Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/06/2016, a pag. 45, con il titolo "I palestinesi in Libano e i profughi d'oggi", la lettera di Claudio Franza e la risposta di Sergio Romano.
Il pezzo di Sergio Romano è un esempio di menzogna omissiva. Descrivendo la situazione degli arabi palestinesi in Libano, infatti, Romano si guarda bene dallo scrivere che non hanno mai ricevuto accoglienza e mai sono stati integrati dai loro "fratelli" arabi, nessun diritto, solo doveri. Al contrario, sono stati utilizzati - in Libano e nei Paesi arabi circostanti - come carne da macello nella guerra contro Israele.
Basti sottolineare la differenza tra il milione circa di ebrei provenienti dal mondo arabo e islamico che in Israele hanno trovato accoglienza e integrazione e i 500.000-600.000 arabi palestinesi che invece, fuoriusciti per varie ragioni da Israele, sono stati costretti dai Paesi arabi a risiedere per decenni in campi profughi. E in gran parte vi risiedono ancora.
Ecco lettera e risposta:
Sergio Roman
Palestinesi residenti in Libano
A mio avviso, il problema non è immigrati sì o immigrati no. Il problema è stabilire quanti ne possiamo prendere e integrare senza scossoni al nostro standard economico e civico. Ricordo che molti anni addietro ero in Giordania e per lavoro ero in comunicazione con il nostro rappresentante in Libano. In quel periodo, nel Libano stavano entrando moltissimi palestinesi e, relativamente a questa migrazione, il nostro agente mi segnalò la sua preoccupazione dell’impatto che questa migrazione avrebbe avuto sull’economia e sullo standard civico del Paese. Temeva che un numero eccessivo di migranti portasse a modifiche importanti nella sua nazione dovute a difficoltà di integrazione, integrazione che poteva essere assorbita soltanto se il numero di migranti non fosse stato eccessivo. Un numero significativo di migranti avrebbe portato inevitabilmente a una contrapposizione piuttosto che a una integrazione. Ricordo che il Libano allora era la Svizzera del Medio Oriente. Guardate come è ridotto oggi.
Claudio Franza
claudio.franza@libero.it
Caro Franza, I rifugiati palestinesi in Libano sarebbero oggi poco più di 400.000, ma non tutti vivono negli 11 campi allestiti per accoglierli. Molti (circa 200.000) sembrano essere maggiormente inseriti nella società libanese. Le perplessità registrate dall’agente della sua azienda erano motivate da alcune considerazioni. In primo luogo il Libano è un Paese multiconfessionale (musulmani sciiti, musulmani sunniti, cristiani maroniti, per non parlare di armeni e siriaci) in cui la convivenza dipende dalle garanzie politiche e istituzionali offerte a ciascuno dei maggiori gruppi religiosi. In secondo luogo, i palestinesi rappresentavano un popolo senza Stato ed erano sensibili ai richiami di coloro che li avrebbero esortati a battersi per la riconquista della patria perduta. Molti, in Libano, erano preoccupati dalla possibilità che l’arrivo dei palestinesi (sunniti) alterasse gli equilibri di un Paese che aveva allora due milioni e mezzo di abitanti, e temevano che la loro presenza lo avrebbe coinvolto in una delle più imbrogliate questioni irrisolte del Medio Oriente.
I timori si avverarono quando il Movimento di liberazione della Palestina, dopo la guerra del 1967, usò il Libano meridionale per organizzare operazioni di commando contro posizioni israeliane al di là della frontiera. Da quel momento i palestinesi furono particolarmente invisi ai cristiani e all’esercito, prevalentemente maronita. I due attentati che dettero il via alla guerra civile nell’aprile 1975 erano indicativi del clima che avrebbe sconvolto il Paese per 25 anni: un gruppo musulmano aggredì le Falangi cristiane di Pierre Gemayel e le Falangi aggredirono un autobus di palestinesi che ritornavano da una manifestazione del Fronte popolare organizzata dal leader palestinese George Habbash. Più tardi, nel 1982, le stesse Falangi, contando sulla protezione dell’esercito israeliano, entrarono nel campo palestinese di Shatila e uccisero, a quanto sembra, non meno di 3.000 persone.
Come vede, caro Franza, la presenza palestinese in Libano ha motivazioni e caratteristiche alquanto diverse da quelle dei profughi che abbandonano il loro Paese per salvare la vita e ricostruire la loro esistenza in un altro terra.
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