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Riflessioni dopo il 25 aprile Cari amici, come forse avete letto, le manifestazioni del 25 aprile hanno avuto uno svolgimento tranquillo, anche dove la Brigata Ebraica ha tenuto duro sulla partecipazione, sfidando il negazionismo neonazista dei palestinisti. A Milano, che in quest’occasione è sempre la manifestazione più importante, si è visto un rafforzamento notevole, rispetto al passato della presenza ebraica e un corrispondente indebolimento della contestazione. Erano poche decine a gridare in Piazza San Babila (non a caso il luogo tradizionale della concentrazioni fasciste, fin dai tempi del Sessantotto) “fuori i sionisti dal corteo” o “assassini". Che poi si portassero sopra la testa, oltre alle solite bandiere palestinesi, anche una dominante siriana, la dice lunga sulla loro lucidità mentale.
L’immensa maggioranza del corteo ha accolto con favore il segmento ebraico, che pure ha dovuto per prudenza sfilare sotto la protezione di un doppio cordone di sicurezza, quello del servizio d’ordine del PD, tutto abbigliato in giallo e quello in borghese ma molto fitto delle forze dell’ordine, rafforzato nei punti critici da file di poliziotti in divisa. Sia a Milano sia in altre manifestazioni, la presenza ebraica è stata visitata dai politici di maggior rilievo, fa cui vale la pena di citare a Milano i candidati a sindaco Sala e Parisi, a Roma fra gli altri l’ex presidente Napolitano. Ormai è chiaro a tutti coloro che non sono accecati dal fanatismo antisemita che la presenza ebraica e il ricordo della Brigata sono naturali per i cortei del 25 aprile, anzi li legittimano e non sono certo il frutto di una concessione. La Resistenza fu qualcosa di più di una comune guerra fra stati e la Liberazione più di una comune rivoluzione, perché misero fine alla più atroce organizzazione criminale della storia, di cui gli ebrei furono le vittime principali. Vale la pena però di fare una precisazione importante. Questa presenza genericamente ebraica non va contrapposta alla presenza dello Stato di Israele; una ipotetica bandiera della Brigata Ebraica azzurra con la stella di Davide gialla non può servire ad escludere la bandiera di Israele; anche perché la prima è in realtà una ricostruzione tratta dalla spallina del reparto, il quale appartenendo all’esercito britannico seguiva la bandiera inglese, ma il 3 aprile 1945 a Brisighella ricevette una bandiera di combattimento che corrisponde esattamente a quella che fu poi adottata da Israele (trovate la fotografia della cerimonia qui: http://brisighellaierieoggi.blogspot.it/2016/04/la-brigata-ebraica-che-insieme-alle.html). Dunque la bandiera attuale di Israele è la vera bandiera della Brigata Ebraica. La ragione di tale continuità è evidente. Se gli ebrei furono protagonisti della Resistenza, lo fecero non solo per liberare l’Italia, ma anche per sottrarsi al genocidio. E dai tempi di Herzl, lo strumento che cui il popolo ebraico ha costruito per realizzare il suo “mai più” allo sterminio, è proprio il suo stato. Badate, non sto affatto dicendo che Israele sia stato fondato come “risarcimento” per la Shoà: questo è un argomento spesso adottato dai nemici di Israele e degli ebrei (che subito dopo chiedono perché i “poveri palestinesi” abbiano dovuto “pagare il prezzo” di questa concessione). Di fatto questa ricostruzione è storicamente falsa: la legittimazione di Israele sta nella motivazione del mandato britannico, all’inizio degli anni Venti. L’esigenza di dare una patria agli ebrei precede di due decenni la Shoà. E la sua realizzazione fu ottenuta dal sionismo con una guerra durissima contro cinque eserciti arabi e il loro protettore britannico, nel ‘47-’48. Quel che dico è un’altra cosa: che se per l’Europa la sconfitta del nazismo portò alle costituzioni democratiche (bellissime cose), al sogno europeo (cosa molto meno bella, perché contaminata già dal manifesto di Ventotene dal totalitarismo) e al predominio sovietico sull’Europa orientale (cosa pessima, una dittatura che sostituiva l’altra), per gli ebrei essa indicò la strada dell’autodeterminazione e della costruzione dello stato. La Brigata ebraica significa questo, sia perché i suoi membri, sconfitto il nazismo, si fermarono in Europa ad aiutare gli ebrei sopravvissuti ad aggirare il blocco britannico all’immigrazione, sia perché, come ben prevedeva Jabotinski, l’esperienza accumulata nei combattimenti contro i nazisti sarebbe ben presto venuta utile per quelli contro i loro continuatori arabi. Vi è un pericolo da combattere nella distinzione, che aleggiava nel corteo di Milano, anche in certi pezzi di sinistra del settore della Brigata, fra partecipazione ebraica (benvenuta) e di Israele (che qualcuno della “Sinistra per Israele” ha definito discutendo con me “provocatoria”). L’impresa della Brigata era sionista, mirava consapevolmente all’obiettivo della costituzione dello stato ebraico; Israele è oggi il legittimo erede della Resistenza ebraica ed è chi si assume il compito che fu suo allora, cioè proteggere le vittime dell’antisemitismo: allora in Italia, oggi in Yemen e in Ucraina, in Francia e in Etiopia. Ogni tentativo di distinguere fra ebrei e Israele, odio per gli ebrei (condannato) e odio per Israele (ammesso da molti a sinistra), tentativo di limitare la vita ebraica (antidemocratico) e tentativo di limitare la vita di Israele, per esempio ai “confini di Auschwitz” che qualcuno chiama del ‘67 (ammesso apertamente ormai dalla maggior parte degli stati europei e da Obama, e considerato lodevole dalla maggior parte dei media, sotto il falso nome di “pace”) è sbagliato, pericoloso, esso sì provocatorio.
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