Riprendiamo dall' ESPRESSO di oggi, 06/05/2016, a pag. 48, con il titolo "Quel neocon è proprio comunista", l'intervista di Alberto Flores d'Arcais a Daniel Oppenheimer.
Alberto Flores d'Arcais
Daniel Oppenheimer
Per loro la politica è stata una sorta di religione, una fede, un sistema di valori. Sia quando erano di sinistra, comunisti, idealisti, sia quando sono diventati ideologi e alfieri del conservatorismo americano. Loro sono sei uomini (Whittaker Chambers, James Burnham, Ronald Reagan, Norman Podhoretz, David Horowitz e Christopher Hitchens) che nel secolo scorso hanno influenzato come pochi altri vicende (e idee) della destra negli Stati Uniti, partendo tutti e sei da un dato comune: l'essere stati campioni della sinistra.
Le loro storie, i loro drammi, le loro conversioni ce li racconta "Exit Right: The People Who Left the Left and Reshaped the American Century" (Simont-Schuster), un bel libro uscito negli Usa di recente e diventato rapidamente - complice l'atmosfera elettorale - un caso editoriale. Ne abbiamo parlato con il suo autore, Daniel Oppenheimer, professore alla Austin University, in questa intervista esclusiva per "l'Espresso".
La copertina
Come e nato questo libro? «Ho iniziato a pensarci anni fa, dopo aver scritto un lungo articolo su David Horowitz. Ma la cosa che ha contato di più è l'ambiente dove sono cresciuto: vengo da una famiglia di sinistra, mio nonno era un militante del partito comunista, mio padre un attivista politico della new left negli anni Sessanta. Questo libro forse è nato per capire meglio come persone partite dallo stesso ambiente e con gli stessi ideali abbiano compiuto un viaggio che li ha portati dalla parte opposta.
I sei protagonisti sono molto diversi tra loro, come Ii ha scelti? Per alcuni è stata una scelta quasi ovvia, data la loro storia. David Horowitz mi ricordava mio nonno, lui come Podhoretz, e un intellettuale ebreo, di una generazione che era molto di sinistra. Altri li ho scelti per un fatto cronologico, perché hanno attraversato il Ventesimo secolo. Reagan mi interessava perché ha affascinato milioni di persone, è l'unico politico in un gruppo di intellettuali, Chambers per la sua figura romantica e insieme tragica, Burnham per la sua indubbia intelligenza: capace di controllare le emozioni ma un'anima torturata come era torturato l'artista, E poi Hitchens, che è un capitolo a parte.
Non lo definirei neanche un conservatore. «Si, non era un uomo di destra, ha lasciato la sinistra ma non è finito completamente dall'altra parte. Lui è stata una figura chiave per me, quando andavo al college era il mio eroe intellettuale. Anche quando dopo l'11 settembre ha iniziato a spostarsi a destra ne ero affascinato, mi intrigava la sua visione che la guerra in Iraq fosse una guerra di liberazione. Quando molti, me compreso, hanno capito che era un'avventura che portava al disastro lui non ha cambiato idea. E io l'ho cambiata su di lui».
In diverse parti del libro sembra intersecato alla vita privata del protagonisti più che alle loro vicende pubbliche. È cosi? lo credo che la vita personale influenzi quasi tutto. È diverso se nasci in una comunità religiosa conservatrice, se vai in un liberal art college, se cresci in un ambiente laico o meno, cambia il modo di "pensare il mondo". Chambers era comunista, poi diventò una spia comunista, poi ci fu una conversione e divenne "cristiano", un processo su cui credo abbia molto influito il peso morale di aver fatto parte di un partito "underground". Che a un certo punto lo ha come annientato. Dallo stalinismo all'integralismo religioso, ma con lo stesso approccio».
Studiando vita e opere dl questi uomini al è imbattuto in qualcosa di inaspettato? Diverse cose. Con Reagan a esempio ho trovato più legami di quanto avrei immaginato. Non sono d'accordo con la sua poetica conservatrice, ma le sue vicende, i suoi discorsi, il modo in cui guardava al mondo, hanno avuto degli effetti su di me. Un altro è Chambers: all'inizio pensavo, come tutti, che fosse un gran bugiardo, poi ho capito che era il testimone di un'epoca. Negli anni in cui studiava a Columbia diventò grande amico di intellettuali ebrei, gente che sarebbe diventata molto famosa. Quando andò a lavorare a "Time Magazine", dopo la sua rottura con il comunismo, cambiò radicalmente amicizie».
Posslamo dire che nel libro la "fede" (sia religiosa che laica) è più importante della politica? «Direi di sì. Nel caso di Chambers la sua credenza nel comunismo era di tipo quasi religioso, il marxismo un surrogato del cristianesimo. Quando questa fede è venuta a mancare, quando è crollato il sistema di valori attorno al quale si era sviluppata la loro vita hanno dovuto rimpiazzarlo: nella maggioranza dei casi con un'altra religione».
Nei libro si parla molto dei traumi passati vissuti dai protagonisti. Quanto hanno contato nella loro conversione? «Dipende. Per Horowitz penso di sì, quando la donna che lui aveva aiutato, cui aveva trovato lavoro, è stata uccisa dalle Pantere Nere lui è cambiato radicalmente. L'ho chiesto a lui (David Horowitz e Norman Podhorerz sono ancora in vita, ndr), ha negato. Ma non gli credo, sono convinto che senza quell'omicidio sarebbe rimasto a sinistra. Per Podhoretz, ideologo dei neocon, la vicenda è più nota. La stroncatura del suo libro da parte di intellettuali e grandi amici di sinistra - primo fra tutti Norman Mailer - ha influito, ma penso che lui sarebbe finito a destra lo stesso. Cosa che negli anni Sessanta e Settanta accadde a molti altri come reazione agli eccessi della new left».
Questa è un'era di grandi divisioni politiche. ci sono somiglianze con gli anni di cui parla nel libro? Si, con la differenza che i grandi movimenti, oggi populisti, sarebbero stati di sinistra. Negli Stati Uniti c'è una grande energia, basti pensare ai successi di Bernie Sanders, ma il pieno lo fa un uomo come Donald Trump. Prevedo nei prossimi anni molte delusioni».
Lei è ancora di sinistra? «lo sono ancora, ma nel corso degli anni ho dovuto combattere molto con stereotipi, pregiudizi e cultura di sinistra. Scrivere questo libro mi ha aiutato molto».
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