Riprendiamo da SETTE di oggi, 13/05/2016, a pag. 56, con i titoli "Insediamenti dietrofront", "Censura alla band poco islamica", due commenti di Davide Frattini.
Davide Frattini
"Insediamenti dietrofront"
Abu Mazen
A ottant'anni, di cui undici passati al potere dopo la morte di Yasser Arafat, il presidente palestinese Mahmoud Abbas è ormai consapevole che non sarà lui a firmare un futuro (lontano) accordo di pace con gli israeliani. Dentro la Muqata a Ramallah, con le finestre che guardano sul mausoleo dov'è stato sepolto Arafat nel 2004, Abbas medita sulle prossime mosse per portare avanti la sfida al governo di Benjamin Netanyahu e su chi considerare il proprio successore. Esitante in tutti e due i fronti: indicare un erede eviterebbe gli scontri di palazzo prima di arrivare alle elezioni al meno tra i capi palestinesi che militano nel suo stesso partito.
I fondamentalisti di Hamas giocano la loro partita e per ora stanno a guardare mentre i contendenti all'interno di Fatah si scannano in segreto. Le ultime decisioni (o indecisioni) del leader sono state criticate anche dai suoi consiglieri. Dopo aver proclamato di voler presentare una risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per ottenere una condanna contro le colonie israeliane, dopo aver fatto circolare la bozza del testo tra i diplomatici al Palazzo di Vetro, dopo averla venduta ai palestinesi come una possibile grande vittoria, il presidente si è tirato indietro.
Avrebbe ceduto alle pressioni dei francesi che sperano di poter rilanciare i negoziati di pace con una conferenza internazionale e temevano che il voto all'Onu potesse spingere gli israeliani a declinare l'invito di volare a Parigi ancora prima di averlo ricevuto. L'iniziativa francese non convince gli assistenti di Abu Mazen (nome di battaglia scelto da Abbas) che avrebbero preferito proseguire nei tentativi di imbarazzare Israele alle Nazioni Unite. Sugli insediamenti ebraici in Cisgiordania è atteso anche un rapporto del Quartetto e il rals spera che il dossier redatto da Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Onu svolga il compito che avrebbe dovuto avere la sua risoluzione: una condanna della costruzione nei territori senza inimicarsi gli amici francesi.
"Censura alla band poco islamica"
La band libanese Mashrou' Leila
Alla fine il divieto ha funzionato anche senza essere imposto: la band libanese Mashrou' Leila (Progetto notturno) non è riuscita a suonare nell'anfiteatro romano di Amman perché il ripensamento del ministero degli Interni giordano è arrivato troppo tardi. Il concerto era stato fermato con l'accusa che i testi del gruppo «contraddicono i valori dell'islam, della cristianità e dell'ebraismo». In sostanza ai censori giordani non piacciono quelle canzoni che inneggiano alla parità tra i generi e ai diritti per gli omosessuali. Il cantante Hamed Sinno è gay dichiarato e ha sempre considerato Amman come una seconda casa, la madre è nata nella capitale del regno hascemita. Adesso guida la battaglia della sua band contro «chi cerca di estrapolare le nostre parole in modo semplicistico e vuole farci passare per satanisti».
La canzone più irritante alle orecchie dei conservatori arabi sarebbe «Djinn» che esalta gli antichi baccanali con riferimenti agli spiriti maligni pagani e in un passaggio sul cristianesimo dice: «Affoga il mio fegato nel gin / Nel nome del Padre e del Figlio». Il video di un altro singolo «Aoede» si apre con una ragazza che denuncia le brutalità della polizia. «Con la vostra musica», ha commentato lo scrittore libanese Cyril Aris, «esponete la debolezza dei regimi arabi».
Per inviare la propria opinione a Sette, telefonare 02/6339, oppure cliccare sulla e-mail sottostante