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La Stampa Rassegna Stampa
18.06.2016 Falluja: sciiti contro sunniti, un massacro. Me se non c'entra Israele i pacifisti tacciono
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 18 giugno 2016
Pagina: 14
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Falluja libera dall'Isis, la bandiera dell'Iraq sventola sul municipio»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/06/2016, a pag.14, con il titolo " Falluja libera dall'Isis, la bandiera dell'Iraq sventola sul municipio", la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

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Ci sarà mai uno straccio di esperto che commenti i massacri quotidiani che avvengono negli stati islamici mediorientali, che aiuti i lettori a capire perchè nel nome dell'islam siano possibili stragi di esseri umani alle quali assistiamo ormai da anni, senza che nessuno sappia fare altro che invocare la pace? E' mai possibile che a nessuno venga mai voglia di chiedersi come Israele possa giungere alla fine del conflitto con i palestinesi se la civiltà alla quale appartengono questi ultimi non è in grado di produrre altro che stragi di popolazioni che hanno in comune le stesse radici ?
Eppure, niente. La lente di ingrandimento è puntata sempre su Israele, che deve giustificarsi se non è ancora scomparsa dalla faccia della terra, lasciando via libera a un ennesimo stato islamico. Sembra pazzesco, invece è la realtà che contraddistingue l'informazione dei paesi cosiddetti democratici.

Ecco la cronaca:

L’esercito iracheno ha riconquistato il centro di Falluja. La città, la prima a cadere nelle mani dell’Isis nel gennaio del 2014, torna sotto il controllo di Baghdad dopo due anni e mezzo. Le ultime centinaia di combattenti dell’Isis che resistevano sono stati spazzati via prima da un massiccio bombardamento di artiglieria, poi dal blitz delle forze d’élite.
Sono rimasti ancora piccoli gruppi isolati. Alcune decine di jihadisti, ieri sera, erano asserragliati nell’ospedale, con ostaggi, circondati dai reparti anti-terrorismo.
Le bandiere nere, comunque, non sventolano più nella roccaforte sunnita e dei gruppi islamisti. L’immagine simbolo della riconquista della città è quella di un soldato nella moschea di Al-Anbiya, sopra il minbar, il pulpito riservato all’imam, che dà il via, elmetto in testa e microfono in mano, alla preghiera del venerdì. Un’immagine che ha suscitato l’indignazione dei sunniti, «una profanazione», e l’esultanza degli sciiti.
Il premier Haider Al-Abadi ha imposto alle milizie sciite di rimanere nei sobborghi della città, mentre il centro è stato occupato solo dall’esercito, ma le divisioni settarie rimangono forti. L’altra immagine simbolo è quella dei civili che superano una barriera di filo spinato, piazzata dagli islamisti ai margini dell’abitato lungo l’Eufrate, e attraversano a nuoto il fiume per raggiungere la sponda occidentale.
Novantamila abitanti sono rimasti intrappolati fino all’ultimo, usati come scudi umani dai jihadisti. L’offensiva finale è stata lanciata ieri all’alba. La resistenza degli islamisti nei quartieri centrali, densamente abitati, è stata piegata da 23 ore di bombardamenti con artiglieria e razzi Katiuscia. Poi una colonna dell’esercito è penetrata da Sud, lungo l’Eufrate, e ha liberato il quartiere di Al-Andalus, anche per permettere la fuga ai civili.
Da Est un’altra colonna ha preso lo svincolo di Al-Salam e ha proseguito verso il centro. Prima è caduto il municipio. I soldati hanno piantato la bandiera nazionale sul tetto, al posto di quella nera dell’Isis. L’ultima resistenza c’è stata nella zona di Al-Shuhada, dove è stato ucciso il comandante islamista, Abu Ayman al-Iraqi. Come dice il nome, uno del posto, perché i combattenti dello Stato islamico, a differenza che in Siria, a Falluja erano quasi tutti originari della città o dei dintorni. In un migliaio hanno resistito per un mese contro 15 mila uomini. Le perdite di esercito e milizie sono stimate in 300-400 morti. Il doppio fra i jihadisti.
Dei trecentomila abitanti di due anni fa ne rimangono meno di un terzo. Il centro è in gran parte distrutto, le strade, gli edifici pubblici sono minati. La ricostruzione sarà difficile.
Al-Abadi pensa già a Mosul. Ha inviato una colonna corazzata a 60 chilometri a sud dell’ultimo bastione dell’Isis in Iraq. Un’operazione minore, ma strategica, sarà riconquistare l’ultimo tratto della superstrada che da Falluja porta al confine con la Siria. Dopo Ramadi e Palmira, l’Isis subisce la terza disfatta in sei mesi.
A Baghdad è l’ora dell’ottimismo.

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direttore@lastampa.it

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