Tutte le ambiguità sui Fratelli musulmani a Milano
Analisi di Valentina Colombo
Valentina Colombo
Consigliamo la lettura dell'analisi di Valentina Colombo, la maggiore studiosa di islam - e dei Fratelli musulmani in particolare - che ci sia in Italia, ai dirigenti del PD milanese e anche italiano, in quanto è evidente che dell'argomento conoscono soltanto l'abile manipolazione che i loro rappresentanti diffondono del loro movimento. Aggiungiamo anche l'UCOII, da cui dipende gran parte della comunità islamica in Italia, una organizzazione i cui contenuti e iniziative dovrebbero essere analizzati con cura e non con la superficialità che tuttora ne impedisce la reale conoscenza.
Ecco l'articolo:
“Non mi riconosco nei Fratelli Musulmani”, “Che giudizio do dei Fratelli Musulmani? È una realtà complessa che sto studiando da sociologa. Un giudizio? Si sono affrettati a gestire la loro prima vittoria, che gli si è ritorta contro”, “Affermare di non appartenere ai Fratelli Musulmani (di seguito FM) è per me un semplice atto di onestà. La mia storia è diversa da quella dei FM, lo è quella dei musulmani europei e non potrebbe essere altrimenti”.
Sono tutte affermazioni di Sumaya Abdel Qader, candidata nelle liste del PD milanese, a seguito della denuncia della sua vicinanza alla Fratellanza musulmana europea. La sua smentita riguarda anche le associazioni, FIOE e FEMYSO, di cui lei è – o è stata parte, come sostiene la candidata. FIOE e FEMYSO, a differenza di quanto sostengono tutti gli studiosi della Fratellanza in Europa, non apparterrebbero quindi alla galassia ideologica del movimento fondato da Hasan al-Banna ed esportato in Europa anche grazie a Said Ramadan, genero di al-Banna e padre di Tariq Ramadan, guarda caso ospite del CAIM, di cui Sumaya è membro, l'altra sera a Milano.
In tutte queste smentite, la candidata del PD, in un post sul suo blog, afferma quanto segue: “El Banna, fu il fondatore dei FM, uno dei leader del movimento anticoloniale ai tempi dell'occupazione britannica dell'Egitto ed autore di un pensiero e di un metodo che ai suoi tempi risultava riformista e rivoluzionario. Dopo la sua morte, come sempre accade quando viene a mancare un leader, il movimento si sviluppò in diverse correnti, tra le quali alcune più fanatiche e altre che continuarono nella via della riforma. Ma come ogni sistema di idee, anche quello della fratellanza e di El Banna, va contestualizzato e preso con il beneficio di inventario specie quando si tratta di applicarlo ad un contesto specifico. Ritengo pertanto alcune sue idee attuali ed altre del tutto superate.”
Dal canto suo, Tariq Ramadan, con qualche sfumatura diversa rispetto alla Abdel Qader, ha scritto: “Hasan al-Banna: il fondatore dei Fratelli musulmani talmente citato e così poco letto. In Occidente lo si conosce soprattutto attraverso quel che hanno detto di lui i suoi nemici politici e in modo particolare i colonizzatori inglesi e i militanti sionisti. L’onestà intellettuale richiederebbe tuttavia che si studiasse il suo pensiero e che si valutasse l’azione reale del più influente dei riformisti musulmani di questo secolo”.
Ramadan ha perfettamente ragione quando sottolinea l’influsso di filtri interpretativi che entrano in gioco ogni volta in cui si analizza il pensiero di qualsiasi intellettuale.
La Abdel Qader ha ragione quando rileva che al-Banna vada contestualizzato, ma al contempo dimentica che il progetto, meglio il paradigma di al-Banna, è ancora oggi valido tanto da essere seguito e studiato da chiunque si avvicini alla Fratellanza.
E’ quindi indispensabile andare alla fonte per meglio comprendere il progetto di Hasan al-Banna.
