Una svolta importante e positiva nella politica israeliana
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
Probabilmente non ve ne siete accorti, perché i giornali non l’hanno affatto spiegato, ma nei giorni scorsi si è svolta in Israele una battaglia importantissima, che coinvolge non solo la politica, ma anche la natura stessa dello stato democratico. Quel che avete sicuramente saputo è che Netanyahu ha svolto nei giorni scorsi una doppia trattativa parallela per allargare la sua risicata maggioranza in Parlamento (61 seggi su 120), una con Herzog del “campo sionista” (cioè la sinistra) e una con Lieberman di Israel Beitenu.
Alla fine Netanyahu ha scelto di allearsi con Lieberman, che dovrebbe diventare nei prossimi giorni ministro della difesa. Ancor prima di essere sostituito il ministro della difesa precedente, Moshe Ya’alon, si è dimesso dal suo posto e anche dalla Knesset.
Avete forse anche letto che sarà sostituito da Moshe Feiglin, uomo politico e rabbino che negli ultimi anni si è impegnato in maniera particolare per la difesa del carattere ebraico del Monte del Tempio di Gerusalemme ed è stato gravemente ferito in un attentato terrorista due anni fa. Raccontata così la cosa, sembra una normale manovra politica parlamentare, di quelle che i professionisti del potere adorano e invece lasciano freddi, se non peggio, gli elettori.
In realtà le cose sono più complicate e parecchio più importanti.
Vi sono in questo momento intorno a Israele, manovre diplomatiche internazionali molto aggressive. Il 3 giugno si svolgerà la conferenza sul Medio Oriente organizzata dalla Francia senza farvi partecipare Israele, che vi si oppone, e con la presenza di Kerry, che fino a qualche giorno fa sembrava in dubbio.
Ci sono voci insistenti sulla volontà di Obama di dare una spallata anche al conflitto israelo-plaestinese, dopo tutto quel che ha combinato in Medio Oriente, per esempio lasciando passare una risoluzione all’Onu in appoggio alla campagna dell’Autorità Palestinese. Il presidente egiziano Al Sissi, con cui Israele collabora in materia di sicurezza ma che naturalmente come arabo deve appoggiare “la liberazione della Palestina”, ha fatto un discorso per rilanciare la trattativa. Netanyahu ha risposto dicendo di essere pronto a parlare senza precondizioni con Abbas, che come al solito ha rifiutato l’incontro, salvo che Israele si impegni preventivamente a fare quel che lui vuole.
da sin. Bibi, Bennett, Lapid, Lieberman, Livni
In questo clima è emersa una manovra per modificare l’atteggiamento del governo israeliano. Non è certo la prima volta, il governo americano è arrivato a finanziare la campagna del Campo Sionista nelle scorse elezioni e ha fatto tutto quel che ha potuto per abbattere Netanyahu. Questa volta c’è stato un viavai di intermediari in Israele (il più illustre dei quali Tony Blair, si è incontrato la settimana scorsa a Tel Aviv con Tzipi Livni, numero due del Campo Sionista). L’obiettivo era quello di cambiare l’indirizzo del governo israeliano, possibilmente eliminando il partito nazionalista Bait Hayehudì di Naftali Bennett e assegnando la responsabilità della politica estera a Herzog e ai suoi, naturalmente nel senso di un cedimento sulle necessità di difesa di Israele, con le solite illusioni di una pace pronta dietro l’angolo, se solo la sinistra andasse al potere in Israele (http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Herzog-Netanyahu-and-I-negotiated-labored-over-Arab-Peace-Initiative-454578 )
Natanyahu conosce benissimo la difficoltà di governare con una maggioranza risicata e ha cercato di allargare la maggioranza da subito; aveva fra l’altro da tempo iniziato dei sondaggi con i laburisti di Herzog. Tutto questo ha avuto un’improvvisa accelerazione negli ultimi giorni, fino al risultato che vi ho detto. Impossibile sapere se Netanyahu abbia usato i colloqui con Herzog per mettere sotto pressione Lieberman, o se davvero Herzog si sia montato la testa e abbia preteso troppo, non semplicemente di entrare al governo ma di rovesciare i rapporti di forza. Fatto sta che l’arroganza della pressione internazionale ha fatto sì che Israele abbia finalmente un governo che corrisponde al risultato elettorale.
a sin. Moshe Kahlon
A marzo dell’anno scorso, il “campo sionista aveva ottenuto 24 seggi, l’estrema sinistra di Meretz 4, gli arabi uniti 14 (dunque la sinistra, diciamo così, o il campo delle trattative con Abbas in totale 42 su 120); Il Likud di Netanyahu 29, Bait Hayehudì 8, i partiti religiosi alleati a Netanyahu 14; il nuovo partito di Kahlon, fuoriuscito dal Likud 10. E questa è la maggioranza risicata del governo attuale. Ma fuori dai conti erano rimasti il partito centrista Yesh Atid di Lapid (che ha fatto dichiarazioni molto dure sul terrorismo) con 11 seggi e soprattutto Israel Bietenu di Lieberman, su posizioni di difesa nazionale con 6 seggi, che tutti pensavano si sommassero a quelli della maggioranza, e che invece erano rimasti fuori per una scelta di Lieberman difficile da capire se non per ragioni di visibilità e di rancore personale.
Insomma, che avesse progettato fin dall’inizio di far pressione su Lieberman per mezzo di Herzog o abbia invece colto l’occasione di reagire alla goffa arroganza di Herzog, Netanyahu ha fatto il capolavoro di riportare Israele alla volontà dell’elettorato, che ha scelto chiaramente di respingere le pressioni americane e di avere un governo disposto a garantire la sicurezza del paese e a non cedere ai rischi del pacifismo avventurista che il mondo vuole imporre a Israele. Oltre a costringere Lieberman a prendersi le sue responsabilità di governo e a mettere profondamente in crisi l’opposizione che aveva venduto la pelle dell’orso prima del tempo (già parlavano di un doppio viaggio di Herzog e Netanyahu al Cairo per costituire là lo stato palestinese).
Moshe Ya'alon
Il primo ministro israeliano ha ottenuto un altro risultato importantissimo, facendo uscire Ya’alon dal governo. Il ministro della difesa negli ultimi nmesi si era presentato, più che come il delegato del governo per gli affari militari, come l’espressione di una classe militare tendenzialmente autonoma nei confronti della politica e portatrice di un progetto politico alternativo a quello del governo costituzionale. Ci sono stati almeno quattro episodi di questo interventismo degli apparati militari contro la politica scelta dagli elettori, anche ignorando quel che ha rivelato l’ex ministro della difesa Barak (a sua volta laburista) sul rifiuto opposto dai vertici militari tre o quattro anni fa all’ordine di prepararsi a distruggere l’armamento atomico iraniano (https://consortiumnews.com/2015/08/28/how-close-was-israel-to-bombing-iran/ ) e alle ripetute prese di posizione contro Netanyahu di ex capi dei servizi segreti (http://www.haaretz.com/israel-news/1.646938 ).
Un caso è stato quello dell’incendio di una casa nel paese arabo Duma in cui sono morti diversi abitanti, l’anno scorso. L’amministrazione militare e lo Shin Bet hanno attribuito subito la colpa a un gruppo di “terroristi israeliani”, fino a portarne a processo uno, dopo interrogatori durissimi, per cui molti avevano parlato di torture vere e proprie. Ma vi sono stati ulteriori roghi a Duma, il processo si è bloccato da qualche mese in seguito alla scarsa consistenza delle prove e non se ne ha più notizia (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/207580 ) e Meir Ettinger, il capo del presunto gruppo terrorista denominato “La rivolta”, che non era stato incriminato per mancanza di prove, ma sottoposto a dieci mesi di reclusione amministrativa su ordine firmato da Ya’alon, sarà liberato a giorni (http://www.timesofisrael.com/alleged-extremist-meir-ettinger-to-be-freed-from-prison/ ).
