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La Repubblica Rassegna Stampa
23.04.2016 Cividali, storia esemplare di una famiglia ebraica, di Umberto Gentiloni
Perchè allora Rep tace su quanto avviene il 25 aprile contro la Brigata Ebraica ?

Testata: La Repubblica
Data: 23 aprile 2016
Pagina: 46
Autore: Umberto Gentiloni
Titolo: «La libertà si tramanda di padre in figlio»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/04/2016, a pag. 46/47, con il titolo " La libertà si tramanda di padre in figlio " l'articolo di Umberto Gentiloni.

Molto coinvolgente il pezzo di Umberto Gentiloni sulla famiglia Cividali, un invito a leggere il libro che ne racconta le vicissitudini, sotto il fascismo, durante le persecuzioni, la vita che rinasce nella Palestina non ancora Israele, persino la generosità verso i soldati italiani sconfitti a El Alamein, non visti più come nemici ma, tutto sommato, compatrioti. E poi l'impegno nella Brigata Ebraica, la guerra in Italia per liberarla dal nazi-fascismo, insomma, c'è proprio tutto per suscitare buoni sentimenti verso una famiglia che ha ben meritato.
Ma allora ci chiedamo, perchè non si applica lo stesso criterio nei confronti degli ebrei israeliani, che difendono il loro paese contro chi vuole distruggerlo, perchè REPUBBLICA  ( e quasi tutti i nostri media) tace sulla vergognosa esclusione durante la festa del 25 aprile, dove l'Anpi esclude con modi violenti chi vuol partecipare sventolando la bandiera della Brigata ebraica che nella guerra di liberazione ha rappresentato il sacrificio di tanti ebrei caduti nel nome della libertà ?

Risultati immagini per brigata ebraica 25 aprile 

Ecco l'articolo:

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           La copertina                            Umberto Gentiloni

