venerdi 20 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
12.05.2016 'L'Arabia e l'Iran sono indegni del Salone del Libro'
L'iraniana premio Nobel Shirin Ebadi intervistata da Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 12 maggio 2016
Pagina: 24
Autore: Francesca Paci
Titolo: «L'Arabia e il mio Iran sono indegni del Salone»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/05/2016, a pag. 24, con il titolo "L'Arabia e il mio Iran sono indegni del Salone", l'intervista di Francesca Paci a Shirin Ebadi, scrittrice iraniana dissidente e Premio Nobel.

Immagine correlata
Francesca Paci

Immagine correlataImmagine correlata
Shirin Ebadi                                Omosessuali impiccati in Iran

Immagine correlata

L’iraniana Shirin Ebadi parla a bassa voce, ma fa sempre rumore. Prima donna musulmana a ricevere il Nobel per la pace e già pioniera tra i suoi connazionali nello scalare i vertici della giurisprudenza, vive in esilio volontario dal 2009 dopo che il regime le ha chiuso una dopo l’altra tutte le possibilità della sua battaglia quotidiana per i diritti umani. Da allora scrive, viaggia, parla a giovani e meno giovani, testimonia senza tregua la sofferenza dei connazionali chiusi in quella che considera «una delle più grandi prigioni del mondo». Il suo ultimo libro, Finché non saremo liberi (Bompiani), è l’autobiografia di un popolo e di un Paese.

L’Arabia Saudita avrebbe dovuto essere il Paese ospite d’onore del Salone del libro 2016, se le organizzazioni dei diritti umani non avessero eretto le barricate. Si opporrebbe se un domani fosse invitato l’Iran?
«Tanto l’Iran quanto l’Arabia Saudita sono colpevoli di violare i diritti umani, sono entrambi regimi non democratici. Con la loro ambizione e con la rivalità politica hanno infiammato il Medio Oriente. In nessuno dei due Paesi c’è una stampa libera, e secondo me nessuno dei due merita di essere invitato come ospite d’onore a Torino».

Qual è la domanda più ricorrente che le fanno all’estero quando parla del suo Paese?
«La questione che torna maggiormente è il modo in cui mi hanno trattato gli agenti dell’intelligence. Tutto il mondo si meraviglia nel constatare fino a che punto un regime possa penetrare nella vita privata dei suoi cittadini».

Ha lavorato tra mille difficoltà sotto la presidenza Khatami, ha visto l’avvento di Ahmadinejad, ha seguito dall’esilio l’ascesa di Rouhani. Come sarebbe oggi la sua vita se fosse ancora in Iran?
«Se fossi a Teheran sicuramente non potrei continuare la mia attività in difesa dei diritti umani, perché molti dei miei colleghi sono in carcere. Narges Mohammadi è stata condannata a 6 anni di reclusione e li sta scontando tutti nonostante sia molto malata. Un altro, l’avvocato Abdolfattah Soltani, è in carcere da 4 anni. Il mio studio legale e la mia organizzazione non governativa sono stati chiusi. Se fossi in Iran sarei in prigione con Narges. E di certo anche a pena terminata non mi farebbero viaggiare. Tenete presente che il signor Khatami è stato presidente della Repubblica islamica dell’Iran per 8 anni e che dal 2010 non può lasciare il Paese né può parlare con nessun giornalista iraniano o straniero. In queste condizioni non esiste la possibilità di lavorare per i diritti umani in Iran».

Immagine correlata
La copertina (Bompiani ed.)

Cosa si aspettava dal presidente riformista Hassan Rouhani?
«Rouhani aveva promesso di rilasciare i prigionieri politici e quelli accusati di reati d’opinione. Aveva promesso anche di togliere gli arresti domiciliari a Mehdi Karroubi e Hossein Mousavi [leader dell’opposizione, ndr], di migliorare la situazione economica del popolo e di liberare la stampa. Purtroppo non ha mantenuto nessuna di queste promesse. Diciamo che non ha potuto, perché secondo la costituzione iraniana tutti i poteri sono concentrati nelle mani del leader supremo, Khamenei, e il presidente ha margini d’azione limitati. Anche volendo, Rouhani potrebbe fare poco. Il rimprovero che gli muovo però è di aver promesso molto pur conoscendo bene la situazione».

Come giudica il tanto atteso accordo sul nucleare?
«È buono. L’approvo perché ha alleggerito le sanzioni che gravavano quasi tutte sul popolo. Ma l’accordo ha un periodo di prova durante il quale spero che tutte le parti - l’Iran ma anche l’America e l’Europa - mantengano gli impegni presi».

Le due strade della diplomazia internazionale per trattare con le dittature, Iran compreso, sono tradizionalmente negoziare o isolarle. Quale preferisce?
«L’amicizia con i dittatori è senza dubbio la via più sbagliata, vi ricordo a questo proposito l’amicizia dell’Italia con Gheddafi e il suo epilogo. I dittatori vanno trattati con il bastone e la carota, in modo che vedano un interesse personale nel cambiare e correggere il proprio sistema».

Alla fine, le sanzioni contro l’Iran hanno funzionato o no?
«Le sanzioni economiche hanno costretto il regime a firmare l’accordo, però il popolo ha sofferto molto più dei vertici. Per questo insisto sempre sulle sanzioni politiche che danneggino i regimi e non la gente. Per esempio nel caso dell’Iran si potrebbe vietare al regime di usare satelliti europei come Eutelsat per trasmettere programmi televisivi in lingua non persiana come Press Tv».

Nel suo libro sono protagoniste le donne. Le iraniane sono davvero il motore del Paese?
«Le donne in Iran sono molto attive e nulla le può fermare dal battersi per i diritti umani. Narges Mohammadi, per dire, ha iniziato da dentro il carcere una campagna per sostenere le madri detenute e sta avendo grande successo. Gli esempi sono molti: le iraniane non si lasciano intimidire neppure se vengono imprigionate, torturate o licenziate».

Che Iran conoscerà suo nipote?
«Spero che possa crescere e vivere in un Paese democratico e laico, dove ci sia poca differenza tra poveri e ricchi»

Che accoglienza sta ricevendo il suo libro, la storia della sua vita?
«Per fortuna molto buona, ha avuto ottime recensioni. È stato tradotto in inglese, francese, tedesco e arabo. Tra un anno ci saranno anche altre lingue. Non può circolare in Iran, ma spero che le donne dei paesi islamici regionali possano leggere la versione araba».

Sarà tradotto anche in ebraico?
«Finora il mio editore non me ne ha parlato, io però, nel profondo del mio cuore, spero di sì».

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT