Islam e omofobia dietro alla strage di Orlando
Analisi di Valentina Colombo
Un omosessuale gettato da un tetto e ucciso nel mondo islamico
La carneficina ad Orlando di cinquanta omosessuali da parte di Omar Mateen ha riacceso il dibattito sul rapporto tra ISIS e Islam, tra omosessualità e islam e tanti altri punti interrogativi. L’attentato è stato definito omofobo, ma in seguito è emerso che il killer sarebbe stato tra i frequentatori del locale quasi a volere sospettare che essendo lui stesso omosessuale non avrebbe potuto agire in nome dell’islam e quindi sarebbe solo uno squilibrato, aggettivo che viene sempre più spesso utilizzato per etichettare attentatori che agiscono in nome dello Stato islamico. Purtroppo l’attenuante non regge, così come non reggono le prese di distanza e lo stupore delle comunità islamiche locali, in primo luogo il Council for American Islamic Relations (CAIR) appartenente alla galassia della Fratellanza musulmana.
Se da un lato la tradizione islamica non ha mai risparmiato condanne ai rapporti omosessuali, anche la tradizione culturale del mondo islamico dal Marocco all’Afghanistan, come dimostrano molti sondaggi e rapporti ufficiali, considera gli omosessuali come moralmente e socialmente inaccettabili al punto tale da accettarne l’eliminazione fisica. Il problema infatti non è la condanna dell'omosessualità da parte del Corano, ma il fatto che la punizione sia la morte.
Per l’islam al di fuori del matrimonio legale qualunque atto sessuale è un peccato grave, e su questo tutte le scuole giuridiche dell’islam, sunnita e sciita, concordano. La storia biblica di Lot ricorre sei volte nel Corano, più precisamente nel periodo meccano della rivelazione, e sempre con una condanna assoluta. La condanna della gente di Sodoma è senza remissione. Per esempio nel Corano si legge: “E quando Lot disse al suo popolo: ‘Davvero commettete una turpitudine che mai nessuno al mondo ha commesso prima di voi. Concupite i maschi’” (XXIX, 28-29). Anche nei detti e fatti del Profeta, l’omosessualità, sia maschile che femminile, sia attiva che passiva, è equiparata all’adulterio, ed è dunque passibile di condanna a morte. Solitamente ci si riferisce a tre hadith, che parlano del liwat, termine che deriva da Lot, cioè del rapporto tra due maschi, o del sihaq cioè del rapporto sessuale tra due femmine. Il primo hadith dice: “Quando un maschio monta un altro maschio, il trono di Allah trema”. Il secondo dice: “Uccidi la persona che lo sta facendo e la persona che lo sta subendo”. Il terzo tratta delle lesbiche: “Il sihaq delle donne è una forma di fornicazione”.
Ciononostante l’omosessualità anima tutta la storia araba e islamica. Nella poesia araba classica i poemi sull’amore tra i giovani abbondano. Basti pensare ai versi del celebre poeta del periodo abbaside Abu Nuwas. Un riflesso di quest’amore per i giovani fanciulli si trova pure nel Corano. Nella descrizione del Paradiso della sura LVI, 12-19 si legge: “Nei Giardini delle delizie, molti tra gli antichi, pochi tra i recenti, su divani rivestiti d'oro, sdraiati gli uni di fronte agli altri. Vagheranno tra loro fanciulli di eterna giovinezza, [recanti] coppe, brocche e calici di bevanda sorgiva, che non darà mal di testa né ebbrezza”. E ancora nella sura LII, 21-24: “Coloro che avranno creduto e che saranno stati seguiti nella fede dalla loro progenie, Noi li riuniremo ai loro figli. Non diminuiremo in nulla il merito delle loro azioni, poiché ognuno è pegno di quello che si sarà guadagnato. Provvederemo loro i frutti e le carni che desidereranno. Si scambieranno un calice immune da vanità o peccato. E per servirli circoleranno tra loro giovanetti simili a perle nascoste”.
