Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/04/2016, a pag.8/9, due servizi sul terrorismo che si richiama all'islam. Il primo sull'addestramento dei volontari a cura dello Stato islamico,il secondo sull'avanzare del jihad in Algeria.
Francesco Semprini: " Così a Sabrata l'Isis addestra le reclute per portare il terrore oltre confine"
Terroristi Isis in Libia Francesco Semprini
I resti della recinzione fanno da cornice a un tappeto di lamiere, carcasse di auto e macerie che descrivono l’impatto dei «missili intelligenti» lanciati dai caccia americani. Siamo a Sabrata, al «ground zero» del raid Usa del 19 febbraio contro la roccaforte Isis in Libia occidentale, la piattaforma degli attacchi in Tunisia e a Tripoli. A terra i resti di vita vissuta, lattine di conserva, tute e scarpe di marche occidentali, materassi e posate. Un ricovero più che un campo di addestramento come sostenuto dal Pentagono. Un dormitorio-prigione suggerirebbe la presenza dei due diplomatici serbi rapiti e rimasti uccisi nell’azione. Da qui inizia il viaggio in questo feudo dello Stato islamico, la «colonna di Sabrata» di Noureddine Chouchane, il muratore di Novara che ha risieduto (regolarmente) in Italia, prima e dopo le vicissitudini jihadiste. Qui del resto c’è molta Italia, dal teatro romano del II Secolo agli ulivi ed eucalipti piantati durante la colonizzazione. Qui è partita la «Divisione Sabrata», per battersi ad El Alamein. Proprio da qui partono i barconi di immigrati diretti in Sicilia, e qui a Mellita c’è l’impianto «oil-gas» Eni, non lontano da dove sono stati rapiti i quattro italiani (di cui due uccisi) della ditta Bonatti. Il raid (concluso con successo dicono gli Usa) aveva come obiettivo Chouchane, il tunisino con trascorsi italiani, l’emissario del Califfo in Libia occidentale. Il capo dei frontalieri del jihad pronti a fare ritorno in patria da «martiri» o stragisti. «Sabrata è stato a lungo un posto di passaggio dalla Tunisia alla Siria. - Spiegano fonti locali -. I tunisini proseguivano via Tripoli in aereo per la Turchia, quindi in Siria». Una tesi sostenuta anche da Africom, secondo cui Chouchane all’inizio era un «facilitatore», colui che agevolava la «migrazione jihadista». Il perfetto uso del dialetto libico gli consentiva di passare inosservato, anche quando affittava le case. Dal 2014 in poi però, la distruzione dell’aeroporto di Tripoli ha creato difficoltà: «Molti jihadisti hanno deciso di stabilirsi qui a Sabrata, approfittando del caos per la nuova guerra civile». Le debolezze della Libia erano la cornice ottimale per creare «la base», e la porosità del confine il presupposto migliore per condurre attacchi contro la Tunisia di Essebsi, simbolo del mondo arabo-musulmano moderno e moderato, odiato tanto quanto l’Occidente. «I combattenti di Sabrata, la gran parte nati a metà degli Anni Novanta, veniva da Ben Guardane, Zarzis, Sidi Bouzid. Venivano qui per addestrarsi, sei mesi o un anno, poi tornavano a casa». Solo una ristretta cerchia, una ventina, sono rimasti più tempo, molti avevano esperienza in Siria e Iraq. È il «direttorio», tra cui Chouchane e forse Moez Fassani, nome di battaglia Abu Nassim (uno dei tanti a usarlo ci dicono in realtà), ex di Ansar al-Sharia confluito nell’Isis, anche lui con trascorsi italiani. Quando operavano qui si tagliavano la barba e usavano più carte di identità, gli addestramenti erano in luoghi chiusi, «nulla era evidente dall’esterno». Anche grazie alla connivenza o al silenzio di alcuni: il presunto covo di Chouchane era accanto a una fattoria e un’altra abitazione. «L’addestramento qui a Sabrata però era soprattutto con armi, gli esplosivi hanno bisogno di luoghi isolati - ci spiegano -. In Tunisia ci sono dei campi specializzati, secondo quanto risulta dagli interrogatori di alcuni jihadisti arrestati: è la fase due, ci vanno dopo Sabrata». Di solito la colonna agisce per conto proprio, anche se sembra che per l’attentato al Bardo ci fossero elementi da Sirte. Le cose ora sono in parte cambiate, con l’offensiva anti-Isis i raid e gli arresti di febbraio e marzo, a cavallo del blitz Usa e del drammatico epilogo del rapimento di Salvatore Failla, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo. E poi con l’eliminazione di Chouchane il «direttorio» è decapitato. «In realtà - ci dicono - le voci che lo danno per sopravvissuto sono più di quelle che lo danno per morto». «Il suo corpo non è stato mai ritrovato, sembra sia fuggito», forse una zona desertica della stessa Tunisia. Ritirata strategica a scopo riorganizzativo, forse. Anche la moglie, Rahma Chikhaoui, che si pensava uccisa assieme agli italiani, è viva. «Non è morta - ci dicono - è detenuta qui a Sabrata», ha appena compiuto 17 anni. Anche lei è tunisina ed è fuggita da casa per sposarsi con Chouchane, assieme alla sorella maggiore Ghofran, arrestata in Libia, anche lei sposata con un terrorista tunisino, Abdelmonêm Amami. È Rahma, alla vigilia dell’attacco del 7 marzo a Ben Guardane, in una telefonata alla madre a dare il sinistro avvertimento: «Fra poco lo Stato islamico arriverà in Tunisia».
