Riprendiamo da LIBERO di oggi, 25/05/2016, a pag. 13, con il titolo "Il vero nemico di Israele è l'Iran", l'analisi di Carlo Panella.
Un ritratto di Israele per cui complimentarsi con l'autore.
Carlo Panella
I siti nucleari iraniani
Israele è l'unica democrazia occidentale in contatto fisico, quotidiano, con i jihadisti dell'Isis e di Al Qaeda. E non solo. Ragione ulteriore per accettare l'invito per un viaggio tra i suoi massimi esperti di antiterrorismo. Viaggio che inizia, appunto, dalle alture del Golan, dalle quali, in una giornata di sole spazzata dal vento teso, posso vedere più di 60 chilometri della frontiera di Israele con la Siria i cui villaggi sono presidiati vuoi da Al Nusra, vuoi dall'Isis. A occhio nudo, senza binocolo, vedo i loro pick-up e minibus che pattugliano discretamente le strade a ridosso della linea di confine che parte dal monte Hermon. A sud invece, tutta la frontiera tra Israele ed Egitto pullula di miliziani di Beit al Maqdis, inseriti nell'Isis, che fanno stragi di militari egiziani, con la media di 10 al mese a El Arish, Sheikh Zuwald e Rafah. Ma anche la frontiera tra Gaza e Israele segna il confine materiale con l'Isis.
Il generale Yoav Mordechai, coordinatore dell'esercito nei Territori, valuta infatti che l'Isis ormai conti su un migliaio di aderenti dentro la Striscia di Gaza e riceva da Hamas aiuti e supporto logistico per le sue azioni terroristiche nel Sinai. E l'Isis, sul Golan, dispone di anni chimiche. Sia quelle prese all'esercito di Assad (che le usa tuttora, nonostante la commedia del disarmo chimico inscenata dall'Onu), che quelle che produce autonomamente a Mosul. Pure, Israele, non considera l'Isis o Al Qaeda i più pericolosi tra i suoi avversari. E questa è una notizia.
Le alture del Golan
Da qui si parte per comprendere una delle tante differenze che separano l'unica democrazia piena del Medio Oriente dal punto di vista dell'Occidente. Abituato a soffrire la morsa degli attentati terroristici, i più infami, sulla pelle dei propri abitanti, anche i civili, le donne, i bambini, i vecchi, Israele non ragiona sul breve periodo, come l'Europa. Ha imparato a guardare avanti e in profondità. A separare il pericolo di attacchi, anche ignominiosi, alla vita dei propri abitanti nelle città, da quello - esiziale - alla propria stessa esistenza. Israele è l'unico Stato al mondo che guarda a un terrorismo che punta direttamente -e lo urla a gran voce nelle moschee e sui media- a «spazzare via dalla terra l'entità sionista». Slogan - va ricordato alle anime belle del politically correct - sotto cui sfilavano pasdaran e militari iraniani nella prima parata a Teheran presieduta dal neo eletto presidente Rohani. II «riformista».
Nessun'altra nazione democratica al mondo guarda alla sua sicurezza in modo cosi ultimativo, perché in realtà è il contrasto alla negazione della sua stessa esistenza. Ma questa è l'impostazione d'obbligo, naturale, acquisita da anni, di tutti gli esperti di antiterrorismo israeliani che incontro in questo viaggio, a partire da Emmanuel Nahshon, portavoce del ministero degli Esteri, che esordisce con un poco rassicurante: «Viviamo nel terremoto e nessuno può dire cosa succederà da qui a tre mesi». Nahshon ha chiaro il contesto, la configurazione delle faglie tettoniche che si scontrano, con epicentro su Israele: «L'Europa e l'Occidente faticano a dominare la complessità dei conflitti e si rifugiano nel dogma della centralità del conflitto israelo-palestinese, panacea per tutte le strategie. Ma non è cosi. II tema centrale oggi è la distruzione di Stati come la Siria, l'Iraq, lo Yemen, il conflitto devastante tra sciiti e sunniti, la fuga e l'emigrazione di decine di milioni di profughi (più di 6 milioni solo dalla Siria, milioni da Iraq e Yemen). II tutto accompagnato dalla presa dell'islam jihadista su decine, centinaia di migliaia di musulmani. Viviamo in un conflitto permanente».
Un conflitto che ormai lambisce l'Europa, che si illude di arginarlo con i muri per i profughi. Profughi che sono il sintomo di superficie di un terremoto ben più profondo. Beniamin Degan, responsabile del Center for Policy Research, ragiona sulle cause del sisma incombente partendo da un assunto: «Negli ultimi anni i parametri economici di molti paesi mediorientali sono disastrosamente crollati. Ed è in questo contesto che l'Iran sviluppa il suo programma missilistico aggressivo contro Israele, ma anche contro Turchia, Arabia Saudita, emirati del Golfo, Yemen e Egitto. E sobilla le guerre civili in Iraq, Siria e Yemen. Ma soprattutto l'Iran cura il passaggio ad una dimensione militare nettamente più aggressiva di Hamas e Hezbollah. Oggi Hezbollah dispone in Siria e in Libano di un efficiente esercito regolare con la massima professionalità, dotato di blindati e corazzati, droni, razzi e addirittura missili di media gittata». Il fondato timore di Israele è dunque che Hezbollah - organizzazione terroristica sia per la Ue che per gli Usa - si doti di ogive nucleari per i suoi missili, sia quelle in preparazione in Iran, sia quelle acquisibili sul mercato clandestino (dominato dalla Corea del Nord e dalle bande caucasiche). Questa è la vera dimensione del terrorismo su cui ragiona Israele. Questa è la ragione per cui tanta parte dell'Occidente, a partire da Barack Obama, non capisce Israele.
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