Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/05/2016, a pag. 53, con il titolo Uso della bomba atomica: Hiroshima e Nagasaki", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Lorenzo Milanesi.
L'autore dell'articolo che segue è un Sergio Romano d'antan: stupisce, se pensiamo alla disinformazione che semina di consueto. In questo testo ha riassunto la piena legittimità degli Usa a imporre la resa al Giappone, non solo per porre fine alla 2a guerra mondiale, ma per salvare la vita ad almeno un milione di soldati americani.
Ecco lettera e risposta:
Sergio Romano
Hiroshima dopo lo sganciamento della bomba atomica
Secondo il filosofo americano Michael Novak ( Corriere , 11 maggio), il presidente Truman avrebbe autorizzato l’uso della bomba atomica contro il Giappone, nell’agosto del 1945 per evitare grandi perdite nelle file americane se gli Stati Uniti avessero deciso di invadere il Giappone. Ma noi sappiamo che quando la bomba fu sganciata, il Giappone, in fatto di capacità offensiva, era ormai al lumicino e prossimo alla resa. Dobbiamo dunque propendere per un’altra motivazione. L’America, dopo l’attacco giapponese del dicembre 1941 contro la propria flotta a Pearl Harbor, si sentì pericolosamente indifesa sulla sponda del Pacifico e diede fulmineo corso ad un programma di costruzione di ulteriori navi da guerra. Ma non dimenticò. Così come non dimenticò l’abbattimento delle torri gemelle e diede la caccia a Osama bin Laden sino alla sua morte; così, alla stessa maniera, non dimenticò il proditorio attacco di Pearl Harbor e, detto brutalmente, gliela fece pagare. Lei è d’accordo?
Lorenzo Milanesi
lorenzomilanesi@alice.it
Caro Milanesi,
Le propongo una diversa lettura. Vi furono altre occasioni in cui la strategia americana fu fortemente motivata dal desiderio di contenere, per quanto possibile, il numero dei caduti nelle proprie file. Agli inizi del 1945, mentre l’Armata Rossa si preparava alla conquista di Berlino, un alto ufficiale britannico, il generale Montgomery, esortò gli americani ad avanzare rapidamente da ovest per impedire che la capitale tedesca diventasse il maggiore trofeo di Stalin. Ma Eisenhower sapeva che la battaglia sarebbe stata particolarmente sanguinosa e non raccolse l’invito. La conquista di Berlino, incidentalmente, costò all’Armata Rossa 80.000 uomini. Non è del tutto vero, d’altro canto, che il Giappone fosse «al lumicino». Esisteva a Tokyo un partito della pace che premeva nell’ombra per l’apertura di un negoziato con gli Stati Uniti. Ma esisteva contemporaneamente un partito della guerra che voleva combattere a oltranza, anche dopo l’invasione americana dell’Arcipelago, e poteva ancora contare su forze rispettabili: 800.000 uomini in Manciuria, un milione in Cina, un milione e centocinquantamila nella madre patria, e, secondo la Storia delle relazioni internazionali di Ennio Di Nolfo, 5.000 aerei kamikaze.
I fattori che permisero al partito della resa di prevalere su quello della continuazione della guerra furono due: l’uso della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki, la dichiarazione di guerra dell’Urss al Giappone l’8 agosto 1945. Stalin arrivò all’ultimo minuto, ma pur sempre in tempo per impadronirsi rapidamente di una parte della Manciuria e della Corea. Piuttosto che essere occupati dai sovietici, i giapponesi preferirono essere occupati dagli americani. Quanto agli scopi politici della bomba, caro Milanesi, non credo alla vendetta, ma sono disposto a pensare, maliziosamente, che Hiroshima e Nagasaki contenessero un messaggio per Mosca e, più generalmente, per l’intera comunità internazionale. Gli Stati Uniti, da quel momento, erano la maggiore potenza mondiale.
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