Riprendiamo dal SOLE24ORE/DOMENICA di oggi, 24/04/2016, a pag.33, con il titolo " Il trauma del partigiano Artom" la recensione di Raffaele Liucci al libro di Alessandro Musto " Via Artom", pubblicato da RaiEri.
Alessandro Musto la copertina
Raffaele Liucci
Ci sono luoghi densi di storia. Nella lugubre Torino ferita dalla «leggi razzial o l'appartamento dei coniugi Emilio e Amalia Artom,al quarto piano di via Sacchi 58,era uno dei salotti cittadini più luminosi Vi passavano gli Agosti,i Casalegno,i Diena,Ia crema dell'antifascismo borghese:« Ghiudersi alle spalle il pesante portone di legno sul pianerottolo regalava il privilegio di dimenticarsi, per qualche ora, dell'odio che correva Ira le strade come una muta di cani randagi inferociti. E poi c'era il brlllantissimo figlio Emanuele, classe 1915, promessa degli studi storici, interlocutore di Cesare Pavese all'Einaudi, torturato a morte dai tedeschi e dai «repubblichini» nella primavera del '44. I suoi straordinari diari di un «partigiano ebreo» 1940-44), pubblicati in versione integrale qualche anno fa da Bollati Boringhieri a cura di Guri Schwarz, restituiscono come pochi altri documenti l'essenza della moralità antifascista edemocratica. Ma quanto è mutata, Torino, da allora? Se lo è chiesto Alessandro Musto, scrittore esordiente che ha fatto dell'ex «casa Artom» in via Sacchi l'epicentro di un'opera narrativa Quei locali sono oggi diventati — nella fantasia dell'autore — una polverosa spelonca, dove alloggia una fanciulla, moderna hippy. Vi organizza mostre fotografiche sulla riqualificazione di una malfamata via intitolata proprio a Emanuele Artom, estrema periferia torinese, costellata di orrendi palazzoni-alveari. Ma penano la più centrale via Sacchi (doveviveva anche Norberto Bobbio) ha un po' smarrito l'antico blasone, con i suoi splendidi portici frequentati dai clochard. Senza dimenticare gli aromi multietnici del vicino quartiere San Salvarlo. II paesaggio, insomma, è cambiato, i perso-naggi e le generazioni pure. Però gli antichi vani di «casa Artom» palpitano sempre. Basta varcarli, per risvegliare i fantasmi che li abitano e riannodare i fili delle loro esistenze, in una sorta di sdoppiamento tra presente e passato. Talora, questi ectoplasmi svelano corpi dolenti, come quello di Emanuele: sottoposto a indicibili offese, forse sotterrato non lontano dall'attuale via Artom, e mai più rinvenuto. Altre volte, i fantasmi rievocano il dessico famigliare»: il padre,docente di matematica,già assistente a Bologna dell'illustre Federigo Enriques; la madre, anche lei insegnante della stessa materia; Marcella, la sfuggente fidanzata, di umí1i origini; l'amato fratello Ennto, studioso di glottologia e vittima nel '40 di un banale incidente durante una gita a Courmayeur. Altre volte ancora, le mura echeggiano le voci dei compagni di Emanuele: non solo il filosofo Ludovico Geymonat, ma anche una manovalanza partigiana affollata di «uomini vendicativi, sporchi, ignoranti come mattoni». Per il giovane Artom, colto, borghese, figlio del Partito d'Azione, fu quasi uno schock rapportarsi con i grezzi «comunisti», fatti di rame e sangue. Per questo le sue pagine diaristiche sulla sgradevolezza dellavita in montagna e la giustizia sommaria esercitata dai partigiani spiccano per realismo e onestà inteelletuale. Del resto, solo in tal modo si può tramettere la portata deflagrante della scelta resistenziale. È quanto ha fatto anche Alessandro Musto, firmando un bel hbro su una dellefigure più cristalline del nostro Novecento. Con la speranza che un giorno la tuttora degradata via Artom possa rispecchiare un modello di rinascita urbana.
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