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Bet Magazine Rassegna Stampa
13.06.2016 Il Gran Mufti Al-Husseini, alleato di Hitler per lo sterminio degli ebrei
Analisi di Vittorio Robiati Bendaud

Testata: Bet Magazine
Data: 13 giugno 2016
Pagina: 22
Autore: Vittorio Robiati Bendaud
Titolo: «Amin Al-Husseini e la guerra contro gli ebrei»

Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano di goiugno 2016, a pag. 22, con il titolo "Amin Al-Husseini e la guerra contro gli ebrei", l'analisi di Vittorio Robiati Bendaud.

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Vittorio Robiati Bendaud

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Il Gran Mufti di Gerusalemme con Adolf Hitler

Fu nel 1921 che Haij Amin al-Husseini divenne Gran Muftì di Gerusalemme. Un evento catastrofico per il mondo ebraico del Medioriente, che segnò l’inizio della demonizzazione degli ebrei nel mondo islamico, diede il via al sodalizio arabo-nazista, lasciando dietro di sè una lunga scia di sangue e violenze. Pochi anni dopo la nomina di al-Husseini, la Commissione Shaw, voluta dal governo britannico per investigare sulle violente sommosse arabe antiebraiche del ‘29, attribuì al Muftì e al suo incitamento all’odio enormi responsabilità nell’uccisione di 133 ebrei e nel ferimento di altri 239 loro correligionari. L’ascesa del Muftì e dei suoi sostenitori corrispose all’eliminazione - o alla riduzione al silenzio - di forze arabe più moderate. Ciononostante, la seconda metà degli anni ’20 e parte degli anni ’30 si rivelò generalmente un periodo di opportunità insperate per gli ebrei che vissero nel Dar al-Islàm.

In Egitto e in Iraq numerosi ebrei ricopersero incarichi di responsabilità pubbliche, ricevendo il plauso della popolazione. In questi e altri Paesi islamici non pochi ebrei avviarono prosperi commerci. Parimenti, infine, un non trascurabile numero di ebrei dei Paesi arabi ebbe un ruolo essenziale, propositivo e positivo nella rinascita culturale e scientifica di queste nazioni. Con l’ascesa del nazismo, la Germania tuttavia ripropose, rinnovandola e modificandola, l’Islampolitik di qualche decade precedente. Berlino invocò un’alleanza con l’Islàm contro comuni nemici: l’Impero britannico, i sovietici e, ovviamente, gli ebrei. Sulla scorta del precedente guglielmino, la Germania si proclamò amica dei musulmani e baluardo difensivo della loro fede. Fu così che nel corso del Secondo conflitto mondiale iniziarono i reclutamenti di numerose migliaia di musulmani, provenienti dai vari Paesi dell’Asse, nelle file della Wehrmacht e delle SS. La maggioranza di costoro proveniva dai Balcani e dal Caucaso, ma anche dal Medio Oriente.

I tedeschi ottennero anche l’aiuto e il plauso, nel corso della soluzione finale in Europa, dell’imam di Lituania. Benito Mussolini si comportò in maniera analoga, avvicinando il fondatore dei Fratelli Musulmani, Hassan al-Banna, offrendo loro il primo finanziamento occidentale e presentando infine se stesso nel 1937 come la “spada dell’Islàm”. Altrettanto fecero i giapponesi che, durante la Guerra, nei primi di aprile del 1943, convocarono una conferenza internazionale di dignitari e ‘ulema asiatici - dalla Malesia, da Sumatra e dall’Indonesia - per annunziare che vi era un nemico comune e che l’impero giapponese difendeva l’Islàm. Roma, Berlino e Tokyo alimentarono, di intesa con i leader islamici dei Paesi delle rispettive sfere di influenza, una miscela esplosiva di antimperialismo, nazismo e, nello specifico, antisemitismo.

