L'incontro a Roma
Riprendiamo oggi, 28/06/2016, dalla STAMPA, a pag.13 la cronaca di Francesco Bei, dal CORRIERE della SERA, a pag.14, il commento di Maurizio Caprara.
Sul Corriere della Sera, da Gerusalemme una cronaca di Davide Frattini, sul Manifesto Michele Giorgio invece di riportare i fatti si trasforma in avvocato difensore di Hamas, mentre sull'Unità il pezzo di Umberto De Giovannangeli, equilibrato, niente a che vedere quando Unità e Manifesto erano l'uno la copia dell'altro; un effetto del 'nuovo corso', speriamo, auguri.
La Stampa-Francesco Bei: "Persino gli arabi meglio degli europei, lo sfogo di Bibi sulle critiche a Israele"
Francesco Bei
Il pezzo di Bei analizza l'accordo israelo-turco a 360 gradi, esaminandone ogni aspetto. Peccato l'ultima riga, dove riaffiora l'antica attitudine di un linguaggio ostile verso lo Stato ebraico. Dispiace che Bei concluda con la infelice frase "alla successione di Naor Gilon sarà Ofer Sachs. Un ambasciatore non di carriera dunque che, secondo la stampa israeliana, libererà il posto di direttore dell’Istituto per l’esportazione dove Bibi vuole piazzare un alto papavero del Likud." Papavero ? Possibile che mettendolo in pagina, nessuno abbia notato quanto quella parola era del tutto fuori contesto ? e, aggiungiamo, volgare.
Ecco il pezzo:
Il Grande Gioco del gas nel Mediterraneo orientale, che si è riaperto alla grande dopo l’accordo annunciato ieri a Roma fra Israele e la Turchia, potrebbe avere anche l’Italia – attraverso l’Eni - tra i giocatori principali. È una delle novità emerse dall’incontro di un’ora a palazzo Chigi tra Renzi e il primo ministro israeliano Bibi Netanyahu. Un faccia a faccia che è girato intorno a quattro dossier caldi: il pericolo che l’Isis faccia breccia in Nord-Africa, le nuove tecnologie avanzate da mettere in campo contro il terrorismo, il maggiore impegno dell’Eni nello sfruttamento dei giacimenti di gas israeliano e, infine, la campagna «Bds» di boicottaggio contro Gerusalemme che sta investendo con sempre maggior forza alcuni paesi dell’Europa occidentale. Dopo aver illustrato a Renzi, come aveva fatto a villa Taverna con il segretario di Stato John Kerry, i contenuti dell’accordo con i turchi che mette fine ad anni di confronto diplomatico con Ankara (la vicenda della nave turca Mavi Marmara abbordata dai commando israeliani che uccisero dieci attivisti pro-palestinesi), Netanyahu ha messo i piedi nel piatto. Partendo da un dato di fatto. Israele, spiegano fonti del governo di Gerusalemme, è una «risorsa primaria» per le informazioni che fornisce ai Servizi dei vari paesi europei. Informazioni di prima mano passate alla nostra intelligence per prevenire attacchi anche sul suolo italiano. «E questo Renzi lo ha apprezzato». Ma Israele, ha aggiunto il primo ministro, è anche un baluardo per prevenire l’espansione del Califfato sulle coste del Nord-Africa. «Isis - osserva una fonte presente all’incontro - è riuscita a influenzare negativamente la vita di 40 milioni di persone tra Siria e Iraq, ma se riuscirà ad affermarsi in Nord Africa e potrà coinvolgere altri 100 milioni di persone, ci saranno immense conseguenze per l’Europa. Perché questi profughi arriveranno da voi». Con la proverbiale ruvidezza del linguaggio, Bibi nei suoi colloqui romani non si è lasciato sfuggire l’occasione per una severa critica nei confronti degli europei per come si relazionano con Israele. Dopo aver perso con la Brexit la sponda amica dell’Inghilterra, il pericolo per Israele è infatti che si intensifichino le critiche e le prese di posizione pro-palestinesi. «Noi certamente non siamo perfetti, ma l’atteggiamento degli europei – dice un diplomatico israeliano riassumendo il pensiero del primo ministro - è stato terribilmente ingiusto nei nostri confronti, che restiamo l’unica democrazia in Medio Oriente. Persino gli arabi hanno cambiato atteggiamento nei nostri confronti, ma non gli europei». Eppure, vista con gli occhi del governo di Gerusalemme, la questione è di semplice convenienza: è Israele che, difendendosi, «contribuisce a rendere sicuri anche i fianchi dello schieramento anti-Isis e, facendo questo, di riflesso difende anche la sicurezza europea». Quanto