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La Repubblica Rassegna Stampa
25.04.2016 'Lo Stato contro Fritz Bauer': un uomo solo che si allea con il Mossad alla caccia di Adolf Eichmann
Recensione di Natalia Aspesi

Testata: La Repubblica
Data: 25 aprile 2016
Pagina: 34
Autore: Natalia Aspesi
Titolo: «Lo Stato contro Fritz Bauer»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/04/2016, a pag. 34, con il titolo "Lo Stato contro Fritz Bauer", la recensione di Natalia Aspesi.
Un film da non perdere, da giovedì nei cinema.

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Natalia Aspesi

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La locandina

Sono tanti adesso i film che ci restituiscono la realtà del passato, thriller della memoria che raccontano storie vere, eventi epocali, col rispetto della verità e il fascino del cinema, noir avventurosi della nostra storia, della storia del mondo. Lo Stato contro Fritz Bauer, premio del pubblico all’ultimo festival di Locarno, 9 candidature agli Oscar tedeschi, diretto da Lars Kraume, ritorna sugli anni già prosperi della Germania fine anni 50, e sul rifiuto dei tedeschi di volerne sapere del loro tragico e colpevole passato, della guerra, dell’Olocausto, dei nazisti che ancora dilagavano ovunque. Il titolo del film già annuncia che a essere contro il procuratore generale dell’Assia, Bauer, è addirittura il suo Paese, o meglio quella parte dei poteri, dalla politica alla magistratura, dai servizi segreti alla polizia, in mano a ex-nazisti riciclati in democratici.

Bauer, ebreo laico e socialdemocratico, scampato ai lager per essersi “inchinato al partito, e non me lo perdonerò mai”, fuggito in Danimarca, torna in Germania dopo la fine della guerra, con una appassionata missione: come dice il vero Bauer alla televisione, non basta accontentarsi del miracolo economico, ma bisogna anche ricordare che la Germania non è solo il paese di Goethe e Beethoven, ma anche quello di Eichmann e di Hitler: “I giovani sono ormai pronti a conoscere la verità, quella con cui i loro genitori fanno fatica a confrontarsi”. Il fascino del film è dato soprattutto da Burghart Klaussner che interpreta Bauer: piccolo, corpulento con i capelli grigi sempre spettinati, un viso di sessantenne deciso e impegnato, dai rari ironici sorrisi, di poche parole, tagliente, intoccabile “ossessionato”, come dicono i suoi rivali, da questa molto fastidiosa smania di scovare gli ex nazisti, soprattutto il più criminale di tutti, Adolf Eichmann, responsabile della “soluzione finale”: che rifugiato in Argentina sotto falso nome, lavora come tanti altri nazisti alla Mercedes- Benz di Buenos Aires, protetti dalla casa madre di Stoccarda, e si rammarica “di non aver fatto di più: gli ebrei erano 10 milioni e 300 mila ma noi non abbiamo portato a termine il programma, non abbiamo distrutto tutti i nemici. Ero inadeguato”.

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Un fotogramma del film

Bauer ha finalmente una pista ma l’Interpol non lo vuole aiutare perché non è compito suo occuparsi di reati politici, i servizi segreti e gli uffici di indagine tedeschi, non solo cercano di sviarlo informandolo che Eichmann è in Kuwait e non in Argentina: ma pensano di servirsi di un rapporto di polizia (che esiste davvero) in cui si dichiara che quando era in Danimarca Bauer aveva avuto contatti con prostituti maschi. “Ebreo e frocio” gongolano i suoi tanti nemici. È un’arma che può non solo distruggere la carriera del procuratore generale ma farlo finire in prigione: perché il paragrafo 175 del codice civile considerava “le pratiche lascive” tra uomini un reato. Il regista Kraume ha enfatizzato il tema dell’omosessualità creando un giovane magistrato sposato che si innamora di un travestito, star di un cabaret, “per mostrare la tirannia in atto sotto Adenauer, l’eredità dei nazisti che avevano reso questa legge ancora più drastica e che fu cancellata solo nel 1994”. Bauer, che a parte i nuovi calzini a scacchi, identici a quelli del giovane magistrato suo aiutante come fosse un messaggio gay, a una sua domanda non smentisce il suo passato, ma lo avverte che deve lasciar perdere, “perché il prezzo è molto alto”.

Si sa che Eichmann fu rapito in Argentina dal Mossad, cui Bauer aveva chiesto aiuto dando loro tutte le informazioni e rischiando così l’accusa di alto tradimento. Il criminale fu poi processato a Gerusalemme e impiccato nel 1962. Per Bauer fu una sconfitta perché l’ex sterminatore di ebrei avrebbe dovuto essere estradato e processato in Germania, a Francoforte, per mettere davvero i tedeschi di fronte al loro passato ostinatamente cancellato. Invece dice il film, fu il cancelliere Adenauer a rifiutarsi di pretendere la consegna di Eichmann perché Israele stava per accordarsi sul rifornimento di armi tedesche; i nemici non erano più i nazisti, ma gli arabi. Bauer non si dimise e lo vediamo in un altro bel film tedesco (anzi, lo abbiamo visto, in gennaio) Il labirinto del silenzio, del regista di origine italiana Giulio Ricciarelli, che culmina nel 1963, col celebre primo processo tedesco ai nazisti, quelli di Auschwitz, istruito da Bauer (che però qui non è il protagonista), dopo anni di ricerche.

Che Bauer avesse tanto contribuito all’arresto di Eichmann lo si seppe dieci anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1968. Nella mia ignoranza, ho scoperto lo strascico del nazismo nella Germania democratica leggendo anni fa la bella biografia della meravigliosa modella Veruschka, che racconta come, nei primi anni 50, dovette ritirarsi da scuola perché la maestra la chiamava “la figlia dell’assassino”: essendo suo padre Heinrich conte di Lehndorff- Steinort, l’ufficiale dell’esercito che nel ‘44 aveva partecipato alla fallita operazione Walchiria per uccidere Hitler, ed era stato catturato e impiccato.

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