Nel corso della guerra in molti Paesi arabi si trovarono striscioni con frasi simili a queste: “In cielo Dio è sovrano, in terra Hitler”; oppure, “ Non più “monsieur”, non più “Mister”: Dio in cielo e in terra Hitler”. La diffusione massiccia e pervasiva di siffatte idee in seno alla popolazione islamica di alcuni Paesi del mondo arabo, spesso scardinò definitivamente ogni forma, anche minimale, di convivenza tra ebrei, cristiani e musulmani. L’aumento progressivo della popolazione ebraica in Eretz Israel e la causa sionista acuirono ulteriormente la rabbia islamica. Nel ‘33 il Gran Muftì di Gerusalemme Haij Amin al-Husseini incontrò Heinrich Wolf, console generale di Germania, offrendogli i suoi servigi e congratulandosi con lui per le politiche antiebraiche del regime. L’ambasciatore tedesco in Iraq, Fritz Grobba, venne avvicinato da esponenti pan-arabi per una continuativa e stretta collaborazione. Nel settembre 1937, Haij Amin al-Husseini organizzò un incontro in Siria, presieduto dal Primo Ministro iraqeno Naji al-Suweidi, con ben 424 delegati da Siria, Palestina mandataria, Libano, Transgiordania, Iraq, Egitto e Arabia Saudita.

In quell’occasione si dichiarò che la Palestina è “regione santa dell’ereditata inalienabile terra dei nostri Padri”, sì che gli intenti della Commissione Peel dovevano essere rigettati e combattuti perché “attentavano all’unione degli Arabi nella loro lotta verso una Nazione Araba”. Queste prese di posizione rafforzarono alcune scelte politiche britanniche avverse alla presenza ebraica in modo da evitare di urtare la suscettibilità islamica. Il Muftì si espresse chiaramente dicendo di “scacciare gli ebrei dalla Palestina, come il Profeta fece con loro in Arabia nel VII secolo”, con riferimento a quanto il Corano racconta circa gli ebrei di Madina e le vicende di Khaybar. Dal 1938 tedeschi e italiani, di intesa con il Muftì, iniziarono a trasmettere in lingua araba in nord-Africa e in Medio Oriente trasmissioni di propaganda e prediche antisemite. Il giornale iracheno, di proprietà cristiana, al-‘Alām al-‘Arabi iniziò a pubblicare quotidianamente estratti della traduzione araba del Mein Kampf, con lo scopo di aizzare l’odio antiebraico, sinché nel ‘35 venne istituito a Baghdad un circolo filo-nazista (al-Muthanna) con affiliazioni a Basra e Mosul. In quel periodo il Mein Kampf ebbe ben quattro diverse traduzioni arabe che circolarono ampiamente a Beirut, Baghdad e Il Cairo. Sempre in Iraq, per rispondere alle richieste naziste, furono chiuse le frontiere agli ebrei europei in fuga e non pochi esuli vennero riconsegnati e deportati. L’Iraq aumentò progressivamente le misure antisemite, con la proibizione di insegnare nelle scuole ebraiche la lingua e la storia ebraiche. I giornali ebraici al-Misbah, Yeshurun e al-Hasid vennero chiusi e iniziò in quel periodo una lunga, progressiva serie di uccisioni di ebrei per le strade.

L’influenza nazista raggiunse persino il Kurdistan, ove la popolazione islamica locale iniziò una generale “caccia all’ebreo”, sì che nel ‘35 circa 2500 ebrei di quelle terre fuggirono in Eretz Israel. Nel 1937, Fritz Grobba invitò Baldur von Schirach, leader della Gioventù Hitleriana, a visitare con i suoi collaboratori Baghdad, ove ricevette onori e accoglienza entusiasta da parte della popolazione locale. Sempre nel corso della seconda metà degli anni Trenta, il re ‘Abdul ‘Aziz di Arabia inaugurò rapporti commerciali (traffico d’armi incluso) con i tedeschi, mentre molti siriani e iracheni iniziarono a recarsi assiduamente a Norimberga per le riunioni del partito nazista. I nazisti avanzano con l’appoggio dell’Islam Nel settembre del ’40, con l’invasione nazista della Francia, il politico siriano cristiano Michel Aflaq, all’epoca studente alla Sorbona, creò assieme a Salah al-Din al-Bitar il nucleo del Partito Baath (Partito Arabo Socialista della Resurrezione), mosso da ideali panarabi e socialisti: tuttavia, M. Alfaq fu entusiasticamente affascinato da fascismo e nazismo. In Tunisia e Algeria, sotto il governo di Vichy, le comunità ebraiche locali divennero bersaglio della violenza islamica, in particolar modo nei quartieri musulmani della città di Algeri (1942).

