Riprendiamo da LA STAMPA/TUTTOLIBRI di oggi, 28/05/2016, a pag.V, con il titolo "Le donne Yiddish? Più forti dei diamanti", la recensione di Ada Treves al libro " L'uomo che vendeva diamanti" di Esther Kreitman Singer.
Esther Singer la copertina
Anversa. Poi Londra, quando l’avvicinarsi della guerra obbliga la comunità di commercianti e tagliatori di diamanti, tutti ebrei, a fuggire. Ma lo shtetl è vicino e sempre presente, quasi tangibile, nelle pagine di L’uomo che vendeva diamanti di Esther Kreitman Singer, sorella maggiore di Israel Joshua e di quell’Isaac Bashevis che nel 1978 ricevette il premio Nobel per la letteratura. Una scrittrice dotata di talento non minore di quello dei suoi più noti fratelli e di un grande senso della storia e degli eventi che riesce a rendere in poche frasi, con una lucidità che spiazza. Esther però ha avuto un destino molto differente da quello degli uomini di famiglia e per le sue ambizioni di scrittrice ha dovuto combattere aspramente. A lei, che si chiamava in realtà Hinde Esther, non è stato permesso studiare, ed è stata data in sposa appena possibile, in un matrimonio combinato che l’ha portata a vivere in quell’Anversa in cui fiorivano i tagliatori di diamanti dove ha poi ambientato il libro scritto nel 1944, il cui titolo originale era semplicemente Brilyantn, in yiddish, Diamonds nella versione inglese. Ha tentato in tutti i modi di allontanarsi dal marito, andando a vivere prima a Varsavia, dove ha tradotto in yiddish opere di Dickens e di Bernard Shaw, e poi a Londra. E proprio le pagine dedicate a Londra sono quelle che maggiormente mettono in luce la sua capacità di delineare nitidamente luoghi e persone, pagine in cui riesce a dare un quadro dell’ebraismo londinese di quel tempo che si distanzia moltissimo dalle descrizioni della Polonia degli shtetl, caratteristici delle opere dei suoi fratelli, e le cui eco risuonano imprescindibili anche nelle vicende dei suoi personaggi. Nella stessa Londra di cui racconta così magistralmente l’imprenditoria sviluppatasi nella comunità di rifugiati ebrei durante la prima guerra mondiale, nel 1936 venne pubblicato Deborah. In questo caso, a differenza di Brilyantn, il titolo yiddish originale Der Sheydims Tants verrà ripreso in italiano con La danza del diavolo che uscirà in autunno per Bollati Boringhieri nella traduzione di Marina Morpurgo, che già ha fatto un lavoro magistrale con L’uomo che vendeva diamanti. È difficile non vedere tracce della storia personale dell’autrice nelle pagine che descrivono figure di donne spesso infelici, travolte da forze che non sanno o non possono controllare, fra i demoni di una società estremamente tradizionale e il sessismo di cui lei stessa ha fatto esperienza diretta. In Brilyantn il protagonista assoluto parrebbe essere Gedaliah Berman, che è riuscito a lasciarsi alle spalle la durissima vita dello shtetl della sua infanzia per diventare un ricco e invidiato commerciante di diamanti. Prepotente e fragile allo stesso tempo, rabbioso e invidioso, attraversa le pagine del libro alternando successi lavorativi e sfortuna personale, in un crescendo drammatico che non riesce a offuscare le figure femminili, altrettanto sfortunate e mai pienamente realizzate, in un accumularsi di colpi inferti dalla vita. Nel grande affresco le donne parrebbero essere più forti: combattono tenaci, cercano instancabili una strada che le porti lontano dalla estrema povertà ma soprattutto dalla dipendenza dalle decisioni degli uomini che si trovano a fianco, raramente per scelta. È anche la vicenda di Deborah, protagonista dell’altro romanzo di Esther Kreitman Singer, che come la sua autrice tenta di ribellarsi a una vita che le è stata imposta, per studiare, come succede in Yentl, novella di Isaac Bashevis Singer che deve molta della sua notorietà al film interpretato da Barbra Streisand, ma è la storia di Esther. Che ha scritto pagine colme di un’ironia dolente e non aveva meno talento dei fratelli, ma ha avuto meno fortuna. Con l’ebraismo cantato sia da Israel Joshua che da Isaac Bashevis, Esther Kreitman Singer ha cercato di fare in conti. Con dolorosa chiarezza.
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