Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/05/2016, a pag. 53, con il titolo "I marocchini in Italia, la politica di Maometto VI", la lettera di Barbara Jonoch e la risposta di Sergio Romano.
Quello del Marocco sarebbe un esempio da imitare. Monitorare i discorsi fatti dagli imam nelle moschee, come avviene in Marocco, dovrebbe essere una norma da importare in Europa, dove le moschee divengono troppo spesso centri di indottrinamento all'odio contro ebrei, Israele, Stati Uniti, Occidente, libertà.
Ecco l'articolo:
Sergio Romano
Maometto VI, re del Marocco
Ma i media non si sono mai accorti che c’è la guerra in Marocco, oppure se così non fosse, come mai in Italia ci sono tanti marocchini? Da che cosa sono scappati?
Barbara Jonoch
barbarajonoch@gmail.com
Cara Signora,
Insieme agli albanesi, ai tunisini e agli egiziani, i marocchini formano la comunità musulmana di più vecchia data. Sono da parecchi anni poco meno di mezzo milione (di cui centomila in Lombardia) e il loro numero, dopo parecchi rientri in Marocco qualche anno fa, sembra destinato a restare stabile. L’associazione che maggiormente li rappresenta è la Confederazione islamica italiana, un ente che gestisce insieme ai sauditi la Grande Moschea di Roma.
Secondo Giacomo Galeazzi e Ilario Lombardo, autori di una bella indagine pubblicata da La Stampa del 1° maggio, la Confederazione è in lizza, con altre organizzazioni, per la conclusione di un accordo con il governo italiano: una specie di concordato che le permetterebbe di incassare l’8 per mille sui redditi dei contribuenti musulmani, come accade per altre confessioni religiose, Il rischio della radicalizzazione esiste e alcuni sanguinosi attentati hanno già colpito negli ultimi anni il Marocco di Muhammad VI. Ma non hanno modificato, complessivamente, la politica laica del re. Ha liberalizzato il codice civile per garantire alle donne alcuni diritti che in certi Paesi del Golfo sarebbero considerati blasfemi. Ha creato un Consiglio superiore degli ulema e ne ha assunto la presidenza per meglio vigilare sulla loro formazione.
Come nella Turchia di Kemal Atatürk, gli imam delle moschee ricevono ogni settimana le grandi linee della predica che dovranno pronunciare il Venerdì. Per molti aspetti sono diventati funzionari dello Stato. Ricevono un compenso mensile, hanno una carta di previdenza sociale, partecipano a corsi di aggiornamento sulle leggi dello Stato. Questo non esclude naturalmente, cara Signora, che l’Isis possa fare opera di reclutamento anche nelle comunità marocchine all’estero. Ma la comune minaccia rende il regno, in questo campo, un naturale alleato dei governi europei. Quanto alla sua ironica domanda, cara Signora, in Marocco non si combattono guerre comparabili a quelle dell’Iraq e della Siria. Ma il Paese è continuamente minacciato sui suoi confini da Al Qaeda nel Maghreb e nel Sahara.
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