Vi era stato poi il caso del soldato israeliano che aveva sparato a un terrorista ferito, temendo che avesse una cintura esplosiva sotto il giubbotto: lo stato maggiore e con lui Yaalon aveva subito violentemente condannato il soldato, senza attendere il processo, nonostante il sostegno molto ampio che il soldato aveva avuto nel paese. Anche la politica, per esempio Netanyahu e Lieberman, dopo qualche esitazione iniziale, aveva mostrato comprensione per la reazione del soldato. Pochi giorni fa il vicecapo di stato maggiore dell’esercito aveva tenuto un discorso durissimo in occasione della festa dell’indipendenza, attaccando la società israeliana fino al punto di denunciare in essa “gli stessi germi della Germania degli anni Trenta”, cioè il nazismo; c’era stata una vera e propria rivolta dei media e della politica, ma Ya’alon l’aveva costantemente difeso, anche contro le critiche di Netanyahu, il che aveva provocato un acceso confronto fra i due.
Vi sono sue aspetti in questa storia: uno è che Israele nell’ultimo periodo ha passato un rinnovamento importante di classe dirigente, che corrisponde alle modifiche dell’intero paese e che i vertici militari, con quelli della giustizia e della diplomazia sono rimasto indietro rispetto a questo cambio, rappresentando la conservazione delle vecchie élites askenazite e della vecchia ideologia socialista in un mondo profondamente cambiato; non solo, ma si sono in molti casi anche esposti contro come il centro politico dell’opposizione all’elettorato, pretendendo di darsi nei suoi confronti un ruolo “educativo” che è assai lontano dal posto che l’esercito deve occupare in uno stato democratico.
L’esercito israeliano è composto dal popolo, è amato moltissimo, ha un grado di coraggio, di correttezza e di eroismo straordinario; ma questo non significa che il suo stato maggiore possa pretendere un ruolo a parte, sottrarsi al comando della politica. Questo però è proprio quello che è emerso in questi mesi.
Haaretz, il solito giornale dei nemici di Israele (scritto in ebraico ma profondamente nemico del sionismo), ha perfino accennato alla necessità di un colpo di stato (http://coolamnews.com/le-quotidien-haaretz-pete-les-plombs-et-appelle-a-un-coup-detat-militaire/ ), il che non significa naturalmente che questo sia passato davvero per la testa a qualcuno, ma solo che , sotto la direzione di Ya’alon,lo Stato Maggiore dell’esercito israeliano è stato percepito da molti, sia a destra che a sinistra come un alleato politico della sinistra.
Vi invito a leggere a questo proposito due articoli che mi hanno molto colpito, questo di Moshe Feiglin (http://www.jewishpress.com/indepth/opinions/bye-bye-bogey/2016/05/20/ ) e questi due di Caroline Glick, in particolare il secondo (http://www.jpost.com/Opinion/Column-One-The-fruits-of-subversion-453875 , http://www.jpost.com/Opinion/Column-One-Our-estranged-generals-451975 ). Non sono letture facili né piacevoli, per chi come me ha profonda fiducia e amore per Israele e la sua difesa, ma certamente mettono in luce un problema.
Anche per questa ragione, dunque, le scelte fatte da Netanyahu nei giorni scorsi sono fondamentali. Avremmo potuto avere un governo come quello precedente in cui inutilmente e pateticamente Tzipi Livni continuava a cercare di placare l’anti-israelismo dell’amministrazione Obama; e un vertice militare che Ya’alon ha ripetutamente incitato a parlare contro lo stato e il popolo che difende).
Avremo invece un governo probabilmente ancora pieno di discussioni e dissensi, ma unito da alcuni presupposti etici e strategici comuni, e soprattutto corrispondente al mandato elettorale; un ministro della difesa che non ha la preparazione di un ex capo di stato maggiore come Ya’alon, ma che, come Lieberman, conosce bene il quadro internazionale e le sfide strategiche, avendo fatto a lungo il ministro degli esteri e che ha certamente l’energia e l’intelligenza per correggere le tentazioni politiche e incoraggiare invece il rinnovamento e la crescita dell’apparato di difesa. Avremo soprattutto un Israele che riconferma la sua volontà di resistere, di non piegarsi ai diktat neocoloniali dell’amministrazione Obama e della comunità europea; uno stato che sa di doversi difendere e di non poter delegare ad alcun altro la garanzia della propria sopravvivenza.
Ugo Volli