Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/04/2016, a pag. 13, con il titolo "Obama ai Paesi del Golfo: uniti contro l'Isis", la cronaca di Paolo Mastrolilli.
Paolo Mastrolilli
Barack Obama con il monarca saudita Salman
Accordo in pubblico sulla necessità di combattere insieme l’Isis, ma disaccordo in privato sui dettagli, e soprattutto sull’approccio nei confronti dell’Iran. Così si può riassumere il risultato dell’ultima visita in Arabia del presidente Obama, che da ieri sera invece è a Londra con l’obiettivo principale di evitare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Nei due giorni passati a Riad, il capo della Casa Bianca ha prima incontrato il re saudita Salman, e poi ha partecipato a un vertice con i Paesi del Gulf Cooperation Council (Gcc), cioè Arabia, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar, e Bahrain, concentrato su tre punti: i conflitti regionali come Siria, Yemen e Iran; la lotta all’Isis e al Qaeda; il rapporto con l’Iran. «Abbiamo raggiunto - ha detto Obama alla fine - una visione comune su come procedere. Restiamo uniti nella lotta contro l’Isis, o Daesh che rappresenta una minaccia per tutti noi».
Sul piano della collaborazione militare, continuerà la creazione di un sistema missilistico di difesa congiunto con una riunione degli esperti tecnici a maggio, che ha lo scopo di proteggere i Paesi del Golfo dalla minaccia di attacchi da parte di Teheran. Washington poi si è impegnata a rafforzare e integrare le forze speciali locali, costruire le difese cibernetiche, partecipare ai pattugliamenti marittimi per prevenire il traffico di armi della Repubblica islamica, e organizzare una grande esercitazione prevista nel marzo del 2017. Dietro a queste intese, però, c’è una divergenza strategica. I Paesi del GCC, infatti, chiedono agli americani caccia e armamenti pesanti, pensando di doversi difendere da aggressioni convenzionali da parte di Teheran, mentre gli Usa vorrebbero che si concentrassero sulle minacce asimmetriche che vengono dal terrorismo e dagli stessi ayatollah.
Obama ha chiesto all’Arabia di interrompere le operazioni nello Yemen e appoggiare la mediazione in corso, per orientare invece le sue risorse militari ed economiche verso la lotta all’Isis in Siria, dove il presidente teme che «la tregua stia vacillando»; verso l’Iraq, che preoccupa sempre di più a causa delle turbolenze nell’esecutivo di Abadi; e verso la Libia, dove è necessario consolidare il Governo di accordo nazionale, prima di poter pensare a qualunque tipo di intervento internazionale finalizzato a stabilizzare il paese. Gli americani poi hanno notato che dall’inizio della guerra in Siria hanno dato 5 miliardi di dollari per aiutare i 18 milioni di siriani e 5 milioni di profughi, mentre i Paesi del Golfo hanno offerto solo la metà, a fronte invece dei fondati sospetti che abbiano finanziato l’Isis per usarla contro Assad in chiave anti iraniana.
Sul piano politico Obama ha confermato che i membri del GCC sono gli alleati naturali degli Stati Uniti, impegnandosi a difenderli da Teheran, ma nello stesso tempo ha insistito sulla necessità di aprire il dialogo diplomatico con l’Iran, per condividere la sicurezza della regione e raggiungere quella che ha definito una «pace fredda». A questo proposito il consigliere del presidente Ben Rhodes ha escluso che dopo Cuba si prepari un altro viaggio storico nella Repubblica islamica, perché da parte degli ayatollah mancano la volontà e i comportamenti necessari a consentire una simile visita. L’impressione però è che l’Arabia Saudita non sia pronta a seguire questa strada, e aspetti il nuovo presidente americano per ridiscutere l’intera strategia regionale.
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