Il Corano condanna quindi in modo assoluto l’omosessualità equiparandola all’adulterio. Come per l’adulterio, per giungere alla condanna sarebbero necessari quattro testimoni maschi oppure otto testimoni femmine. Per venire all’epoca contemporanea, il teologo Yusuf al-Qaradawi nel saggio Il lecito e l’illecito nell’islam scrive: “I giuristi non sono concordi sul castigo che va inflitto a chi commette quest’atto immorale. I due compagni ricevono il castigo del fornicatore? Forse l’attivo e il passivo vanno uccisi? Con quale mezzo vanno uccisi? Con una sciabola, col fuoco o buttandoli dall’alto di un muro? Questa severità che sembrerebbe inumana non è che un mezzo per depurare la società islamica da questi esseri nocivi che non conducono che alla perdita dell’umanità”.
Tuttavia non è il solo ad avere predicato la morte dell’omosessuale. Anche il predicatore kuwaitiano Tareq Suwaidan, di recente invitato dall’Associazione islamica italiana degli imam e delle guide religiose e fermato da un divieto di ingresso in zona Schengen per via delle sue posizioni antisemite, nel 2005 alla televisione del Qatar ha dichiarato: “Per chiunque commetta sodomia, si uccidano il sodomizzatore e il sodomizzato. I religiosi hanno deciso come debba essere ucciso un omosessuale. Hanno detto che dovrebbe essere lapidato a morte. Alcuni studiosi sostengono che debba essere gettato da una montagna ... I governi e paesi devono rispettare la legge rigorosamente contro chiunque commetta siffatto abominio ... questo potrebbe provocare la deviazione di società nel suo insieme.” Si unisce alla schiera anche Rateb al-Nabulsi, invitato più volte da Islamic Relief Italia. Alla televisione di Hamas ha sentenziato che "l'omosessualità comporta un luogo sporco, e non genera figli. L'omosessualità porta alla distruzione dell'omosessuale. Ecco perché, fratelli, l'omosessualità comporta la pena di morte."
Queste posizioni non sono molto distanti da quelle riportate nel numero 7 della rivista dell’ISIS Dabiq in cui si accusa l’occidente e “i suoi parlamenti politeisti” che hanno legalizzato matrimoni omosessuali e il Papa per non essersi rifiutato di giudicarli. Anche il nostrano Hamza Roberto Piccardo nel 2005, allora presidente nazionale dell’UCOII, intervistato per la rivista Panorama da Stefano Lorenzetto, dichiarava: “L'omosessualità non è permessa nell'Islam e la sua legalizzazione, come viene rivendicata in Europa, non può essere accettata in nessuna forma. «Uccidete chiunque si renda colpevole di sodomia» decreta il giurista Ibn ‘Abbas. Esistono associazioni di gay musulmani. C'è di tutto, a questo mondo”.
Pochi sono i predicatori e le istituzioni islamiche che hanno levato la voce per tutelare la vita degli omosessuali , e nessuno stato a maggioranza islamica ne tutela l’incolumità. E’ del tutto evidente che la battaglia degli omosessuali nel mondo islamico è ben lungi dall’essere terminata e si tratta di una lotta per la vita. In alcuni paesi come l’Arabia Saudita, Iran, Mauritania, Sudan, Somalia, e Yemen è prevista la pena di morte. In Iran a partire dalla rivoluzione islamica nel 1979 più di 4000 persone sono state condannate a morte accusate di rapporti omosessuali. Non solo, l’Iran rappresenta un caso di massima perversione laddove Nel 1963 l’ayatollah Khomeini ha scritto un’opera in cui affermava che la chirurgia della transessualità non contravviene ai precetti dell’islam.
