Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/04/2016, a pag. 37, con il titolo "Due forme di terrorismo: politico e religioso", la lettera di Franco Fanciullacci e la risposta di Sergio Romano.
Sergio Romano
Walter Laqueur
Certo è giusto parlare degli effetti quando muoiono decine di persone in questi attentati terroristici fatti da fanatici pazzi sotto la guida dell’estremismo islamico dell’Isis. Ma qualcuno dovrebbe chiedersi: da che cosa ha origine questo fenomeno che non è solo dell’Isis? Ci sono stati anche altri terrorismi, di natura diversa e di origini diverse. L’abbiamo avuto anche in Europa il terrorismo e non era certo di origine estremista islamica: l’Ira in Irlanda, il separatismo basco e le brigate rosse; e altri come Al Qaeda di Osama bin Laden, il terrorismo palestinese ecc. ecc. Quindi il terrorismo non è un fenomeno nuovo, nè, tanto meno, solo di origine islamica. Da che cosa deriva e da che cosa è spinto questo fenomeno estremo fino al sacrificio di se stessi pur di ottenere quale risultato? Non sarebbe bene analizzare questo fenomeno che fa impazzire certi individui?
Franco Fanciullacci
francofanci@gmail.com
La copertina (Corbaccio ed.)
Caro Fanciullacci,
In un libro apparso anche in Italia ( Il nuovo terrorismo , Corbaccio 2002) uno storico americano di origine tedesca, Walter Laqueur, ha scritto che di questo fenomeno sono state date non meno di 150 definizioni. Evidentemente non è facile raggruppare in una stessa categoria personaggi diversi come gli anarchici europei dell’Ottocento, i socialisti rivoluzionari russi, i militanti irlandesi, baschi, armeni, curdi, gli ustascia croati, i serbi della Mano Nera, i brigatisti rossi, gli ebrei dell’Irgun Zvai Leumi e dell’organizzazione Stern, i guerriglieri di Hezbollah e Hamas, i montoneros, i tupamaros, i seguaci di Sendero Luminoso, i narcoterroristi colombiani; ciascuno con i suoi programmi, le sue liturgie e le sue autogiustificazioni. Una distinzione per grandi linee è possibile, tuttavia, tra il terrorismo politico e quello nutrito da una forte dose di fanatismo religioso.
Il primo si propone un obiettivo più o meno concreto: l’indipendenza della patria, dominata da uno Stato straniero, la soppressione di un tiranno, la vendetta di una umiliazione subita, il riscatto da una antica servitù, la totale trasformazione dell’assetto sociale. La concretezza dello scopo condiziona la lotta. Se l’uso di certi mezzi crea più indignazione che consenso e se le troppe perdite subite pregiudicano l’esito del conflitto, il movimento può modificare la propria strategia, evitare che gli attentati coinvolgano la popolazione civile, abbassare il livello delle richieste, aprire una trattativa con il nemico, accontentarsi di un compromesso. Sono questi i casi in cui il terrorista di oggi può diventare il rispettato uomo politico di domani.
Nel terrorismo religioso islamista, invece, la vaghezza dei fini favorisce le azioni più crudeli e spregiudicate. Per un religioso fanatico, non esistono civili innocenti. Se sono musulmani, Allah li accoglierà in paradiso; se sono cristiani, ebrei o buddhisti, sono infedeli e meritano la morte. Laqueur aggiunge che in ogni fanatismo religioso vi è un elemento di follia, «specialmente del tipo paranoico». Questo non significa che tutti i militanti dell’Isis abbiano queste caratteristiche. Molti sono giovani, delusi dalle loro esperienze europee, fuorviati dalla predicazione dei capi, spesso recuperabili. Anche l’Isis, un giorno, potrebbe diventare una organizzazione politica. Ma una tale conversione sarà tanto più possibile quanto più duramente l’organizzazione verrà oggi combattuta.
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