Il populismo e il pesce lesso
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
datemi pure del populista, ma per me la domanda giusta è quella posta dal Dalai Lama (http://www.repubblica.it/esteri/2016/06/01/news/migranti_dalai_lama_germania-141075636/): “vi sembra giusto che la Germania diventi araba? E con la Germania la Svezia e l’Olanda, la Francia e il Belgio... soprattutto, voi che siete cittadini italiani, e come elettori dovreste decidere, vi sembra giusto che l’Italia diventi araba?” O più in generale musulmana, perché il problema non è certo l’origine degli immigrati, ma l’ideologia, la forma di vita, la concezione politica e civile che si portano dietro.
Datemi pure del populista, tanto questa etichetta, che contiene i grillini e Podemos di estrema sinistra come Salvini e il partito liberale austriaco e AfP in Germania, che invece sono etichettati come di destra, non vuol dire granché. Qual è il programma di un populista? Che cosa distingue un populista da un conservatore o da un riformista? C’è qualcuno che si è mai detto populista? Ci sono manifesti, libri, trattati che fondino il populismo? C’è da qualche parte qualche movimento che si chiami “partito populista italiano” (o lussemburghese o valdostano?). La risposta a tutte questioni è no, e quindi è chiaro che il populismo è solo usato come un insulto, di quelli che si scambiano gli automobilisti dopo un sorpasso azzardato, magari aggiungendoci il segnaccio delle corna (se sono all’antica) o i più moderni il dito indice levato.
Dunque la parola populismo sembra proprio vuota. Sembra, dico, perché io di mestiere faccio il semiologo e del mio mestiere fa parte anche il senso e la ragione per cui si usano certi simboli, certe immagini, e certe parole. Infatti populismo si continua a usare e, a leggere i giornali, sembra che le elezioni comunali dell’altro ieri siano stata una vittoria del populismo, come del resto erano state definite le ultime votazioni austriache, francesi, tedesche, polacche, e se le cose vanno come è prevedibile lo saranno anche quelle spagnole e il referendum britannico. Dunque, bisogna capire che cosa significa dire che la vittoria non è di questo o quel partito, ma del “populismo”. Un po’ come nella tradizione ermeneutica ebraica, uno dei trucchi per far parlare le parole sta nel chiedersi quale sia il contrario di populismo. Come chiameremo gli antipopulisti? Saranno di destra, di sinistra o di centro? Difficile rispondere.
E però, dentro la parola populista si riconosce facilmente la parola popolo. Tutti dicono di rispettare moltissimo il popolo le sentenze sono emesse in nome suo, la sovranità secondo la Costituzione che qualche imbecille ha chiamato la più bella del mondo (ma avete mai provato a leggerla? volete mettere con la prosa della “Gazzetta dello sport”?) Eccetera eccetera. Ma basta approfondire un pochino e si trova che il popolo è bue, è popolaccio o plebe, che sono le masse ignoranti o se sanno usare la tecnologia sono affette -papale papale- da “demenza digitale” (le librerie sono piene di libri che parlano di questa grave malattia... e anche gli editoriali di pensosi giornalisti).
Bene, qual è il contrario di popolo? In politica è chiaro, sono le élites. E allora il contrario del populismo, mai nominato perché queste cose non si dicono in pubblico, è l’elitismo, cioè la convinzione che il suffragio universale sia una bellissima scenografia, magari perfino una pedagogia, ma che il governo della cosa pubblica debba essere affidato a coloro che sono saggi - o che sono convinti di esserlo, più o meno per diritto divino. E’ una teoria molto vecchia, che fu sostenuta già da Platone che per sperimentare lo straordinario potere della propria saggezza non trovò di meglio che cercare di fare il consigliere di Dionigi di Siracusa, un tiranno particolarmente efferato. Gli andò bene perché riuscì a salvare la vita dopo aver cercato di convincere il dittatore che doveva fare come diceva lui, non secondo il suo gusto. Ma non per questo il grande filosofo rinunciò a detestare la democrazia e a predicare il governo dei filosofi-re. Heidegger, che si credeva del suo livello, cercò di imitarlo e di diventare il Führer del Führer e anche lui se la cavò: emarginato da Hitler per la sua impertinenza ma non imprigionato né perseguitato perché era un nazista vero e anche politicamente abbastanza sciocco da essere innocuo per il regime e poi risparmiato dagli alleati e difeso da ebree che consideravano molto metafisico il suo antisemitismo - ma mai pentito.
