Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi, 12/04/2016, a pag. 16, la breve "L'economia israeliana quasi senza disoccupati".
Gli indicatori economici di Israele farebbero la felicità dei paesi occidentali. L'ultimo rapporto macroeconomico della Banca centrale israeliana attesta che, malgrado il rallentamento globale, il pil del paese è cresciuto del 2,5% nel 2015, e indica che dovrebbe mantenersi più o meno su questo livello anche quest'anno. II ministero delle finanze prevede un 2,8% per il 2016, in ribasso rispetto alla stima iniziale di un più robusto 3%.
Nonostante l'export abbia sofferto la concorrenza internazionale, l'economia ha beneficiato della forte caduta del costo dell'energia globale e del prezzo delle materie prime. Uno degli indicatori più positivi è il tasso di disoccupazione che l'anno scorso era a quota 5,3% contro il 5,9% del 2014. Un record dalla metà degli anni Ottanta. Tra il 1995 e il 2010 la media era del 10,4%.
Soddisfatto il premier Benyamin Netanyahu che ha difeso la necessità di diversificare gli scambi per aumentare ulteriormente la crescita. Le esportazioni sono enormemente cresciute grazie al primo accordo di libero scambio con la Cina. Parallelamente sono state avviate trattative più favorevoli con il Giappone. Inoltre, l'estrazione di gas dai giacimenti marini porterà miliardi nelle casse dello stato a tutto vantaggio dell'economia del paese che dovrà registrare un aumento dei consumi.
Dietro questi propositi e questo ottimismo la realtà è un po' più complessa. II ministero delle finanze ha rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2016, a 2,8% invece del 3%, in conseguenza soprattutto del calo dell'export, sceso del 3,6% a febbraio 2016 e dell'1,3% complessivamente sul 2015. II deficit di competitività è una preoccupazione. La banca centrale che possedeva un'ammontare record di riserve in valuta (91 mld di dollari, circa 80 mld di euro) è obbligata a intervenire in conseguenza della forza dello shekel, la moneta israeliana che a marzo si è apprezzata come non mai dal 2011.
Un'altra questione riguarda l'annullamento, da parte della Suprema Corte, dell'accordo storico fra il consorzio americano Noble Energy e l'israeliana Delek Drilling, per lo sfruttamento dei giacimenti di gas offshore, Tamar e Leviathan, scoperti nel 2009 al largo di Israele. I giudici hanno dato un anno di tempo per rivederlo. La posta in gioco è l'indipendenza energetica del paese. Pesano anche l'elevato costo delle case e il governo dovrà moltiplicare gli sforzi per aumentare l'offerta a prezzi ridotti e per diminuire la povertà: un problema che riguarda 2,6 milioni di persone (31,9% della popolazione), tra i quali 998 mila bambini.
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