Il cambiamento di sesso è stato quindi legalizzato all’indomani della Rivoluzione islamica del 1979, dopo l’emanazione di una fatwa dell’ayatollah Khomeini favorevole ai “transessuali diagnosticati”. Nel febbraio 2012, 56 Stati islamici rifiutano di partecipare a un dibattito alle Nazioni Unite sulla violenza nei confronti degli omosessuali. In altri paesi l'omosessualità è punita con il carcere, o altre pene corporali, per esempio in Bahrain, Qatar, Algeria, Maldive. In Turchia, Giordania, Egitto, Tunisia e Mali, l’omosessualità non è proibita in quanto tale, ma i gay possono essere condannati per oltraggio alla morale pubblica. L’11 maggio 2001, ad esempio, al Cairo 52 uomini sono stati arrestati a bordo del nightclub galleggiante Queen Boat. Ai tempi i media egiziani hanno esercitato una pressione inaccettabile e immorale sulle persone coinvolte: diffondendone nomi, indirizzi e telefoni, e pubblicando le loro foto.
Nel luglio 2008 in Turchia è stato ucciso Ahmet Yildiz, 26 anni, studente di fisica all’Università, colpevole di essere gay. Gli amici del giovane sostengono che la condanna a morte sia stata decretata il giorno stesso che ha reso nota la propria omosessualità alla famiglia. Cinque mesi prima, Yildiz si era anche rivolto a un magistrato perché aveva ricevuto minacce di morte, ma il suo appello era rimasto inascoltato. In un Paese che per entrare nell’Unione Europea ha moltiplicato i suoi sforzi per raggiungere un livello di tutela dei diritti civili e delle minoranze accettabile, il caso di Ahmed Yildiz appare molto simile a quello di molte donne vittime dei cosiddetti “delitti d’onore”. E soprattutto non lascia ben sperare. In Tunisia l’associazione al-Shams sta lottando con coraggio e non poche difficoltà per la depenalizzazione dell’omosessualità e per la abolizione dell’articolo 230 del Codice penale sancisce che gli omosessuali e le lesbiche sono passibili di una condanna a tre anni di carcere.
Le minacce agli omosessuali musulmani americani giungono quando nel 1998 Faisal Alam, 20 anni, statunitense di origine pakistana, fonda la Al-Fatiha Foundation una organizzazione per la difesa di omosessuali, lesbiche, bisessuali e transessuali di confessione musulmana, e Al-Muhajiroun, un’organizzazione radicale islamica internazionale fondata in Gran Bretagna dallo shaykh Omar Bakri, emette una fatwa che dichiara i membri di al-Fatiha “apostati” e quindi condannati a morte. Nel mondo islamico si sta diffondendo anche il cosiddetto suicidio d’onore.
La stampa internazionale ha riportato alcuni casi di giovani che avevano subito un tale lavaggio del cervello da parte delle famiglie tanto da essere spinti a ripulirsi del proprio peccato uccidendosi. Potrebbe essere questo il caso di Omar Mateen? Ovvero un omosessuale che convertitosi allo Stato Islamico abbia voluto purificarsi dei propri peccati e del proprio passato? Ebbene, uno studio pubblicato nel 2006 dall’Università di Haifa afferma che da un approfondimento della vita delle donne kamikaze emerge che nella maggior parte dei casi si tratta di persone che avevano commesso un peccato, dall’adulterio all’avere macchiato l’onore della famiglia, da cui si devono redimere. Per cui l’immolazione alla causa del jihad risulta il modo migliore per purificarsi e conquistare il paradiso. Il caso di Omar potrebbe inserirsi in questo contesto e si tratterebbe quindi di un’ulteriore conferma della strumentalizzazione dell’essere umano da parte del perverso meccanismo dell’estremismo islamico. Omar, al pari di altri “soldati” dell’ISIS con trascorsi criminali, potrebbe avere cercato di uccidersi sulla via di Allah per guadagnare il paradiso da eroe.
La tragedia di Orlando dovrebbe comunque far riflettere ancora una volta sulle posizioni di predicatori islamici molto vicini all’Islam organizzato italiano che sono latori di odio nei confronti dell’altro senza esclusioni di colpi, dagli ebrei agli omosessuali. Andrebbero ben valutate le conseguenze della loro presenza e contiguità con certi ambienti islamici, con i luoghi a rischio radicalizzazione come le carceri perché il caso di Omar Mateen dimostra che un forte desiderio di purificazione, dovuto forse a una ri-conversione, può concludersi tragicamente come a Orlando.
Valentina Colombo