Oggi l’elitismo non si focalizza sui filosofi-re ma piuttosto su un’inedita alleanza di burocrati-re con giornalisti-re, con la compagnia cantante di vescovi e magistrati, i quali hanno deciso che, con le buone o con le cattive, il popolo bue deve marciare nella direzione che loro giudicano giusta e buona: cioè un’Europa senza confini né esterni né interni, disposta ad accettare qualunque cultura e religione salvo la propria, che attraverso la perdita della propria identità raggiunga la pace perpetua e la giustizia sociale. E’ lo stesso obiettivo del comunismo, che oggi si vuole raggiungere con mezzi burocratico-pedagogici invece che con la rivoluzione violenta. Del resto l’europeismo è nato sotto questo segno autoritario-pedagogico-socialista. Basta leggere il “manifesto di Ventotene” di Spinelli Rossi e Colorni (lo si trova qui: http://novara.anpi.it/attivita/2015/manifesto%20di%20ventotene.pdf), in particolare le parti III e IV per trovare la traccia di un progetto di “dittatura del partito rivoluzionario” basato sulle “classi popolari e gli intellettuali”, prendendo il potere senza “logorarsi nelle logomachie” democratiche. In realtà questo progetto dittatoriale non è stato realizzato da un “partito rivoluzionario” che almeno avrebbe la necessità di esporre la propria posizione, ma da una tecnocrazia burocratica che governa l’Unione Europea, cercando di rovesciare i governi che per diversi motivi la ostacolano, com’è accaduto in Italia con la nomina di Monti e poi in Grecia e come si sta cercando di fare con Polonia e Ungheria. Badate che io non credo in un occulto complotto di sorta, a questo proposito. E’ tutto chiaro ed ufficiale, siglato nei documenti di Bruxelles: si tratta di “fare l’Europa” e di imporla a chi non la gradisca, almeno non nei loro termini.
Sono populisti dunque coloro che si oppongono all’elitismo sedicente illuminista della burocrazia europea e ai politici ai giornali, ai partiti che se ne sono fatti servitori. Il punto cruciale in questo momento è l’immigrazione, che viene incoraggiata con motivazioni umanitarie, ma che in realtà si spera possa rovesciare la tendenza diffusa negli elettorati europei a rifiutare l’omogeneizzazione forzata che la burocrazia europea tenta di imporre e anche distruggere il “particolarismo culturale” delle nazioni europee. Per questa ragione sono detti populisti coloro che si oppongono all’invasione islamica organizzata negli ultimi anni dai governi europei sotto la guida di Bruxelles, come coloro che difendono le identità nazionali. Non solo, ma dato che si oppongono all’immigrazione, i populisti devono essere anche razzisti e insomma non devono essere lasciati parlare. E’ quel che è accaduto sistematicamente a Salvini (e nessuno dei guru della democrazia si scandalizzano perché bande di squadristi - rossi, ma sempre squadristi - cercano di impedire i comizi di un leader di partito rappresentato in parlamento minacciandolo di fare la stessa fine di Matteotti). Ma in maniera caratteristicamente più soft è quello che la commissione europea è riuscito a far promettere ai gestori dei più importanti new media come Facebook e Google: nessuno spazio di comunicazione dev’essere concesso ai populisti, che si oppongono alle giuste, sagge e democratiche politiche degli elitisti. Se non ci credete, leggete per favore questa analisi: http://it.gatestoneinstitute.org/8207/media-sociali-censura. Se vi divertite a decifrare il gergo politically correct e l’ipocrisia, trovate qui il comunicato ufficiale europeo (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-1937_en.htm). Insomma, che sia coi teppisti che impediscono a chi non piace loro di parlare, o coi tribunali multinazionali che stabiliscono i limiti della libertà di opinione, pian piano, morbidamente, un regime si sta affermando nel nostro continente: così piano che non ce ne accorgiamo, come quel famoso pesce messo vivo in un pentola con l’acqua che si scalda piano piano, sicché quando capisce che deve fuggire è già quasi lesso e impotente.
Conclusione, forse il populismo dopotutto esiste. Ed è l’unica strada per saltar fuori dalla pentola e possibilmente rovesciarla addosso a chi sta cercando di islamizzarci e comunistizzarci senza chiederci neppure che ne pensiamo.
Ugo Volli