Eravamo una famiglia borghese, benestante come tante, ben inserita nel tessuto cittadino di Firenze. Mio padre era un ottimo ingegnere, il nonno Carlo era funzionario amministrativo alle ferrovie, la nonna, Gilda Contini era ferrarese. Anche lo zio Giorgio, fratello del babbo, era ingegnere, specializzato in ferrovie. I nonni materni erano proprietari terrieri». Parla come un fiume in piena Piero Cividalli con un impeccabile accento fiorentino. «Classe 1926, racconta in una tiepida serata romana la storia di una famiglia, a partire dalle pagine scritte da suo papà Gualtiero ( Lettere e pagine di diario 1938- 1946, a cura di Sara Berger, Giuntina 2016). E tra le note di allora e le parole di oggi scorre un pezzo del secolo scorso: le biografie dei singoli sullo sfondo dei grandi sconvolgimenti del Novecento. Il padre va via dall’Italia dopo la promulgazione delle leggi razziali, mantenendo un legame affettivo profondo, uno sguardo continuo verso ciò che accade nella Penisola. Aveva servito la sua patria nei passaggi più difficili, al fronte durante la Prima guerra mondiale, sul Piave e a Vittorio Veneto come tenente in un reparto del genio telegrafisti. Poi la scelta dell’antifascismo come dimensione esistenziale, senza tentennamenti. Radici lontane che vibrano nelle frasi che riavvolgono il nastro del passato: «Fra le nostre amicizie spiccava quella coi Rosselli. Mia madre, Maria, era stata compagna di classe di Nello al liceo classico Michelangelo. Mio padre, Gualtiero, una classe più avanti, aveva fondato con Nello verso la fine del 1916 un mensile»: frequentazioni interrotte dalla violenza squadrista. Gualtiero braccato dai fascisti sfugge a retate e arresti, quando l’assassinio dei fratelli Rosselli (giugno 1937) diventa un dramma familiare: «Un momento cruciale della nostra esistenza perché eravamo molto legati. I nostri genitori erano amici, la sera uscivamo spesso in automobile e si andava a cena da Nello e Maria, o da qualche altra parte. Passavamo le vacanze insieme. Erano gli amici più vicini che avessimo in quegli anni». E da quel momento si aprono scenari imprevedibili. Con la legislazione antiebraica del 1938 vengono espulsi dalla scuola e Gualtiero decide di spostare il suo nucleo familiare nella Palestina mandataria, sotto il controllo inglese. Si muove per primo. Per gli altri (la moglie e cinque figli) prima un periodo in Svizzera e poi, una volta ottenuti i permessi, il viaggio verso il nuovo mondo. È in quel tornante di vita che Gualtiero comincia a scrivere il suo diario, mentre sviluppa una fitta corrispondenza con chi gli è allora lontano. Una trama di relazioni e informazioni che dal 1938 si spinge fino alla seconda guerra mondiale e ai suoi effetti. Elementi cruciali che tornano nelle pagine di Gualtiero e nei ricordi del figlio Piero: la natura del regime e la cesura profonda delle leggi del 1938, la sfida finale del conflitto, la posta in palio per gli ebrei perseguitati e per l’umanità tutta, la paura di un tempo difficile e la ricerca di una luce in fondo al tunnel senza cedere «alle delusioni, alla confusione spirituale che regna nel mondo, a questo senso di rilassamento, di sconforto, di scetticismo universale». L’ideale antifascista e l’impegno sionista convivono e si alimentano in famiglia; l’amore per l’Italia rimane un tratto costitutivo, nonostante tutto. Piero propone una spiegazione che investe le identità in cammino: «L’amore per il paese dove le famiglie avevano vissuto per generazioni era troppo grande per lasciare posto a un rancore che sarebbe stato ben giustificato. Dopotutto mio padre, un ragazzo del ’99 aveva rischiato la vita per l’Italia durante la grande guerra. Nel 1944, quando ormai la svolta della guerra era diventata determinante, molti soldati italiani catturati nella campagna del Nord Africa giravano per le strade di Tel Aviv. Durante le ore di libertà dai campi di prigionia, questi stessi italiani che cercavano di distruggerci venivano ora a farci visita e a trovare ristoro in una casa di ebrei italiani dove erano accolti come vecchi amici ». La loro casa diventa una sorta di rifugio per italiani mentre si attende il responso dai teatri di guerra. Gualtiero raccoglie informazioni dalle trasmissioni radio inglesi, scrive migliaia di pagine tra diario e corrispondenza, confida nella vittoria finale e disegna e colora con sorprendente tempismo mappe che descrivono l’inarrestabile avanzata dell’Union Jack e degli Alleati nei vari fronti. Lo sguardo cade sull’Italia divisa e colpita dalla guerra civile. Due figli, Paola e Piero, si mettono in gioco per contribuire alla vittoria finale: la prima nell’esercito britannico e il secondo da volontario nella Brigata Ebraica si muove in Italia, Belgio e Olanda tra il 1945 e il 1946 nell’ultimo scorcio di guerra. Piero sbarca in Puglia, la Brigata (costituita ufficialmente nel 1944) fu inquadrata nell’Ottava armata britannica mentre risaliva la penisola lungo il versante Adriatico. Nelle parole del padre Gualtiero consegnate al Diario il viaggio del figlio è quasi un ritorno attraverso l’Europa in fiamme: «Ieri è partito Piero; per l’Egitto prima, l’Europa poi. Erano una cinquantina i ragazzi, tutti della Brigata Ebraica, che tornavano al loro campo dopo la licenza successiva al corso di addestramento, per raggiungere le loro unità al più presto possibile. È probabile che Piero arrivi in Italia fra due o tre settimane; non potrà subito correre a salutare i parenti, ma si può sperare che abbia il modo di incontrarsi con loro fra non molto. Per questo la partenza era diversa da quelle solite. Era insieme una partenza verso l’ignoto e un ritorno verso un caro e ben noto passato».

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