Alleati problematici
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
è tempo di elezioni, difficili elezioni. In Austria domenica prossima si confrontano Norbert Hofer del FPOE (il nome vuol dire partito liberale, ma è quello di estrema destra fondato da Heider) e un economista socialdemocratico traghettato ai verdi, Alexander van der Belle. A Londra giovedì si elegge il sindaco il candidato conservatore è Zac Goldsmith, quello laburista Sadiq Khan, che ha cercato con qualche difficoltà di smarcarsi dalla deriva antisemita del suo partito, pur essendo un islamico di famiglia immigrata pakistana. A giugno si terranno le amministrative in Italia, con molti comuni importanti in gioco (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Cagliari Trieste, Rimini, Salerno), tanto che il risultato assumerà certamente un valore politico. In alcune località gli schieramenti sono già molto chiari (a Torino se la giocheranno Fassino, Pd e Appendino, candidata 5 stelle, a Milano Parisi per il centrodestra e Sala per il Pd); in altre città ancora le candidature sono confuse. A fine giugno si vota di nuovo in Gran Bretagna, col referendum sull’uscita dall’Unione Europea. Ancora a giugno si rivota in Spagna, dopo lo stallo provocato dalle elezioni dello scorso inverno. A novembre ci sono le elezioni americane e poi nel ‘17 quelle francese e tedesche, che potrebbero cambiare il panorama politico europeo.
Ho allineato queste scadenze (altre ancore le ho tralasciate) per darvi l’idea di un momento molto denso di possibile trasformazione nel panorama politico occidentale. E’ difficile sintetizzare situazioni diversissime, ma forse vale la pena di tentare una semplificazione. Negli ultimi dieci anni buona parte dell’Europa è stata governata da un centro-sinistra più centrale (la Merkel in Germania) o più di sinistra (Hollande in Francia, Obama negli Usa). C’erano le eccezioni, ma la corrente era quella. A partire da qualche anno fa questa tendenza ha perso forza. Negli ultimi anni il centrosinistra ha perso tutte le elezioni in Europa: in Francia, Gran Bretagna, Polonia, Ungheria, Finlandia, Olanda Slovacchia, Danimarca, Svezia, Spagna, Germania, Austria. In qualche luogo si è barricato al potere coinvolgendo il centro, in altri luoghi le elezioni sono state solo amministrative e parziali e si aspetta ancora il verdetto definitivo, ma la tendenza è inequivocabile. I vecchi partiti progressisti ma aperti al mercato e alla democrazia pluralista sono in crisi profondissima e hanno generato o al loro interno (come in Gran Bretagna, negli Usa ecc.) oppure all’esterno (in Grecia, Spagna ecc.) dei movimenti estremisti molto pericolosi.
Norbert Hofer
Per converso, un movimento analogo di radicalizzazione si è avuto a destra: le forze conservatrici tradizionali si sono allineate alle politiche di sinistra su alcuni temi centrali, innanzitutto l’appoggio all’immigrazione e il risultato è che la loro base ha cercato espressione in forze nuove schierate più a destra. Il risultato è una polarizzazione dell’elettorato che è insoddisfatto delle politiche economiche e sociali condotte dai governi europei sotto la guida dell’Unione. In realtà è difficile misurare la catastrofe di cui siamo stati testimoni negli ultimi anni. Su tutto l’Occidente è passata una sorta di devastazione, come una guerra perduta. Obama, prima dell’Europa, ha abbandonato l’egemonia americana su tutto il Medio oriente; l’Europa per conto suo si è fatta invadere da masse di persone con cui non condivide nulla. Non è che l’immigrazione è avvenuta con la forza irresistibile e irresponsabile di un terremoto, come cercano di convincerci i suoi difensori: è stata spinta dal mondo islamico ed è stata tirata qui dall’Europa. Quando mai al mondo uno stato ha annunciato ufficialmente di rinunciare a controllare i suoi confini, come abbiamo fatto noi? Quando ha detto che sarebbe immorale anche annunciare limiti all’immigrazione, come ha dichiarato Merkel?
Non posso qui analizzare gli errori e le complicità criminali di questi anni, l’idiozia o la complicità con cui si è favorito un chiaro progetto di distruzione delle nostre società. Resta il fatto che in democrazia lo strumento per cambiare le politiche e cacciare le classi dirigenti incapaci o traditrici esiste, è il voto. E gli europei lo stanno usando con sempre maggiore chiarezza. Il problema di questo voto non è, come dicono i guru dell’accoglienza, che sarebbe “populista” o antidemocratico; queste sono sciocchezze propagandistiche. E’ che per sconfiggere la spinta alla distruzione dell’Europa bisogna trasgredire un fossato ideologico che è stato ribadito instancabilmente da settant’anni: quello che ha motivato una conventio ad excludendum degli eredi del fascismo e dei loro alleati. Per battere Hollande bisogna votare per la Le Pen; per battere la Merkel bisognerà votare per l’AFD; per battere gli alleati dei fratelli musulmani e dei loro amici in Italia si potrebbe dover votare per Salvini. E così negli altri paesi europei. Nessuno di questi movimenti si proclama fascista o antidemocratico. E il discrimine fra democrazia e fascismo non è più sacro di quello fra democrazia e comunismo o fra democrazia e islamismo; ma è stato sottolineato senza limiti per decenni. In realtà, voglio ripeterlo, la maggior parte dei movimenti che si oppongono all’immigrazione non sono affatto fascisti. E in Italia la questione è forse più complessa che altrove, perché nel PD le forze più estremiste hanno perduto negli anni molte battaglie decisive. Ma certamente gli elettori europei sono davanti a un bivio storico, quello che costituisce la premessa dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq: sottomettersi all’alleanza fra sinistra e Islam o combatterla con alleati certamente problematici.
Ugo Volli