Karima Moual: "Nell'Algeria al collasso i giovani tornano a sognare il jihad"
Karima Moual Mokhtar Belmokhtar
«Se le porte della misericordia in terra sono per pochi eletti e quelle dell’Europa sono chiuse, almeno posso sognare quelle del paradiso con il jihad», spiega Houari, 23 anni. La terra senza misericordia è l’Algeria, il paradiso del jihad è l’utopia che fa breccia nuovamente nella mente dei giovani. È un mostro del passato mai estirpato del tutto, anzi rinvigorito in una generazione cresciuta nella miseria e nell’impotenza di poter fare sogni terreni. «Proteggere i figli» Lo sanno bene al ministero degli Affari Religiosi guidato da Mohammed Issa, che qualche settimana fa non ha concesso il visto al noto predicatore saudita Mohammed Al Arifi, invitato nel Paese da associazioni islamiste per tenere alcune conferenze. Visto negato perché l’obiettivo principale per l’Algeria, ha spiegato l’esponente del governo, «è proteggere intellettualmente i nostri figli contro l’estremismo e il fondamentalismo». Lo spettro del passato torna a tormentare gli algerini, soprattutto in un momento che molti analisti descrivono come una «bomba ad orologeria pronta ad esplodere». E la minaccia di una nuova generazione jihadista si mischia a una politica e un’economia al collasso. Le ultime immagini di un pallido, malato e irriconoscibile presidente della Repubblica, Abdelaziz Bouteflika, sono state come un colpo in pieno volto agli algerini. È chiaro ormai a tutti che il Paese non è più in mano a Bouteflika da un pezzo, e allora gli algerini si chiedono «perché dobbiamo farci governare da un Presidente conciato in quello stato». Il potere che scricchiola Le grandi firme dei giornali vanno al nodo della questione: «Chi governa davvero l’Algeria?», puntando il dito sul suo entourage, accusato di tenerlo in ostaggio, insieme al destino di un’intera nazione. Nella piramide del potere algerino anche l’impenetrabile gerarchia militare scricchiola dopo la caduta dei vecchi pilastri, come il generale Hassan e Mohammed Mediene. I sussidi elargiti dallo Stato - grazie anche alla ricchezza di gas e petrolio - che hanno sedato la piazza algerina nel 2011 durante le primavere arabe, sono agli sgoccioli a causa del crollo del prezzo del greggio. Uno scenario del genere – con una popolazione giovane e una disoccupazione alle stelle – diventa naturale linfa per il fondamentalismo islamista, ancora vivo e vegeto tra le montagne e a Sud nel deserto, dove i terroristi sono pronti a colpire, oltre che a indottrinare nuove leve. Scontri quotidiani Gli scontri tra estremisti e forze dell’ordine sono all’ordine del giorno. A fine marzo è stato ucciso Mouloud Baal, meglio conosciuto con il soprannome di Abu El Mundhir, leader di un gruppo islamista armato algerino che aveva giurato fedeltà a Isis. Solo qualche giorno fa, quattro militari algerini sono stati trucidati da un gruppo armato nella provincia di Costantina in un’operazione di rastrellamento a Djebel el Ouahch: una foresta di decine di ettari, che negli Anni 90 era diventata il rifugio per gruppi estremisti e che ancora nasconde serpi. Il Sud del Paese, infine, con il Sahel in mano all’Aqmi, e al suo leggendario leader Mokhtar Belmokhtar, un giorno dato per morto e l’altro no, può sembrare una spina nel fianco di Algeri, ma c’è chi - dopo le ultime rivelazioni di Wikileaks che fanno emergere la corrispondenza di un rapporto piuttosto opaco tra il governo algerino e il terrorista numero uno dell’Aqmi - avanza un’ipotesi tutt’altro che in favore dell’intelligence algerina, dove i nemici e gli amici si confondono con comuni interessi strategici. In caduta libera Giochi su più tavoli, criminali e banditi votati alla jihad, al fanatismo, alla corruzione, alle armi, alla violenza, ma è soprattutto l’arte della persuasione con la predica a giocare d’anticipo nell’Algeria in caduta libera. A Souk El Tenine, a qualche decina di chilometri da Bejaia, dieci giorni fa i cittadini hanno dovuto cacciare un gruppo di predicatori salafiti itineranti durante il loro sermone a cielo aperto. Lo hanno descritto così incendiario e inquietante che ha fatto scattare l’allarme e ha spinto i fedeli a prendere l’iniziativa. Ma è un’eccezione. Non c’è da sorprendersi, dunque, se il ministro degli Affari Religiosi Issa non abbia esitato a chiudere le porte dell’Algeria a un predicatore di razza. Perché la guerra al fondamentalismo jihadista è prima di tutto intellettuale.
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