Torna lo stretto di Tiran e un ponte troppo lontano
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
L'articolo è stato pubblicato in inglese sul Jerusalem Post
Lo stretto di Tiran
Due isole e un ponte sfidano la sicurezza di Israele e Giordania. Attraversando il golfo di Aqaba, il ponte, o una strada rialzata, collegherà Egitto e Arabia Saudita, in cambio, l’Egitto cederà ai sauditi la sovranità delle piccole isole di Tiran e Sanafir, che dominano l’unico accesso dal Golfo di Aqaba al Mar Rosso e da lì alle vie commerciali verso Africa, Asia e Australia. Generalmente, le discussioni riguardanti le acque internazionali riguardano solo i paesi interessati. Adesso non è più così, ci saranno a conseguenze di vasta portata. Finora la Giordania ha taciuto, ritenendo che in quanto stato arabo non avesse nulla da temere dall’Arabia Saudita. Israele, informata dall’Egitto della decisione, si è trovata in imbarazzo, non volendo mettere a repentaglio le sue delicate relazioni con il Cairo, anche nella speranza di sviluppare legami con Riad.
Ci si chiede come l’Egitto abbia firmato un trattato di pace con Israele, nel quale le due isole erano sotto sovranità egiziana, incluse nell’ Area C, quindi soggette a monitoraggio per ogni misura di sicurezza anche marittima. Quel trattato era stato redatto con molta cura e la sua durata è illimitata. Adesso si viene a sapere che l’Arabia Saudita ne aveva chiesto la “restituzione” nel 1982, quando Israele si stava ritirando dalla Penisola del Sinai. Il Presidente Mubarak rispose al re Khaled tramite i buoni uffici del presidente sudanese Jaffar El Numeri, in quanto l’Arabia Saudita aveva rotto le relazioni con l’Egitto dopo che aveva firmato la pace con Israele, ma il Sudan le aveva mantenute. Aveva chiesto di rimandare il passaggio per non mettere in pericolo l’evacuazione. L’Arabia Saudita non protestò pubblicamente, ma esercitò pressioni sul Cairo in merito alla sovranità sulle due isole. Alla fine Mubarak, con discrezione, si piegò alle pressioni del re. Nel 1990 emise un decreto presidenziale nel quale specificava le coordinate delle acque territoriali egiziane nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, che non includevano Tiran e Sanafir.
Il decreto, su richiesta dell’Arabia Saudita, venne depositato alle Nazioni Unite. Un dettaglio rivelato dal presidente Sisi, in un incontro con i membri del parlamento, per disinnescare la crescente opposizione pubblica a quello che veniva percepito come un “trasferimento del sacro territorio egiziano a una sovranità straniera”. E’ interessante notare come nessuno se ne sia accorto quando avvenne. E’ vero che il decreto era un documento tecnico che riportava solo delle coordinate, non erano citati i nomi delle isole, quindi non vi furono commenti. Questo solleva una domanda interessante. Era stata la chiusura degli stretti di Tiran alle navi israeliane a innescare la guerra dei sei giorni. Adesso l’Egitto trasferisce la sovranità delle isole all’Arabia Saudita, formalmente nemico dello Stato d’Israele. Il ministro saudita degli affari esteri dice che l’Arabia Saudita manterrà gli impegni internazionali dell’Egitto (senza menzionare però il trattato di pace), ma prosegue dicendo che il suo paese non avrà rapporti con Israele.
Come potrà Israele assicurare il monitoraggio delle due isole ? Dovrà rivolgersi all’Egitto, che a sua volta girerà la domanda all’Arabia Saudita. Come reagirà, non lo sa nessuno. Né sappiamo in quale modo si comporterà l’Egitto nel trasmettere la richiesta, con quale cura, e quali conflitti di interesse entreranno in gioco. E’ più che probabile che il monitoraggio si avvierà a conclusione. È noto come le relazioni tra Israele e Arabia Saudita stiano migliorando. Continuerà questo trend positivo? Fin quando non ci sarà un trattato di pace, la situazione si presenta delicata. L’Arabia Saudita è governata da un regime islamico familista, basato sul wahabismo, una delle scuole islamiche più estremiste, segnate da un odio profondo contro Israele. Una rivoluzione in questo regno autoritario potrebbe avvenire.