Uno dei momenti storici della Fratellanza nascente è senza dubbio il Quinto Congresso, tenutosi al Cairo nel gennaio 1939. A quell’epoca, il Movimento aveva dieci anni di vita; era già ben strutturato e funzionava in modo efficiente. Il Congresso elaborò l’ideologia e i grandi orientamenti dei Fratelli Musulmani, così come furono vissuti e messi in pratica nel corso degli anni successivi. In questa occasione al-Banna descrive la sua visione di islam totalizzante e militante: “Noi, Fratelli Musulmani, riteniamo che i precetti e gli insegnamenti universali dell’islam comprendano tutto ciò che riguarda la vita dell’uomo in questo mondo e nell’altro e che sono nell’errore quanti pensano che tali insegnamenti trattino soltanto dell’aspetto cultuale o spirituale, a esclusione di altri. L’islam è in effetti credo e culto, nazione e cittadinanza, religione e stato, spiritualità e azione, Libro e spada. Quindi i Fratelli Musulmani sono in assiduo contatto col Libro di Allah, ne hanno tratto ispirazione e guida arrivando alla conclusione che l’islam è questa concezione totale, di portata universale, destinata a regolare tutti gli aspetti della vita che, di conseguenza, devono esserne impregnati, sottomettersi al suo potere, seguire i suoi precetti e insegnamenti, prendendoli come riferimento nella misura in cui la comunità vuole essere autenticamente musulmana. Ma se è musulmana soltanto nel culto mentre negli altri aspetti della vita imita i non-musulmani, è una comunità che ha lasciato l’islam”. In altre parole l’islam per al-Banna è militante o non è islam, è politico o non è islam, e lo stesso ragionamento vale per i musulmani. Nella visione di al-Banna, per venire ai candidati milanesi, la Abdel Qader sarebbe una vera musulmana, Marian Ismail “un po’ meno”, per usare un eufemismo.
Al-Banna prosegue: “È proprio perché i Fratelli Musulmani considerano l’islam universale e totalizzante che la loro dottrina abbraccia tutti gli aspetti del Riformismo sorti all’interno della comunità, così come tutti gli elementi del pensiero riformista; ogni riformista sincero e fervente vi ritrova l’oggetto delle sue aspirazioni. Vi si trovano tutte le speranze di coloro che, amando il Riformismo, hanno conosciuto la dottrina dei Fratelli Musulmani e ne hanno compreso la portata.
Si può dire a giusto titolo che i Fratelli Musulmani sono:
a) Una predicazione salafita (da’wa salafiyya), in quanto invitano a far tornare l’islam alla pura fonte del Libro di Allah e della tradizione del Suo Inviato;
b) Una via sunnita (tariqa sunniyya),in quanto si sforzano di agire in tutto secondo la pura tradizione, in modo particolare per quanto riguarda le verità di fede e il culto, per quanto possibile;
c) Una realtà sufi (haqiqa sufiyya), in quanto sanno che il fondamento del bene è la purezza dell’anima e del cuore, la perseveranza nell’azione, la rinuncia alle creature, l’amore di Allah e l’attaccamento al bene;
d) Un’entità politica (haya’ siyasiyya), in quanto rivendicano la riforma del potere all’interno e il cambiamento di visione per quanto riguarda la comunità musulmana rispetto alle altre comunità all’esterno. Promuovono l’educazione del popolo alla fierezza, alla nobiltà e alla salvaguardia più vigilante del suo nazionalismo;
e) Un gruppo sportivo (jama’a riyadhiyya), in quanto si preoccupano dei loro corpi e sanno che il credente forte è migliore del credente debole, perché il Profeta ha detto: «Il tuo corpo ha su di te dei diritti». Sanno che tutto quello che l’islam richiede non può essere portato a compimento se non con un corpo robusto: la preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio, l’elemosina richiedono un organismo adatto a sopportare i fardelli dello studio, del lavoro e del combattimento per il bene quotidiano. Di conseguenza i Fratelli Musulmani consacrano grande attenzione ai loro gruppi e associazioni sportive, e più volte è capitato loro di sconfiggere associazioni specializzate nella pratica dell’esercizio fisico;
