Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/06/2016, a pag.13, con il titolo "La Turchia all'Italia: è l'ora di un'intesa sul Mediterraneo", l'intervista di Francesca Sforza al ministro turco per gli affari europei.
Nel leggere le domande della giornalista al ministro turco, ci siamo ricordati delle Repubbliche Socialiste Democratiche di sovietica memoria. Anche allora gran parte dell'informazione pronunciava e scriveva quell'aggettivo 'democratico', anche se tutti sapevano quanto poco si adattava alle dittature comuniste. Eppure la regola era quella, quei regimi del terrore, ufficialmente, erano 'democratici'.
La storia si ripete oggi con la Turchia, un paese dove il musulmano Erdogan ha spazzato via tutte le libertà possibili, incarcera i giornalisti non allineati con il regime, chiude giornali e case editrici, reprime ogni manifestazione pubblica.
Nulla di tutto ciò traspare dalle domande, anzi, sembrano dare per scontato l'ingresso in Europa, quando la realtà è un'altra, o almeno speriamo continui a esserlo.
L'ultima domanda è un capolavoro, quasi una velina: "Lei sta lavorando alla nuova costituzione turca. Sarà inserita una formula che ribadisca la laicità dello Stato? E il ministro risponde;«Sì, ci sarà».
Non aggiungiamo altro, credevamo che di interviste simile fosse scomparso anche lo stampino. Ci sbagliavamo.
Francesca Sforza Ömer Çelik con il ministro Gentiloni
Il ministro turco per gli Affari Europei Ömer Çelik è oggi uno degli uomini più vicini al presidente Erdogan, ed è convinto che, per la stabilità del Mediterraneo, sia arrivato il momento di un’alleanza strategica tra Turchia e Italia. Non un appello generico, ma un’intesa forte e chiara, articolata in tre punti che il ministro ha deciso di illustrarci nel corso di una lunga conversazione alla sede diplomatica turca di Roma.
Durante la sua visita in Italia, dove ha incontrato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ha espresso con chiarezza il desiderio di una futura Turchia europea. Le difficoltà non mancano, ne è consapevole, e per risolverle, di nuovo, crede nel ruolo strategico dell’Italia, «Paese da sempre sostenitore dell’adesione turca».
Ministro Çelik, la crisi dei migranti vede la Turchia impegnata in prima linea, cosa risponde alle critiche di organizzazioni umanitarie come Msf e Amnesty a proposito delle politiche di ricollocamento e di accoglienza del suo Paese?
«La Turchia ha visto per prima le dimensioni di questa crisi, e ha subito richiamato l’attenzione dell’Onu su quanto stava accadendo, chiedendo la creazione di “safe” e “no-fly-zone”, ma finché le persone non hanno cominciato a traversare il mare mettendo a rischio le loro stesse vite, questi richiami non sono stati accolti. Al centro della crisi c’è il Mediterraneo e i due Paesi più esperti di Mediterraneo, Turchia e Italia, ne subiscono le conseguenze più immediate. Quindi la collaborazione tra Italia e Turchia gioca un ruolo chiave».
Cosa possono fare insieme Italia e Turchia?
«Abbiamo tre capitoli da gestire insieme: la lotta contro l’Isis e le altre organizzazioni radicali dell’Africa del Nord; la crisi migratoria, e la collaborazione all’interno dell’Ue. Si dice che ci saranno alcuni accordi tra Ue e Libia, ecco, senza l’esperienza della Turchia è difficile che abbiano successo, e la Turchia è sempre al fianco della Italia. Abbiamo relazioni dal 1300, siamo i Paesi che conoscono meglio il Mediterraneo, quindi è importante rafforzare la collaborazione».
Immagina nuove iniziative comuni?
«Abbiamo già utili tavoli di confronto a livello di meccanismo intergovernativo, ma possiamo dar vita a nuove iniziative che abbiano a cuore la pace del Mediterraneo, perché la Libia non è un paese isolato, ma parte di un’area che noi e gli italiani conosciamo molto bene».
Cosa risponde a chi denuncia carenze nell’implementazione dell’accordo del 18 marzo?
«L’accordo si sta implementando, ma da solo non basta. Bisogna includervi l’accettazione umanitaria del ricollocamento, e la liberalizzazione dei visti. Voglio essere chiaro, quando noi diciamo queste cose viene riportato “la Turchia ci minaccia”. No, non è una minaccia, è un’osservazione. Se il pacchetto non è completo, l’accordo diventa inefficace».
Crede che la Turchia un giorno sarà europea?
«Si dice che l’Europa sia stata fondata con l’avvicinamento di Francia e Germania, poi si è detto che l’allargamento dell’Europa ai Balcani e all’Est sia stato possibile grazie alla riappacificazione tra Germania e Polonia. Sono dell’idea che l’Europa cresca come potenza dinamica solo con gli allargamenti, e che l’avvicinamento tra Germania e Turchia renderà l’Europa come la desideriamo davvero».
Cosa ha pensato quando il Parlamento tedesco ha approvato la definizione di genocidio per la catastrofe armena?
«A quei tempi accaddero cose molto brutte e ce ne rattristiamo, era un momento di crisi del nostro impero in cui vari gruppi si sono comportati in modo inaccettabile, ma la Corte europea aveva già detto che una spiegazione unilaterale non poteva essere accettata, quindi la decisione del parlamento tedesco va contro il diritto prima di tutto. E in un momento in cui le relazioni devono essere strette, una decisione così, venuta dal nulla, non contribuisce a migliorare i rapporti».
C’è il terrorismo dell’Isis, c’è quello del Pkk, ma c’è anche la questione aperta dei curdi, su cui l’opinione pubblica occidentale è molto preoccupata…
«Oggi non stiamo lottando contro i nostri cittadini curdi o l’identità curda; all’interno del nostro partito abbiamo decine di deputati curdi e nel governo abbiamo ministri curdi. Chi lotta contro il Pkk lotta contro una organizzazione di terroristi, non contro i curdi. Distinguere i terrorismi è un errore che è stato già fatto in Afghanistan e ancora ne soffriamo le conseguenze, quindi cerchiamo di non fare della Siria un nuovo Afghanistan».
Lei sta lavorando alla nuova costituzione turca. Sarà inserita una formula che ribadisca la laicità dello Stato?
«Sì, ci sarà».
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