Riprendaimo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/05/2016, a pag. 12, con il titolo "Il guerriero di Hezbollah ammazzato in Siria: yacht, amanti e attentati", la cronaca di Davide Frattini; dalla REPUBBLICA, a pag. 15, con il titolo "La guerra all'Is e il Golan, il comandante che Israele temeva", l'analisi di Alberto Stabile.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Il guerriero di Hezbollah ammazzato in Siria: yacht, amanti e attentati"
Davide Frattini
Il terrorista Mustafa Bedreddine
Non ha mai avuto un passaporto, una patente, una casa di proprietà, per i doganieri libanesi non ha mai attraversato il loro confine, per il governo non ha mai presentato la cartella delle tasse. Mustafa Badreddine era un fantasma ancora prima di morire. Un fantasma con un secondo nome che gli permetteva di ostentare i lussi da nuovo ricco: le feste, lo yacht ancorato nel golfo, le amanti che chiamava dagli stessi telefonini usati per ordinare gli attentati. Ne sono convinti i magistrati del Tribunale Speciale per il Libano che sono riusciti a seguire le tracce «zoppicanti» (una ferita di guerra) di Sami Issa, l’identità scelta da Badreddine per la sua vita nell’altra corsia – quella di sorpasso alla guida di una Mercedes: gioielliere cristiano con attico sulla costa a Junieh lontano dai sobborghi poveri di Beirut dov’era nato 55 anni fa.
E’ Issa-Badreddine ad aver organizzato e coordinato – secondo la loro ricostruzione – l’operazione che nel 2005 spazzò via con un’autobomba il convoglio del premier Rafik Hariri e la speranza di un Libano non dominato da Hezbollah. Fino al raid che l’ha eliminato giovedì sera in una base vicino all’aeroporto di Damasco, lo stavano cercando dal Kuwait (condannato a morte per una serie di attacchi, era scappato dal carcere grazie all’invasione di Saddam Hussein nel 1990), dagli Stati Uniti e dalla Francia (le ambasciate devastate in Kuwait nel 1983 erano loro). Gli israeliani gli davano la caccia dai tempi della prima guerra del Libano, quando il cugino e cognato Imad Mugniyeh gli insegnava a mettere insieme gli esplosivi da usare contro le truppe di Tsahal. Imad è stato ucciso nel 2008 a Damasco, ancora una volta un’operazione con il marchio del Mossad; suo figlio Jihad nel gennaio dell’anno scorso.
I leader di Hezbollah non accusano direttamente Israele. Per ora. Sanno che Badreddine, diventato capo militare dopo la morte di Imad Mugniyeh, era anche nel mirino dei ribelli siriani: fu lui a guidare la riconquista di Qusayr, città simbolo per i rivoltosi, nel giugno del 2013, lui a sedere nel consiglio di guerra con Bashar Assad e i generali iraniani. Poco prima di essere ucciso avrebbe avuto un incontro con un alto ufficiale – lo scrive su Twitter il giornalista Elijah Magnier –, qualcuno azzarda il nome del comandante iraniano Qassem Suleimani. I funerali di ieri pomeriggio a Beirut hanno esaltato il «martire» Zulfiqar, chiamandolo con il nome di battaglia, quello della spada a due punte donata da Maometto ad Ali ibn Abi Talib che gli sciiti considerano il loro primo imam. Malgrado gli slogan contro «il nemico sionista», i capi dell’organizzazione non sono pronti a rispondere all’attacco. Sanno che una rappresaglia immediata contro Israele porterebbe alla guerra e l’impegno dissanguante nel conflitto siriano (almeno 1500 miliziani caduti) non permette di aprire un altro fronte.
LA REPUBBLICA - Alberto Stabile: "La guerra all'Is e il Golan, il comandante che Israele temeva"
Alberto Stabile
I funerali del terrorista di Hezbollah
L’intera suburra libanese, la cosiddetta banlieue, s’è stretta intorno alla bara avvolta nel drappo giallo di Hezbollah con i resti di Mustafa Amin Badreddine, l’ultimo dei comandanti che, a metà degli anni Ottanta, col sostegno dell’Iran, hanno fatto della milizia sciita libanese, oltre che un partito, una forza militarmente temibile ed efficiente. Non a caso, Badreddine sarà sepolto accanto al cugino e cognato, Imad Moughniyah, di cui nel 2008 aveva preso il posto come capo del braccio armato di Hezbollah, dopo la morte di Moughniyah in un attentato al centro di Damasco.
Attentato generalmente attribuito a Israele. La capitale siriana, nei cui meandri i servizi israeliani si muovono a loro agio, è stata fatale a entrambi. Ma se Moughniyah è stato l’artefice della lunga stagione dei rapimenti a Beirut e degli attentati contro i contingenti militari occidentali intervenuti in Libano per garantire una pace impossibile, vicende che hanno caratterizzato gli anni Ottanta, qual era il ruolo, oggi, di Badreddine? La risposta di un giovane partecipante al funerale non deve stupire: «Senza Badreddine, Daesh sarebbe già qui». E per Daesh intendeva non solo l’Is ma la coalizione di gruppi radicali sunniti e di servizi segreti stranieri che intende punire Hezbollah per il sostegno al regime di Assad nella guerra che sta distruggendo la Siria. In altre parole, senza Mustafa Badreddine, nominato anche capo delle operazioni speciali all’estero, Hezbollah non sarebbe andato a combattere in Siria.
C’era lui, dicono, ad accompagnare il leader del ramo libanese del Partito di Dio, Nasrallah, all’incontro decisivo con Assad in cui sono state stabilite le modalità d’intervento, il ruolo e le regole d’ingaggio delle formazioni Hezbollah. E c’era ancora lui, Badreddine, alla riconquista di Qusayr, la città siriana nei pressi del confine libanese da cui nel 2003 i ribelli sono stati cacciati via, rilanciando in questo modo le possibilità del regime di non subire un’umiliante sconfitta. Da allora le milizie sciite libanesi, seppure in coalizione con i pasdaran iraniani, le milizie irachene e l’aviazione russa, hanno contribuito in maniera decisiva a puntellare le forze armate rimaste fedeli al regime ovunque affiorassero pericolosi sintomi di disgregazione. Fino alla clamorosa inversione di tendenza avvenuta dopo l’intervento dell’aviazione russa nel nord del paese, con la riconquista di vaste aree considerate ormai perdute. Hezbollah, che considera l’intervento in Siria non come una pericolosa avventura ma una vera e propria guerra per la propria sopravvivenza, si è anche affacciato al confine tra Siria e Israele, sulle alture del Golan, lato siriano, facendo scattare l’allarme negli alti gradi dell’esercito israeliano. I quali hanno temuto e temono un allargamento del fronte dal Sud del Libano, dove Hezbollah già controlla il territorio, al vicino Golan siriano.
Tutto questo porta la firma di Badreddine e, probabilmente, rappresenta la causa ultima della sua morte. L’aspetto paradossale di questa sfida mortale è che mentre Badreddine svolgeva il suo ruolo di comandante in capo della spedizione Hezbollah in Siria, il Tribunale Speciale per il Libano, decideva di processarlo in contumacia, in quanto accusato di essere la mente dell’attento che il giorno di San Valentino del 2005 uccise Rafiq Hariri ed altre 21 persone. Processo tuttora in corso. «Non ve lo daremo mai», aveva promesso sprezzante il capo di Hezbollah, Nasrallah. E infatti, dopo l’atto d’accusa emesso dai magistrati del Tribunale Speciale per il Libano, di Badreddine e dei suoi complici s’erano, come sul dirsi, perse le tracce. D’altro canto sperare che il vertice del Partito di Dio consegnasse al nemico, perché tale è sempre stato considerato il Tribunale speciale, uno strumento del «grande complotto sionista e americano contro la Resistenza», sarebbe stato da ingenui o da ignoranti delle cose libanesi. Perché accusare Badreddine, per il peso e il prestigio dell’uomo all’interno dell’organizzazione, era come accusare Nasrallah, e forse di più: era come accusare l’intero partito.
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