f) Un’alleanza scientifica e culturale (rabita ‘ilmiyya thaqafiyya), in quanto l’islam fa dell’acquisizione della scienza un obbligo per ogni musulmano e musulmana: i circoli dei Fratelli Musulmani sono in realtà scuole d’insegnamento e di cultura, nonché istituti di educazione fisica, intellettuale e spirituale;
g) Un’impresa economica (sharka iqtisadiyya), in quanto l’islam si preoccupa di gestire i beni e di acquisirli. Così ha detto il Profeta: «La benedizione del denaro onesto per l’uomo onesto»; o ancora: «Chi si addormenta affaticato dal lavoro delle sue mani, si addormenta perdonato»; o anche: «Dio ama il credente che pratica un mestiere»;
h) Una dottrina sociale (fikra ijtima’iyya), in quanto si preoccupano dei mali della società musulmana e cercano le modalità per curarli e guarire la comunità.” Quindi impegno sociale, politico, culturale, sportivo, economico che ritroviamo nelle varie attività promosse dai think tank di Tariq Ramadan, dalla FIOE, dalla FEMYSO, da Islamic Relief, da Qatar Charity, da Europe Trust, ovvero tutte le pedine che si muovono nell’associazionismo militante islamico europeo. Hasan al-Banna ha anche scritto una Lettera del jihad. Altrove Ramadan ha dichiarato di avere studiato «le idee di Hasan al-Banna con grande attenzione» e che «non c’è nulla» che rifiuti del suo pensiero. D’altronde la controversa tesi di dottorato di Ramadan verte principalmente sul pensiero di al-Banna. Tuttavia non sono certo rassicuranti le parole di Hasan al-Banna, riportate nel sermone di venerdì 14 marzo 2003 da Yusuf al-Qaradawi, presidente dell’International Union of Muslim Scholars di cui Ramadan è membro: «In gioventù avevo l’abitudine di recitare alcune invocazioni, tra cui una che diceva: “O Dio accordami da parte tua una vita piacevole e una morte piacevole!”. Cari fratelli che cosa credete che sia la morte piacevole? Credete che una morte piacevole consista nel morire nel proprio letto, vicino ai propri familiari e i propri figli? È questa la morte piacevole? Tutti muoiono così. In verità, c’è la morte piacevole nel momento in cui questa testa è staccata da questo corpo sulla via di Dio». Non solo, ma basterebbe leggere la Lettera del jihad per apprendere dalla sua viva voce che «Allah ha imposto a tutti i musulmani un dovere imperativo, risoluto, inevitabile che dovrebbe essere un massimo desiderio, la ricompensa più eloquente per tutti i combattenti e martiri, che saranno affiancato nella loro ricompensa solo da coloro che agiscono come loro e da coloro che li imitano nel loro jihad. […] Non troverete mai un sistema, antico o moderno, religioso o civile, che si preoccupi del jihad, dell'esercito, di andare in guerra per la nazione formando un unico rango per difendere giustamente con tutta la forza, più della religione e degli insegnamenti dell'Islam. I versetti del Nobile Corano e dei detti del grande Inviato di Allah – la pace e la benedizione di Allah su di lui - abbondano di tutti questi significati nobili e chiamano in modo chiaro e illustrano chiaramente il jihad, per combattere, per arruolarsi, per potenziare tutti i mezzi difensivi e offensivi di qualsiasi natura sulla terra, per mare e in qualsiasi altro luogo, in ogni situazione e condizione». In seguito al-Banna cita un detto in cui Maometto avrebbe rassicurato la madre di Khallad dicendole che il sacrificio del figlio valeva quello di due martiri perché era stato ucciso dalla gente del Libro. Interessante è il commento a seguire che conferma l’annullamento della distinzione tra Gente del Libro e politeisti già in epoca anteriore a Qutb: «In questo hadith è evidente l’indicazione dell’obbligo di combattere la Gente