Nell’agosto del 1940, nelle città tunisine iniziarono sommosse della popolazione locale contro gli ebrei. Nel maggio del 1941 oltre 30 musulmani si scatenarono contro la sinagoga di Gabès, ferendo 20 ebrei e uccidendone 8. Vi furono però altri musulmani, persone degne e di grande valore, che si opposero a quanto stava succedendo. Un importante esponente islamico di Algeri, ‘Abdalhamid Ibn Badis, aveva fondato una Lega tra Arabi ed Ebrei. Dopo la sua morte, lo Shaykh Taieb al-Okbi gli succedette. Nel ’42 al-Okbi intercettò la notizia che i fascisti francesi e tedeschi stavano organizzando un pogrom antiebraico ricorrendo all’eccitazione della popolazione islamica locale. Al-Okbi si espresse formalmente, avversando in ogni modo simili violenze da un punto di vista islamico. Un altro musulmano di Tunisia, Khaled ‘Abdalwahhab, salvò decine di famiglie ebraiche tunisine nella città costiera di Mehdia.

Da Baghdad, il Muftì di Gerusalemme, il 20 gennaio 1941, scrisse una lettera a Hitler rinnovando il proposito di servire il terzo Reich e cercando di ottenere maggiore supporto da parte nazista. Nel maggio del ’41 il Muftì andò in Iran, poi in Italia e infine a Berlino, ove incontrò Hitler e si adoperò attivamente per la creazione di un violento corpo d’assalto di SS musulmane bosniache. Nello stesso momento, non pochi musulmani di Bosnia e Albania si adoperavano per salvare gli ebrei perseguitati, di cui circa 30.000 provenienti da Austria e Germania. Nella primavera del 1943 Izertbegovic, il leader della gioventù islamica di Sarajevo, accolse il Muftì e successivamente organizzò il reparto Waffen SS Handzar. Sempre in Bosnia, il Muftì si occupò della formazione di un’ulteriore unità, le Waffen SS Hanjar. Costoro –alcune migliaia di individui- uccisero il 90% della popolazione ebraica dei Balcani, infliggendo anche violenze alla popolazione cristiana serba; successivamente vennero inviati in Croazia e Ungheria per aiutare nell’opera di deportazione e concentrazionaria.

L’influenza nazista divenne assai forte in Iran, sia nelle dirigenze politiche sia in quelle religiose: dal 1933 Reza Shah si avvicinò sempre più al regime, mutando in peggio le condizioni di vita degli ebrei iraniani e stimolando l’insorgenza di sentimenti antisemiti tra la popolazione. Dalle ore 3 del pomeriggio del 1 giugno 1941 iniziò a Baghdad, organizzato dai soldati di Rashid ‘Ali e da membri della milizia islamica pro-nazista Katayib al-Shabab, un pogrom su vasta scala: si trattò del Farhud, che perdurò tutta la notte e il giorno successivo. Terrore, violenza e uccisioni si abbatterono sugli ebrei di Baghdad: 178 morti ebrei in città e almeno una decina nella periferia; alcuni morti tra i pochi musulmani che difesero gli ebrei dai loro correligionari; numerose donne ebree stuprate; 240 bimbi ebrei orfani; oltre 2000 persone accoltellate; 911 case ebraiche furono saccheggiate assieme a 586 negozi di proprietà ebraica; 4 sinagoghe profanate. Le urla che si udivano, frammiste a espressioni religiose islamiche, furono: “Idhbah al-yahud (sgozza gli ebrei!) e Mal al-yahud: Halal (I beni degli ebrei sono leciti)”. Pure in questo caso, tra gli animatori delle violenze, vi fu il solito Muftì. Testimoni oculari dei fatti raccontano che molti vicini di casa, alcuni considerati amici, si unirono contro gli ebrei. Ma vi furono, benché rari, anche commoventi gesti di eroismo.

La moglie del colonnello Taher Muhammad Aref si precipitò per la via tra gli altri musulmani, cercando di difendere gli ebrei. La signora imbracciava un fucile e una granata e così minacciò eroicamente predoni e assassini, prendendo le difese degli ebrei. Yad vaShem ha registrato 17 campi di internamento e lavori forzati funzionanti in Nord Africa: 3 in Marocco; 3 in Algeria; 7 in Tunisia; 4 in Libia. Molti internati morirono, anche in seguito a torture, mentre moltissimi furono impiegati per i lavori della ferrovia trans-sahariana. Il quartiere ebraico di Benghazi fu saccheggiato e oltre 2000 ebrei deportati. Hitler concordò con il Muftì, in caso di auspicata vittoria in nord-Africa, la soluzione finale per tutti gli ebrei del mondo arabo.

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