Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/06/2016, a pag. 7, con il titolo "Al Baghdadi ha perso territorio e miliziani ma fa più paura all'estero", il commento di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Abu Bakr Al Baghdadi
In due anni il Califfato si è dimezzato, in territorio e combattenti, ma non ha perso la capacità di colpire all’estero, con cellule organizzate o lupi solitari. L’attacco all’aeroporto Kemal Ataturk di Istanbul ne è la prova. E, coincidenza o no, l’Isis ha fatto strage nello scalo che porta il nome dell’uomo che ha abolito la massima istituzione islamica, nel 1924. La sua resurrezione, proclamata da Abu Bakr al-Baghdadi il 29 giugno 2014 a Mosul, sembra destinata a fallire. Ma non la volontà di portare il terrore in Occidente.
Nel giugno 2014, in Iraq, le colonne di pick-up con le bandiere nere attraversavano Tikrit fra la folla che urlava: «Quando arrivate a Baghdad?». A Baghdad il Califfato non ci è arrivato, ma c’è mancato poco. Di fronte si trova l’America alla guida una coalizione di 62 Stati che appoggia le forze di terra curde e l’esercito iracheno. E la Russia con 50 dei suoi jet ed elicotteri in Siria e supporto delle truppe regolari siriane e milizie sciite. Dal maggio 2015 i combattenti dell’Isis sono in ritirata continua. Ma in un anno e mezzo sono riusciti a colpire, per citare gli attacchi principali, a Parigi il 7 gennaio 2015, 12 morti, ancora nella capitale francese il 13 novembre, 130 vittime, a San Bernardino in California il 2 dicembre, 14, a Bruxelles il 22 marzo, 32.
Dal Califfato, attraverso la Turchia e la Grecia, le cellule dei foreign fighters si sono infiltrate in Europa. L’attacco a Istanbul arriva dopo che l’ultima porta di ingresso dal mondo esterno, il valico di Jarabulus fra Turchia e Siria, è stato sigillato. Ankara non chiude più gli occhi. Secondo il ministero dell’Interno, dal 2014 ha arrestato 3300 sospetti dell’Isis, 35 mila stranieri, di 124 Paesi, sono stati respinti, 2894 sono stati deportati in 92 Paesi. E con la prossima caduta di Manbij l’autostrada della jihad sarà chiusa del tutto.
Potrebbe essere l’inizio della fine. Alla metà del 2014 il Califfo regnava su due terzi dell’Iraq, 300 mila kmq. In Siria controllava la parte Est del Paese, 80 mila. Nel complesso aveva una superficie superiore a quella della Germania, con circa 10 milioni di abitanti, e controllava 800 km del corso dell’Eufrate, l’asse strategico. La massima espansione è stata nel maggio 2015, dopo la conquista di Palmira in Siria e la presa di Ramadi in Iraq. Da allora la parte di Iraq controllata è passata da due terzi a meno di un terzo. In Siria ha perso Palmira la provincia di Hasakah. Ora copre circa 200 mila kmq in tutto.
Le stime sulla forza militare sono più difficili. Nel 2014 la Cia aveva fornito una valutazione di 31 mila combattenti. Nel febbraio del 2016 il Pentagono riteneva che fossero scesi a 20 mila, dopo che 26 mila erano stati uccisi dai raid e l’afflusso di foreign fighters non era riuscito a ripianare le perdite. Le stime dei servizi russi sono più alte: 70 mila uomini nel 2014, scesi ora 38 mila.
L’analista militare Daveed Gartenstein spiega la discrepanza con la diversità dei criteri. Il Califfato conta su forze regolari, divise in katiba, battaglioni, di circa 800 uomini, che formano jaysh, cioè armate, di 4000 uomini. Il totale poteva essere 40-50 mila soldati al culmine, ridotti ora a 20-25 mila. Poi ci sono le forze speciali: Jaysh al-Khilafa è la forza pretoriana del Califfo, altri 4 mila uomini; gli inghemasyoun, «coloro che si immergono», sono corpi speciali che compiono azioni dietro le linee. Infine ci sono gli apparati di sicurezza: l’Amn al-Kharji, esterno, è incaricato di attuare attacchi all’estero; l’Amn al-Dakhili, si occupa della sicurezza interna. Il totale, quindi, poteva essere di 60-70 mila combattenti nel 2014, ridotti oggi alla metà.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante