Le nuove proposte degli arabi di Giudea e Samaria per uno Stato ebraico- palestinese
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Ecco in sintesi geo-politica la proposta palestinese
Ecco ciò di cui si discute fra gli arabi di Giudea e Samaria.
Israele dovrebbe tenerne conto.
Stati Uniti ed Europa stanno tentando per l’ennesima volta di ridestare l’attenzione sulla questione israelo-palestinese con una conferenza internazionale, il cui obiettivo è riavviare il processo di pace e la creazione di due Stati, Israele e Palestina, che dovrebbero vivere fianco a fianco a Ovest del fiume Giordano.
In prima linea ci sono i francesi e questo suggerisce diverse domande, ad esempio: Perché i francesi - e perché ora? Come verrà considerato questo progetto da israeliani e palestinesi?
La risposta alla prima domanda è ovvia. Un buon numero di politici francesi temono il terrorismo islamico che ha già colpito duramente la Francia negli ultimi tre anni: Tolosa, Parigi, l’Hypercacher, Charlie Hebdo, il pub Bataclan, lo stadio e tre ristoranti.
Il governo francese spera che il sostegno alla creazione di uno Stato palestinese induca i jihadisti a vedere la Francia sotto una luce diversa e chiudere con gli attentati.
Un altro fattore che spinge i membri del Parlamento francese e le altre nazioni a sostenere la creazione di uno Stato arabo-palestinese è il crescente numero di elettori musulmani in Europa, di conseguenza i politici sanno che la strada dei distretti elettorali sempre più islamizzati, deve essere pavimentata con la realizzazione delle aspettative dei loro elettori, vale a dire, far avanzare la creazione di uno Stato arabo-palestinese.
La questione è di grande importanza. Gli europei insistono sul fatto che Israele debba accettare uno Stato arabo-palestinese in Giudea e Samaria, con il rischio di creare un’ altra roccaforte di Hamas, oltre a Gaza, solo per mere considerazioni elettorali , e forse allo scopo di migliorare la sicurezza europea, contribuendo a calmare i jihadisti che colpiscono liberamente in tutto il continente.
Al di là dello stupore per l’immoralità della proposta, c’è anche la possibilità che gli europei stiano sbagliato tutto, perché l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) aveva già affermato che la creazione di uno Stato palestinese fa sempre più infuriare i jihadisti, che vedono l’OLP come un’Organizzazione non religiosa, ma addirittura contraria alla religione .
L’Autorità Palestinese (Anp) è impegnata a combattere in concorrenza con dei movimenti religiosi come Hamas, Jihad Islamica e salafiti. La creazione di uno Stato “laico”, con il supporto della Francia e di altri paesi europei potrebbe sollevare l’ira dei jihadisti contro questi Paesi e provocarne azioni terroriste.
Il problema è che le nazioni europee, guidate dalla Francia, non capiscono ciò che è ovvio: il movimento di Hamas ha vinto le elezioni per la legislatura palestinese nel 2006 e gode tuttora della maggioranza. Le nazioni europee sono sicure che non verrà instaurata una nuova Gaza, come era già avvenuto nel 2007?
Dal momento che assolutamente non vi è alcuna certezza su quel che potrà avvenire, si deve presumere che prima o poi uno Stato palestinese in Giudea e Samaria diventerà uno Stato terrorista, portando con sé tutti i problemi che Hamas ha creato a Gaza, ai propri cittadini e a Israele
Gli europei, a quanto pare, non sono informati su quanto circola nelle comunità arabe di Giudea e Samaria. Sono passati ventitrè anni dalla firma degli accordi di Oslo e le speranze che riempivano le piazze arabe in Giudea e Samaria al momento della creazione dell’Autorità Palestinese nel 1994 si sono tramutate in profonde delusioni. Israele non si è ritirato da zone importanti come Gerusalemme e ha continuato, a loro avviso, a governare sui residenti arabi di Giudea e Samaria tramite i controlli della polizia palestinese e le istituzioni dell’Anp.
Quest’ultima è considerata corrotta, non ha rapporti con il popolo e si disinteressa totalmente dei suoi problemi e delle aspettative.
L’Autorità Palestinese è il più grande datore di lavoro in Giudea e Samaria grazie alle enormi somme che entrano nelle sue casse dai finanziamenti esteri, e quando il denaro è esaurito, si rivolge ad altri donatori.
Fra gli arabi che vivono in Giudea e Samaria molti ritengono che il progetto nazionalista di uno Stato, non raggiungerà i suoi obiettivi. Innanzitutto, la liberazione di tutta la Palestina dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano non è realistica, dal momento che Israele rifiuta il proprio suicidio e il mondo non sarà d’accordo comunque.
Fondare uno Stato palestinese su una parte del territorio costituirebbe un grave e imperdonabile peccato, sarebbe come legittimare lo Stato ebraico incorporato, a loro parere, sulla terra araba e islamica, perciò è preferibile non creare uno Stato che riconoscerebbe legittimità all’ “occupazione del 1948”, cioè Israele, dal momento che fino al 4 giugno 1967, esisteva già da 19 anni, ossia dalla sua fondazione.
Un secondo motivo è la delusione nei confronti dell’Anp, invece di diventare una piattaforma stabile su cui sia possibile costruire uno Stato, è diventata un’organizzazione corrotta, i cui vertici al potere si preoccupano solo dei conti bancari personali; alla fine, nel caso rimanessero delle risorse, potrà essere devoluto all’uomo della strada, ma è l’ultima delle loro preoccupazioni.
Inoltre, la scissione avvenuta tra l’OLP e Hamas, lo Stato creato nove anni fa a Gaza, e le minacce nei confronti dell’Anp, sono le principali ragioni per cui un numero crescente di arabi che vivono in Giudea e Samaria stanno allontanandosi dall’idea di uno Stato palestinese.
I più moderati tra la popolazione, non vogliono certo vivere sotto la legge islamica della Sharia, che li costringerebbe ad accettare uno stile di vita diametralmente opposto a quello a cui sono abituati.
Gli arabi di Giudea e Samaria sanno bene che Israele non andrà da nessuna altra parte, che gli ebrei rimarranno per sempre dove sono, e che l’opzione di un unico Stato ebraico-palestinese sarebbe uno scenario molto più realistico di un altro Stato arabo-palestinese, che potrebbe facilmente fare la stessa fine della Siria, dell’Iraq, della Libia, dello Yemen o persino del Libano.
I sostenitori della soluzione di uno Stato unico, per lo più in segreto, invocano lo smantellamento dell’Anp, preferiscono rimanere in uno stato governato dagli israeliani. Bassem Eid, un attivista dei diritti umani che vive a Gerico, in una conferenza tenuta all’ Università Ariel, ha recentemente dichiarato che il più grande disastro che ha colpito i palestinesi non è stata la Nakba (letteralmente “catastrofe”, riferendosi alla fondazione dello Stato ebraico) del 1948, né la sconfitta araba del 1967 e la conseguente “occupazione”, ma la nascita dell’Anp nel 1993.
Ha affermato che per i palestinesi sarebbe meglio vivere in uno Stato ben gestito con gli ebrei che in un altro Stato arabo fallimentare, il cui destino sarebbe quello di Siria, Iraq, Libia, Yemen e persino della Giordania.
Se ne discute, nascono nuove organizzazioni, il cui obiettivo è quello di rimuovere la creazione di uno Stato dall’agenda arabo-palestinese. Quello che hanno in comune è l’adesione a Israele che governa l’area dal Mediterraneo al Giordano. Una di queste organizzazioni si chiama “Movimento Popolare per Uno Stato Democratico sulla Terra della Palestina Storica”, guidato da Munir Alabush di Tul Karem, e costituito a Ramallah nel maggio 2013.
La Carta dell’Organizzazione per la Fondazione della Palestina dichiara quanto segue:
“ La catastrofe del popolo palestinese dura da più di un secolo. Questa catastrofe ha avuto inizio con la Dichiarazione Balfour, rilasciata il 2 novembre 1917 da parte del Ministro degli Esteri britannico Arthur James Balfour al barone Walter Rothschild, uno dei leader degli ebrei britannici perché fosse trasmessa alla Federazione Sionista di Gran Bretagna e Irlanda. La Dichiarazione Balfour è stata seguita dall’imposizione del Mandato Britannico per la Palestina del 16 settembre 1922, che ha negato al popolo palestinese il loro naturale diritto all’autodeterminazione e alla creazione del loro Stato indipendente sulla loro terra nazionale. “ Questa catastrofe è stata aggravata dal disastro della Nakba del 1948, che ha portato al sequestro da parte di Israele della maggior parte del territorio palestinese, allo spostamento di quasi 750 mila palestinesi, e alla creazione dello Stato di Israele in territorio palestinese. Questo disastro è stato poi seguito dall’aggressione israeliana del 1967, che ha portato all’occupazione dei rimanenti territori palestinesi (la riva occidentale del Giordano, la striscia di Gaza e al- Hamma) e il trasferimento di centinaia di migliaia di palestinesi dai territori recentemente occupati. Questo è stato accompagnato da tentativi di cancellare la personalità nazionale palestinese, che rappresenta una profonda civiltà e una connessione storica del popolo palestinese con il loro territorio nazionale. “ Sforzi e iniziative internazionali e regionali si sono succeduti a partire dagli anni ‘30 in poi, nel tentativo di trovare una giusta soluzione per la Questione Palestinese e per porre fine ai conflitti israelo-palestinese e arabo-israeliano. Tuttavia questi sforzi sono falliti, a causa dell’intransigenza sionista e dalla mentalità razzista, come ad esempio il non accettare l’altro, negare la presenza della vittima e tenere nascoste le azioni criminali commesse da Israele. All’ombra degli accordi di Oslo, Israele ha condotto una campagna d’insediamento frenetica ( sfruttando il fatto compiuto ) per un cambiamento sul terreno e per impedire la creazione di uno Stato palestinese. In questo modo Israele ha fatto l’impossibile pur di negare la presenza del popolo palestinese e ha considerato il territorio occupato nel 1967 come territorio conteso, non come un territorio occupato. “ Con l’inizio della rivoluzione palestinese del 1 ° gennaio 1965 e l’assunzione della guida della Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP), da parte della resistenza palestinese nel 1968/1969, la resistenza palestinese aveva considerato che un solo Stato democratico sulla terra della Palestina storica ( mandataria ) fosse una giusta soluzione per la Questione Palestinese. Questa soluzione, tuttavia, fu rapidamente seguita da una soluzione transitoria (cioè il ritorno dei profughi, l’autodeterminazione, uno Stato indipendente con Gerusalemme come sua capitale), che è stato poi ridotto in realtà a quella che è ora nota come la soluzione dei due Stati ed era in effetti basata sul riconoscimento dell’occupazione israeliana della parte della Palestina che aveva occupato nel 1948. “ La ripresa della soluzione di un solo stato democratico, torna oggi all’ombra di un orizzonte politico chiuso, del fallimento di tutti i tentativi di una soluzione frammentata della Questione Palestinese, della continua acquisizione israeliana della terra e della “giudeizzazione” di territori palestinesi; la negazione dei diritti nazionali legittimi del popolo palestinese e la riduzione della presenza palestinese in bantustans invivibili, scollegati e isolati, hanno reso impossibile la creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano, rendendo permanenti le modalità di auto-governo che per gli accordi di Oslo erano provvisorie. “ Così, stiamo sperimentando crisi profonde, che coinvolgono tutto, e una chiusura dell’orizzonte politico sotto un’occupazione che costa poco a Israele, che si aggiunge di fatto all’annessione da parte di Israele della maggior parte della terra palestinese, consolidando un solo Stato e un sistema fascista e razzista basato sulla discriminazione razziale nel diritto (che è, apartheid). Inoltre, siamo ora di fronte a una nuova condizione di Israele, che chiede che riconosciamo lo Stato di Israele come stato “ebraico” nella sua interpretazione sionista, anche in assenza di una definizione dei suoi confini, che implica l’estinzione del diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi del 1948 e che apre la strada per lo spostamento delle persone che vivevano nei territori palestinesi occupati da Israele nel 1948. Tutto questo permette a Israele di portare il conflitto in una fase pericolosa, che anticipa un’esplosione sanguinosa e la pulizia etnica, aggiungendo così un altro stadio alla tragedia umana in cui il popolo palestinese ha vissuto dopo il disastro del 1948. “ Di fronte a questa terribile situazione, questa è una soluzione giusta e fattibile per il conflitto israelo-palestinese: l’istituzione di uno Stato democratico sulla terra della Palestina storica (mandataria), uno Stato democratico per tutti i suoi abitanti, sulla base di una costituzione democratica, sui valori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che garantisca la libertà, la democrazia e l’uguaglianza dei diritti senza discriminazione basata su razza, religione, sesso, colore, lingua o opinione politica o non politica, origine nazionale o sociale, ricchezza, luogo di nascita o di qualsiasi altra condizione. “ La nostra iniziativa suggerisce come una soluzione, la creazione di uno Stato democratico con la Dichiarazione di Monaco di Baviera come denominatore comune; si presenta come una continuazione degli sforzi da parte dei gruppi che ci hanno preceduto in conferenze e attività, svolte ed esercitate in luoghi diversi in tutto il mondo. “ Il nostro impegno per la scelta di uno Stato democratico sulla terra della Palestina storica è basato sui seguenti punti: “ Il popolo palestinese e le sue componenti: nei territori occupati da Israele nel 1948, nei territori occupati da Israele nel 1967 e nei campi profughi costruiti nel 1967 nei territori occupati e nella diaspora. Nonostante la loro sottomissione a sistemi e leggi diverse, il popolo palestinese ha mantenuto la sua unità e la sua identità nazionale. I palestinesi che vivono in apartheid di Israele non si sono integrati nella società israeliana. Dopo 60 anni di tentativi di imporre loro la coesistenza e dopo averli sottoposti a pulizia etnica, loro ancora oggi mantengono la propria identità nazionale. Alla stessa stregua, tutti i palestinesi che vivono nei territori occupati nel 1948 e nella occupazione del 1967 del West Bank e della Striscia di Gaza, resistono alle politiche di occupazione di Israele, in particolare alle politiche d’insediamento israeliano, sequestro di terra e misure di apartheid e alle politiche che s’intromettono illegalmente in tutti gli aspetti della vita palestinese e che vengono attuate dalle forze di occupazione israeliane. “ Allo stesso modo, i rifugiati palestinesi nei campi profughi della diaspora e all’estero continuano a sostenere la loro appartenenza nazionale e l’identità palestinese, respingendo tutti i piani per il re-insediamento e rifiutando terre alternative al proprio territorio nazionale. Ci sono valori universali ai quali le nazioni civili aspirano. Questi rappresentano libertà, giustizia, uguaglianza, democrazia e l’accettazione dell’altro, che vedono le differenze culturali, razziali e religiose come un arricchimento per la società, piuttosto che come una causa per discriminazione razziale. Pertanto, tutte le strategie palestinesi di resistenza devono essere guidate da questi valori, vale a dire, i diritti umani, e le norme del diritto internazionale. “ La Palestina è il luogo in cui sono state rivelate le religioni. Non è possibile per i seguaci di una religione espellere i seguaci di altre religioni o tentare di fare di una delle religioni un modello del sistema politico in Palestina. Tutti i sistemi o le strategie di resistenza dovrebbero essere basate sul rispetto per tutte le religioni, compresi i rispettivi simboli religiosi, i luoghi di culto e promuovere inoltre la tolleranza religiosa e la convivenza tra i seguaci di diverse religioni. I capisaldi di questo Stato devono essere fondati sulla giustizia sociale e sulle pari opportunità per tutti i cittadini di questo Stato democratico, includendo tutte le sue componenti etniche e religiose, con equa redistribuzione delle risorse pubbliche e il rispetto per le donne e l’uguaglianza di genere per le donne e gli uomini di tutti i ceti sociali. “ Gerusalemme è la capitale di uno Stato democratico. La soluzione del problema dei rifugiati viene attuata dalla risoluzione n ° 194 del 1948 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la quale ogni palestinese in tutto il mondo avrà il diritto di tornare in Palestina; per recuperare le sue proprietà e immobili o ricevere un equo compenso nel caso che lui / lei non voglia tornare,per le sofferenze che hanno subito a causa dell’ abbandono della loro patria, che ogni palestinese sfollato all’interno di Israele possa tornare nei suoi villaggi e alle proprietà da cui sono stati espulsi nel 1948. “ Recuperare i diritti dei rifugiati palestinesi, sfollati nel 1948 non comporta l’espulsione di ogni famiglia ebrea dalla Palestina, ma al contrario, mira a effettuare una riconciliazione storica fra tutti gli abitanti della Palestina, che comprende tutte le loro componenti. Ci siamo resi conto che tutte le altre soluzioni proposte (come ad esempio la Soluzione dei Due Stati o la Soluzione confederale) non forniscono una giusta soluzione al problema dei profughi, come le garanzie del loro diritto al ritorno alla residenza da cui sono stati espulsi. Infatti, alcune di queste soluzioni, barattano la creazione di uno Stato palestinese con l’attuazione del ritorno dei rifugiati alle loro case. “ La creazione di un solo Stato democratico sarà in grado di fornire una soluzione a tutti gli elementi del conflitto nella Palestina storica, così come la creazione di un regime basato sulla giustizia, l’uguaglianza e la democrazia. Uno Stato democratico non può essere aggressivo, non sarà motivato da avidità espansionista, e, di conseguenza, non sarà in conflitto con alcuno Stato confinante. Essendo fondato sulla terra della Palestina storica questo Stato democratico sarà una parte indivisibile del sistema regionale, che coopera ed è in armonia con il resto degli stati regionali, piuttosto che in contraddizione o in conflitto con essi. “ Il movimento sionista rifiuterà questa scelta perché si fonda su una base razzista e apartheid, e non sul riconoscimento dell'altro. E’ basato su colonizzazione, occupazione e insediamento, sulla forza e l’oppressione. “ Il principio di acquisizione di territorio con la forza va totalmente respinto. Non può costituire la base per un diritto acquisito, individualmente o collettivamente. L’insediamento coloniale sionista in Palestina è, quindi, illegale e non può affatto essere accettato come fatto compiuto. Affrontare questa situazione sarà al centro del programma di resistenza di questo movimento popolare. Inoltre, la creazione di uno Stato democratico non comporta la marginalizzazione della lotta contro le politiche e i piani dell’occupazione israeliana, causa della sofferenza quotidiana della popolazione palestinese, evidenziata dagli insediamenti e dall’accaparramento di terre, la “giudeizzazione” di Gerusalemme e di altre azioni aggressive. In effetti, la resistenza alle politiche di occupazione israeliana e alle politiche e misure di apartheid di Israele, è al centro del combattivo programma del nostro movimento popolare. “ Al fine di raggiungere una giusta soluzione al conflitto israelo-palestinese, noi, i firmatari sottoindicati, hanno deciso il lancio del “Movimento Popolare per uno Stato democratico sulla terra della Palestina storica” e si sforzano di raggiungere tutta la nostra gente, ovunque vivano, compreso il grande pubblico in Israele, in particolare quelli che hanno un interesse in questa scelta. Il Movimento Popolare cercherà di ottenere l’appoggio e il sostegno di tutte le forze impegnate per la libertà, la giustizia, l’uguaglianza e la democrazia, nei nostri tentativi di sviluppare politiche e procedure adeguate per resistere e porre fine al sistema razzista israeliano di apartheid e occupazione. Il successo di questa scelta, quindi, rappresenterà un modello civile per il raggiungimento della pace, della convivenza e della democrazia, nonché la soluzione dei conflitti tra i popoli.”
Anche se la “Dichiarazione” di questo “Movimento” contiene valutazioni che non possono assolutamente essere accettate da Israele - una di queste riguarda il “diritto al ritorno” - questo documento non parla della creazione di uno Stato arabo-palestinese come l’unica opzione e neppure come quella preferita.
Israele, ovviamente, non dovrà accettare questo documento, ma valutare quel che contiene di interessante: l’abbandono dell’idea di uno stato arabo separato.
In questo sta la sua importanza.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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