molto si giocherà sulle relazioni con intelligence, governi, apparati di sicurezza. Insomma, si muoveranno su piani diversi Farnesina, Servizi, Viminale.
Con il passare delle ore, per esempio, è emerso che lo stesso governo del Bangladesh era consapevole della dimensione della minaccia. Si tratta di capire perché non é riuscito a neutralizzarla e come la comunità internazionale può aiutare quel governo a ridurre il livello della minaccia. Non è certo il tempo in cui un Paese occidentale può garantire ai propri connazionali la protezione nei paesi a rischio. Ma una campagna di informazione può aiutare i nostri connazionali a conoscere i rischi a cui vanno incontro.
Al di là delle rappresentanze istituzionali e diplomatiche, che proteggiamo e che vanno protette dalle autorità locali, si pone evidentemente il problema della tutela delle imprese italiane all’estero. Non tanto di quelle strategiche che operano da anni in paesi a rischio di guerre, terrorismo, criminalità. Ma di quelle che operano in paesi che fino a ieri erano considerati «tranquilli». E’ per loro che si sta cercando di trovare una via d’uscita.
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