Riprendiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 09/06/2016, a pag. 25, con il titolo "Il ritorno di una guerra mai finita", il commento di Ugo Tramballi.
Il FATTO QUOTIDIANO oggi pubblica soltanto una breve di agenzia sulla strage di Tel Aviv, ma lo fa virgolettando l'espressione "attacco terroristico", mettendo così in dubbio che quanto si è verificato ieri sera sia stato un attentato.
Peggio riesce a fare Ugo Tramballi, secondo cui l'accaduto di ieri è espressione di un "terrorismo minore, quello dei coltelli o degli assalti disperati". La giustificazione che Tramballi dà dell'attentato, d'altra parte, non tarda ad arrivare: "Privati della prospettiva di uno stato, i palestinesi, soprattutto i giovani, allargano le fila del terrorismo inutile e disperato".
Il terrorismo palestinese, quindi, secondo Tramballi è una semplice e inevitabile reazione alle "malefatte" di Israele, subito elencate, a partire da "l’occupazione" e da un governo descritto come sempre più "nazionalreligioso" (non è chiaro a che titolo, dal momento che l'ingresso di Lieberman porta al governo un partito sì nazionalista, ma decisamente non religioso).
Ecco l'articolo:
Ugo Tramballi
Il modello di giornalismo sposato da Tramballi
Siria, Iraq e Libia avevano messo in seconda linea quello che solo qualche anno fa era considerato il padre di tutti i conflitti. Ma in Israele la guerra sia pure condotta “a bassa intensità” e il terrorismo sono solo un ritorno, non una novità. Prima o poi sarebbe accaduto di nuovo perché niente è cambiato dell’antico confronto con i palestinesi.
Il muro fisico costruito nei territori occupati ferma i kamikaze ma, come tutte le barriere, non è impermeabile. Era già accaduto sei mesi fa. Tel Aviv, smagliante e tecnologica come una Seattle sul Mediterraneo, con l’ambizione di essere un luogo lontano dal conflitto, era stata attaccata da un lupo solitario che con un mitra aveva ucciso e terrorizzato. Il copione di ieri sera è stato molto simile: anche il più attrezzato ed esperto dei Paesi non può sfuggire del tutto al terrorismo, soprattutto al terrorismo minore, quello dei coltelli o degli assalti disperati.
Forse Bibi Netanyahu si era illuso che il caos arabo attorno a Israele avrebbe dato allo stato ebraico tutto il tempo per consolidare l’occupazione. E nessuno, con simili minacce regionali alle porte, avrebbe chiesto a Israele di intraprendere una pericolosa strada di pace con i palestinesi. Il premier israeliano ha rafforzato il profilo nazionalreligioso del suo esecutivo allargandolo ad Avigdor Liebermann, preparandosi più a moltiplicare i coloni negli insediamenti ebraici che ad avviare un dialogo con i palestinesi.
Il risultato è quello di sempre, tutte le volte che Israele ha rifiutato di lasciare aperta una porta per il dialogo. Privati della prospettiva di uno stato, i palestinesi, soprattutto i giovani, allargano le fila del terrorismo inutile e disperato. Un’azione come quella di ieri a Tel Aviv non dà nessuna speranza alla pace ma, piuttosto, allarga il fossato di sfiducia anche fra gli israeliani che hanno compreso la necessità di un compromesso di pace. Fra un anno esatto si celebreranno i cinquant’anni della Guerra dei sei giorni e dell’inizio dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Mezzo secolo più tardi la faida continua.
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