Riprendiamo da SHALOM di maggio 2016, a pag. 12, con il titolo "La colpa di Israele? Resistere nelle sue ragioni", l'analisi di Angelo Pezzana.
Angelo Pezzana
La miglior risposta da dare a chi collega il boicottaggio di Israele al conflitto palestinese, la politica estera dell’Amministrazione Obama e l’Unione Europea di Mogherini si esprimono negli stessi termini – è porci e porre una domanda, da troppo tempo inspiegabilmente scomparsa dalle discussioni sui territori contesi. Israele ha una capitale, Gerusalemme, come mai tutte le ambasciate sono ancora a Tel Aviv ? E’ l’unico stato al mondo che in quasi 70 anni di esistenza non vede riconosciuto un suo diritto fondamentale. Potranno continuare all’infinito le discussioni su territori occupati o contesi, ma un fatto è innegabile, Gerusalemme è la capitale di quello stato degli ebrei riconosciuto con il voto delle Nazioni Unite il 27 novembre 1947, respinto dai governi arabi della regione che hanno scelto invece la guerra.
La sovranità su Gerusalemme è diventata un problema internazione unicamente a causa del rifiuto arabo della partizione Onu. Perché mai Israele avrebbe dovuto attendere la fine delle pretese arabe per proclamare la propria capitale ? Pretese che sono continuate malgrado gli accordi di Oslo, disattesi dall’Olp/Fatah di Arafat e poi di Abu Mazen, concordi entrambi nel rifiutare l’offerta di Israele che comprendeva il 90% dei territori e Gerusalemme Est capitale. Non era ancora abbastanza e non è difficile capirne la ragione, agli arabi interessa tutto l’ex mandato britannico, alla faccia dell’Onu, di Oslo e dei pacifisti che continuano a non voler vedere la realtà mediorientale per quello che è. Israele, per essere assolta dal peccato di esistere, dovrebbe suicidarsi, al suo posto nascerebbe una Gaza di maggiori dimensioni, uno stato terrorista, pronto ad attaccare gli altri stati confinanti, certo, tutti arabi-musulmani- come insegnano le guerre civili che stanno cambiando la storia della regione.
Gerusalemme, capitale di Israele
Israele ci provò nel 2005, quando uscì da Gaza, nell’illusione che gli arabi che vi abitavano avrebbero creato uno stato, non diciamo democratico, l’islam non lo permetterebbe, ma almeno un vicino con cui collaborare. Sappiamo come è andata a finire. La storia di Hamas/Gaza non ha però insegnato nulla. Si è tenuto di recente un convegno in Israele al quale hanno partecipato diversi ambasciatori, accademici, analisti, che hanno discusso sul peso reale che il BDS ha su Israele. Fra questi, Lars Faaberg-Anderson, ambasciatore UE in Israele, ha dichiarato che l’unico modo per fermare il boicottaggio è la soluzione del conflitto palestinese. Come lui, anche l’ambasciatore americano Daniel Shapiro, ha detto di essere contrario a qualsiasi forma di boicottaggio, ma l’unico modo per fermarlo è un accordo con i palestinesi. Il che significa ritornare al pre ’67 e, perché no, al 1948. Il pendio scivoloso che porterebbe alla scomparsa di Israele, dato che non avrebbe più la possibilità di difendersi. Può sembrare assurdo, ma questa è la posizione espressa da sempre dai pacifisti israeliani, simili in questo al movimento pacifista internazionale. Con una differenza, però, questi ultimi non vivono in Israele, se lo stato ebraico scomparisse, siamo certi che troverebbero subito una data per celebrarne il ricordo. E’ avvenuto per la Shoah, succederà anche questa volta.
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