Adesso, l’unico accesso al Mar Rosso e dintorni per Israele è passato nelle mani di un paese con il quale non vi sono relazioni diplomatiche. È una nuova, importante sfida strategica, che richiederà di adattare la parte militare del trattato di pace, come è già avvenuto quando Israele ha accettato che l’Egitto aumentasse le sue truppe nel Sinai. La costituzione di corsi d’acqua tra Egitto e Arabia Saudita non è meno problematica. In un mondo perfetto, il raccordo tra questi due paesi poteva essere una moderna autostrada via Israele. Una costruzione a basso costo, economica da mantenere. Sadat aveva accettato il progetto di unire Egitto e Giordania attraverso una autostrada da costruirsi vicino a Eilat. Questo progetto sarebbe ancora più economico.
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La conclusione finale sarà l’entrata in un lento processo di costruzione di un ponte dai costi enormi, i due paesi, coscientemente o no, dimostreranno che non vi sono speranze di pace o normalizzazione tra Israele e i paesi arabi in un prossimo futuro. Egitto e Arabia Saudita hanno formalmente dichiarato che il trasferimento delle isole sotto la sovranità saudita è parte di accordi finali che determineranno i comuni confini marittimi dopo anni di negoziazioni. In base alla costituzione egiziane, l’accordo dovrà essere ratificato dal parlamento. Ma il primo articolo della costituzione afferma che l’Egitto è un paese unito, che non può essere diviso e che nessuna parte può essere ceduta. La pubblicazione dell’accordo ha suscitato violente proteste e dimostrazioni.
Leader e membri del parlamento hanno affermato che le due isole apparterranno all’Egitto per sempre. Il governo, hanno detto, si è piegato davanti al denaro saudita, a scapito dell’onore dell’Egitto e della costituzione. Il Presidente Sisi ha fatto di tutto per spiegare che non vi è abbandono di sovranità, che le isole appartengono all’Arabia Saudita, e che l’Egitto le ha sotto controllo dal 1950. Sono stati fatti conoscere importanti documenti dal ministero degli affari esteri, ma non sono bastati a convincere del tutto la pubblica opinione.
Gli egiziani, sin dall’infanzia, hanno sempre considerato le isole di loro appartenenza. Ci sono documenti del presidente Nasser in due occasioni, la prima nel 1957, a seguito dall’uscita di Israele dal Sinai, la seconda nel 1967 alla vigilia della guerra dei sei giorni, che le isole erano “100% egiziane”. Poi chiuse gli stretti di Tiran, provocando la guerra dei sei giorni. Antiche mappe, venute alla luce ultimamente, dimostrano che le isole erano considerate egiziane da cinque secoli, fino alla prima guerra mondiale, o fino a quando l’Arabia Saudita divenne indipendente nel 1932 e firmò le convenzioni internazionali, incluse le leggi marittime.
La situazione non è chiara. Gli analisti politici sono concordi nel pensare che Sisi, che cerca disperatamente l’aiuto saudita, era pronto a fare concessioni che giudicava accettabili. Non aveva però tenuto in conto la suscettibilità degli egiziani e la costituzione. Si é spinto troppo avanti. D’altra parte, l’Arabia Saudita non ha interesse a destabilizzare il presidente egiziano, coinvolto in problemi economici e di sicurezza. Questo inaspettato inconveniente è oscurato però dal fortunato incontro tra il re Salman e il presidente Sisi,dove hanno stabilito un fronte unito contro la minaccia iraniana. Il che lascia Israele in un limbo strategico con addirittura maggiore preoccupazione.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 20012 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.