del Libro, e il fatto che Allah raddoppia la ricompensa chi li combatta, il jihad non è solo contro i politeisti, ma contro chiunque non si converta» La lunga lettera si conclude specificando che il jihad maggiore per il musulmano è quello armato e, nonostante Ramadan affermi che l’unica eccezione fatta dal nonno a favore della guerra armata è la Palestina, nel lungo testo mai ricorre un solo riferimento alla questione che sta tanto a cuore al nipote: "E’ diffusa tra molti musulmani l’idea che la lotta contro il nemico sia il jihad minore, mentre il jihad maggiore è il jihad dell'anima. Molti deducono questa idea dal seguente hadith: ‘Siamo tornati dal jihad minore al jihad maggiore’ e quando gli venne chiesto quale sia il jihad maggiore, rispose che era il jihad del cuore o jihad dell'anima”. […] Tuttavia, anche se [il hadith] fosse stato autentico, non consiglia a tutti di allontanarsi dal jihad, dalla preparazione per salvare i paesi islamici e rispondere all'aggressione dei miscredenti.” Il jihad in Palestina è invece protagonista del testo L'arte della morte, in cui al-Banna precisa: "Infatti. L'arte della morte. La morte è un arte. Le persone che sono abili in essa sanno come morire di una morte nobile, come scegliere e morire in un campo di nobile al momento adatto. Vendono una goccia del loro sangue al prezzo più alto e ricevono una ricompensa che è superiore a quella che ci si aspetta.” Uno dei testi fondamentali di Hasan al-Banna è la Lettera ai giovani in cui si legge: "Combatteremo sulla strada del raggiungimento della nostra idea, lotteremo per quest’ultima con tutte le forze, inviteremo ad essa tutti gli uomini, sacrificheremo tutto lungo la percorso, e vivremo in un modo nobile e morireremo in un modo nobile e il nostro motto eterno sarà: Allah è il nostro obiettivo, il Messaggero è il nostro leader, il Corano è la nostra costituzione, il jihad è il nostro cammino, la morte sulla via di Allah è il nostro massimo desiderio." Quest’ultima frase è ancora oggi considerata il motto della Fratellanza. Ma il punto chiave del progetto di Hasan al-Banna è la “moderazione”, ovverosia la gradualità, nel conseguimento del risultato. Gradualità che parte dalla riconversione del singolo musulmano, per passare alla famiglia musulmana, alla società musulmana e al governo musulmano. Hasan al-Banna aspirava a rivedere “la bandiera di Allah volare alto sopra le terre che un tempo hanno goduto della presenza dell’Islam e su cui era risuonata la voce del muezzin con l’appello alla preghiera” poiché “Andalusia, Sicilia, i Balcani, l'Italia meridionale e le isole del Mediterraneo erano tutte colonie islamiche e devono tornare all'islam. Il Mediterraneo e il Mar Rosso devono ritornare due mari islamici come in passato”. Alla vigilia del voto, sarebbe interessante sapere a quale testi di Hasan al-Banna fa riferimento la candidata del PD, membro del CAIM, poiché se è vero che il contesto è mutato, è pur vero che il paradigma di al-Banna è universale e vede nei giovani militanti, molto simili ai Giovani Musulmani d’Italia in cui Sumaya ha militato, l’attore chiave per l’attuazione del suo progetto, così come considera fondamentale la penetrazione nelle istituzioni, attraverso il processo elettorale, per promuovere il progetto islamico. Sarà un caso, ma la Abdel Qader si è anche definita la prima musulmana a presentarsi alle elezioni comunali dimenticando Marian Ismail, nelle liste del suo stesso partito, e di Nabih Delel, nelle liste legate a Stefano Parisi. Sarà un caso, ma Hasan al-Banna e Tariq Ramadan non le avrebbero certo considerate “vere musulmane”, mentre lo sono sotto tutti i punti di vista, solo non indossano il velo, non sono musulmane militanti 24 ore su 24 e non si sentono detentrici dell’islam “vero”, ma del loro islam nel pieno rispetto di quello altrui.