alla campagna Bds (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni), i due leader ne hanno discusso, ma Netanyahu non si mostrato particolarmente preoccupato per i suoi riflessi economici. Israele, ha detto a Renzi, ormai è alla pari con la Silicon Valley sull’innovazione. Nella cybersicurezza attrae il 20% degli investimenti mondiali, è leader nei big data, nella genetica, nelle attrezzature mediche. Persino nell’industria dell’automobile contende a Google la supremazia sul software che condurrà le future macchine senza guidatore. Ma Bds fa male sul piano politico e culturale. Così Renzi ha promesso che sarà in visita a Gerusalemme il prossimo dicembre e si farà accompagnare da una nutrita delegazione di rettori e professori italiani per spezzare l’isolamento accademico. Infine il gas. Il giacimento Leviathan, un mostro da 450 miliardi di metri cubi di riserve, già oggi ha le potenzialità per trasformare lo Stato ebraico in esportatore, attraverso la Turchia, fino alle case degli europei. Le infrastrutture di liquefazione Eni ad Alessandria consentiranno presto al gas israeliano di arrivare in Egitto. Ma per l’azienda italiana, ha detto Netanyahu a Renzi, il campo è aperto per nuovi investimenti. E ci sono possibilità di ricerca e prospezione per altri giacimenti. Proprio questa «diplomazia del gas» sta consentendo a Israele una agibilità politica a tutto campo, capace non a caso di rifornire contemporaneamente avversari irriducibili come l’Egitto e la Turchia. A margine della visita di Netanyahu si è infine alzato il sipario sul nuovo ambasciatore a Roma in arrivo a luglio. Dopo il ritiro di Fiamma Nirenstein il prescelto alla successione di Naor Gilon sarà Ofer Sachs. Un ambasciatore non di carriera dunque che, secondo la stampa israeliana, libererà il posto di direttore dell’Istituto per l’esportazione dove Bibi vuole piazzare un alto papavero del Likud.
Corriere della Sera: Maurizio Caprara: " Così in sei anni gli equilibri sono cambiati "
Maurizio Caprara
Sono soprattutto le comuni diffidenze verso l’Iran e le scoperte di gas sotto il Mediterraneo orientale ad aver spinto il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sulla via dell’accordo raggiunto dai rispettivi emissari. La novità non sta tanto in collaborazioni tra Ankara e Gerusalemme. Ne esistevano anche prima della fase di contrasti diventata rottura, sei anni fa, con l’incursione israeliana su una nave diretta a Gaza nonostante il blocco navale. L’aspetto che non poteva avere precedenti è un altro: il patto volto a ristabilire le buone relazioni prende forma in un Medio Oriente molto diverso da allora. Entrambi i Paesi — la Turchia a maggioranza sunnita, nelle sue istituzioni più islamica di quando erano potenti i militari, e Israele, lo Stato ebraico — si sono trovati alle porte di casa l’interruzione di una linea di influenza politico-militare sciita. La guerra civile siriana ha reso impervia la comoda via di fornitura di armi per gli sciiti libanesi di Hezbollah che dall’Iran arriva a pochi passi dal Nord di Israele: il benestare della famiglia Assad, alauita, conta meno di una volta. In teoria, un motivo di serenità per Netanyahu. Un anno fa, però, la Repubblica islamica d’Iran passata dalla presidenza del conservatore Mahmoud Ahmadinejad a quella del pragmatico Hassan Rouhani è entrata nei circuiti internazionali come mai prima grazie all’accordo sul nucleare, malvisto da Israele e Arabia Saudita con altri Stati sunniti del Golfo. Con l’intesa turco-israeliana, Netanyahu prova a mettere i sunniti di Hamas che governano Gaza e lanciano missili sotto una sorveglianza di Erdogan, autorizzato a rifornire la Striscia di materiali per usi civili. Non araba, la Turchia estende la sua influenza su un pezzo irrequieto di mondo arabo. Un’autorevole fonte israeliana ci dice che l’Egitto, apprezzato per la chiusura di tunnel con Gaza, veniva informato sui negoziati. E il gas scoperto Netanyahu vuole darlo a Egitto e Turchia, la seconda come tramite per l’Europa.
Per inviare alla Stampa, Corriere della Sera la propria opinione, telefonare:
La Stampa: 011/65681
Corriere della Sera: 02/ 62821
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti