'Israele non smetterà di cercare il dialogo. Ma per dialogare bisogna essere in due' Alain Elkann intervista Mark Regev, ambasciatore di Israele in Gran Bretagna
Testata: La Stampa Data: 03 luglio 2016 Pagina: 32 Autore: Alain Elkann Titolo: «'Israele e i sunniti, dialogo positivo in Medio Oriente'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/07/2016, a pag. 32, con il titolo "Israele e i sunniti, dialogo positivo in Medio Oriente", l'intervista di Alain Elkann a Mark Regev, ambasciatore di Israele in Gran Bretagna.
Alain Elkann
Mark Regev
Ex portavoce del premier israeliano Netanyahu, Mark Regev è da aprile ambasciatore nel Regno Unito dove ha dovuto affrontare la questione Livingstone, quando l’ex sindaco di Londra paragonò Netanyahu a Hitler. «Ci sono due luoghi comuni diffusi - spiega -. Che l’antisemitismo sia una malattia degli ignoranti e che si possa battere con l’informazione e l’istruzione. Ma non è così: anche gli intellettuali hanno credenze antisemite... pensi a Shakespeare, Voltaire, Dostoevskij... L’altro luogo comune è che la gente di sinistra non sia antisemita, invece una parte sostiene l’uguaglianza solo a parole».
Molti criticano Israele per la sua politica. È un modo per camuffare l’antisemitismo? «Dire che gli israeliani sbagliano non è antisemitismo. La critica della politica di Israele è il nostro pane quotidiano. Ma associarlo a ogni male è antisemitismo. Invece di odiare i singoli ebrei si sceglie di odiare lo Stato ebraico. Oggi dire che lo Stato ebraico ha la responsabilità della guerra, che gli ebrei uccidono deliberatamente i bambini palestinesi è una manifestazione di odio che risale a 2000 anni fa. Se sostieni il diritto dei popoli all’autodeterminazione e all’indipendenza, e pensi che gli ebrei siano gli unici a non averlo, di che cosa stiamo parlando?».
Lei ritiene che Israele non abbia difetti? «Nessuno è senza colpe, e Israele ha le sue, ma nulla giustifica l’odio irrazionale, proprio come quando un nero è linciato in Alabama. Bisogna condannare gli odiatori, gli istigatori dell’antisemitismo. Se l’Italia fa un errore nessuno dice che va distrutta».
Perché la gran maggioranza degli europei sostiene la causa palestinese? «Vedono il mondo attraverso la propria esperienza coloniale e quindi pensano che abbiamo torto. Poi molti vivono idealmente questo mondo post-moderno e post-conflittuale, dove siamo tutti fratelli e sorelle. Infine, c’è una fissazione, in alcuni ambienti, con gli ebrei e lo Stato ebraico».
Dov’è la verità? «La verità è che noi vogliamo la pace. Israele cerca una soluzione sicura, due Stati per due popoli. E siamo pronti a riavviare i colloqui di pace immediatamente e senza condizioni».
Purtroppo, dall’assassinio di Yitzhak Rabin non sono stati fatti molti progressi. «Shimon Peres, Netanyahu nel suo primo mandato e Ehud Barak hanno cercato dialoghi per la pace con i palestinesi e i siriani e si sono ritirati dalla Striscia di Gaza, negli ultimi otto anni ci ha riprovato Netanyahu. Non ci siamo dati per vinti. In alcune aree c’è stato qualche progresso. Mi permetta di darle qualche buona notizia. Quando si parla di Medio Oriente oggi ci si concentra spesso sull’andamento negativo, lo scioglimento degli Stati, i Paesi che sono implosi, come la Libia, la Siria, lo Yemen, l’aumento dell’estremismo e del terrorismo, Isis, Hezbollah, insomma tutti vediamo ciò che sta andando male. Ma sotto la superficie c’è un cambiamento positivo, ed è il nuovo dialogo tra Israele e gli stati arabi sunniti. Storicamente non sono mai stati aperti a Israele ma oggi si rendono conto che siamo dalla stessa parte nella lotta contro l’estremismo».
C’è un nuovo rapporto tra Netanyahu e Putin? «La Russia è una grande potenza con interessi storici in Medio Oriente ed è coinvolta in modo molto significativo a Nord del nostro confine. È importante avere un rapporto diretto per evitare equivoci e che le forze israeliane e russe si sparino addosso a vicenda. Non vogliamo che si ripeta la storia dell’aereo russo con i turchi».
Dopo i negoziati con l’Iran la relazione con gli Stati Uniti pare indebolita invece. «Siamo chiari: Israele è saldamente in Occidente e il rapporto più importante è con gli Stati Uniti. Abbiamo avuto un battibecco sull’Iran, ma anche i migliori amici non sono automaticamente d’accordo su tutto. Si ricordino sempre Roosevelt e Churchill, alleati che sconfissero il nazismo, ma non senza contrasti».
L’Iran rimane un problema per Israele? «L’Iran è un problema che, purtroppo, non cambia. Sostiene il terrorismo e l’eliminazione d’Israele. Non abbiamo sostenuto l’accordo sul nucleare, ma ora che è firmato diciamo: “Teniamoli sotto pressione”».
Cosa cambierà con Hillary Clinton o Donald Trump? «Che alla Casa Bianca ci sia un democratico o un repubblicano, gli Stati Uniti e Israele hanno in comune una fede nella democrazia e molti interessi. Questo rapporto speciale continuerà».
Come vede Israele oggi? «Non mancano le sfide, ma Israele resta una storia di successo. Un popolo errante che ha una casa. Un popolo perseguitato e indifeso che ora ha la capacità di difendersi. Abbiamo costruito una democrazia stabile e forte in una regione dove non ce n’è. Anche l’economia di Israele è una storia di successo. Il pil cresce, siamo leader nella scienza, nelle risorse idriche, nelle comunicazioni e nella medicina. Negli Anni 70 si parlava dello svantaggio di Israele senza petrolio. Oggi abbiamo ciò che il mondo vuole: la tecnologia».
Israele inizia come stato socialista e diventa capitalista. Qual è oggi lo spirito? «Il nostro simbolo erano le arance di Jaffa. Oggi è l’ingegneria hi-tech. Ma è sempre lo stesso Paese, dallo spirito vivace e dal forte livello di coesione sociale».
Ma c’è un crescente estremismo religioso. Come lo affrontate? «Tolleranza zero anche quando si tratta di vittime palestinesi: l’anno scorso una famiglia è stata colpita a Duma e c’è stata una forte solidarietà oltre all’uso delle forze antiterrorismo».
State aiutando altri Paesi per questo? «Collaboriamo con molti Paesi europei per aiutare tutte le popolazioni a sentirsi sicure».
Qual è la sua speranza per il futuro? «L’odio fatica a giustificarsi quando diventa plateale. L’antisemitismo non sparirà, ma forse gli antisemiti saranno costretti a giocare in difesa».
traduzione di Carla Reschia
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante