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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
01.05.2016 Singer: dopo Isaac e Israel ecco Esther
La racconta Elisabetta Rasy

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 01 maggio 2016
Pagina: 31
Autore: Elisabetta Rasy
Titolo: «I fratelli Singer visti dalla sorella»

Riprendiamo dal SOLE24ORE/DOMENICA di oggi, 01/05/2016, a pag.31, con il titolo "I fratelli Singer visti dalla sorella" la recensione di Elisabetta Rasy al libro di Esther Kreitman Singer " L'uomo che vendeva diamanti, "traduzione di Marina Morpurgo, Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 327 , e 17,50.

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Elisabetta Rasy             La copertina

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Isaac, Israel, Esther Singer

Nel suo famoso saggio Una stanza tutta per sé Virginia Woolf si chiede cosa sarebbe successo se Shakespeare avesse avuto una sorella, una sorella col suo stesso talento. E non ha dubbi nel rispondersi: guai e soltanto guai per la povera ragazza. La sventurata avrebbe chiesto inutilmente alla famiglia di farla studiare; invece le avrebbero imposto un marito non desiderato, l'avrebbero repressa e punita in tutti i modi, lei sarebbe fuggita da casa e alla fine si sarebbe uccisa. In effetti, a frugare qua e là nelle vicende personali di certi scrittori celebri con sorella, nella realtà le cose non sono andate tanto diversamente. Alice James, sorella dello scrittore Henry e del filosofo William, dopo una vita passata in gran parte a curarsi crisi depressive, lasciò un diario, pubblicato solo molti anni dopo la morte, in cui raccontava le sue tribolazioni. Camille Claudel, sorella di Paul, morì in manicomio, dove aveva passato buona parte della sua esistenza. E se Dorothy Wordsworth ebbe sorte migliore fu solo perché adorava a tal punto il fratello famoso poeta («il mio diletto» lo chiamava) da dedicargli la sua intera vita, testimoniandone in un testo diaristico anch'esso pubblicato postumo. Maè soprattutto nella vita di Esther Kreitman Singer che la maledizione della sorella del genio evocata da Virginia Woolf s'invera quasi alla lettera. Anche perché Esther di fratelli geni ne aveva due: Isaac e Israel. Nata a Bilgoray in Polonia nel 1891, figlia di un rabbino e maggiore dei due scrittori, aveva coltivato la vocazione letteraria fin da giovane per vedersela, fin da giovane, immediatamente stroncata tra le mura domestiche. Quando la famiglia si trasferì a Varsavia, Esther cominciò effettivamente a scrivere ma la madre usò un sistema dissuasivo piuttosto drastico: fece letteralmente a pezzi tutte le pagine dei suoi testi. Fu allora che la ragazza cercò una via di uscita, cioè una via di fuga dalla famiglia, accettando il matrimonio combinato, secondo l'uso del suo ambiente ebraico, con un mercante di diamanti con il quale si stabilì ad Anversa, per poi rifugiarsi durante la prima guerra mondiale a Londra. Nella capitale inglese si adattò a lavori di varia natura, non sempre gradevole, per mantenersi, ma continuò a scrivere racconti in yiddish riuscendo a pubblicarli su varie riviste. Nel 1936 decise di raccontare la sua storia in un romanzo, La danza del diavolo (pubblicato anni fa dalla Tartaruga col titolo Deborah, sarà ripubblicato in autunno da Bollati Boringhieri), più tardi tradotto in inglesedall'yiddish da uno dei suoi due figli. Nell'incipit la sintesi di quanto sarà raccontato nelle pagine che seguono: «Padre, e io cosa diventerò da grande? aveva chiesto Deborah all'improvviso...»..Ma il padre, benché «preso alla sprovvista», non ha esitazioni nel risponderle: «Che cosa sarai tu un giorno? Niente, è ovvio!». Niente, «tutt'al più un buon matrimonio». Ma anche i fratelli, che pure si erano allontanati dal chiuso ambiente familiare, non la aiutarono, considerandola a volte con affetto, a volte con l'imbarazzo riservato a una donna disadattata. Pure nel 1944, malgrado scoraggiamenti e delusioni di ogni tipo, Esther Singer riuscì a dire la sua, cioè a scrivere un romanzo ambientato nello stesso universo morale e sociale frequentato dai libri dei fratelli ma da tutt'altra prospettiva: quella di uno sguardo critico, poco incline alla comprensione, per nulla a un'intima solidarietà, rovesciando freddamente la mitologia del "mondo perduto". In L'uomo che vendeva diamanti non c'è la potenza e il pathos di Isaac né lacupae trascinantevisionarietàdi Israel, ma un disincantato e quasi letterale realismo che traccia una sorta di duro scheletro dei loro affreschi. Il protagonista è un mercante di diamanti scostante, cinico e misogino, ma riscattato - forse malgrado le intenzioni della stessa autrice - da una sorta di grandiosa angoscia, che lo spinge ad affrontare con orgogliosa e perfida tenacia le sfide della vita, da Anversa a una suggestiva Londra dei rifugiati ebrei. Spersi, come doveva esserlo stato la stessa Esther, in mezzo a luoghi usi e costumi sconosciuti ma, come la scrittrice, tutt'altro che inclini ad arrendersi.

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